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La politica stupida che ci relega nel tinello – Ae 27
Numero 27, aprile 2002Ci sono numeri di questo giornale che sono largamente dedicati ad alcune situazioni italiane. Non questo. Questo numero gira attorno ad alcune campagne internazionali. E questo spazio dell'editoriale doveva essere dedicato alla figura di James Tobin, economista…
Ci sono numeri di questo giornale che sono largamente dedicati ad alcune situazioni italiane.
Non questo. Questo numero gira attorno ad alcune campagne internazionali. E questo spazio dell'editoriale doveva essere dedicato alla figura di James Tobin, economista premio Nobel morto da poche settimane che, suo malgrado, è diventato una bandiera per molti movimenti sociali (e anche per alcuni governi, come quello francese). Quell'editoriale lo ritrovate ormai a pagina 5.
Perché c'è un'altra morte che oggi ci scompagina le carte, l'uccisione di Marco Biagi.
Noi non lo conoscevamo, pur essendoci occupati del “Patto per Milano” di cui lui era il principale estensore. E anche il “libro bianco sul lavoro”, o i suoi articoli sul “Sole” non ci erano serviti per mettere a fuoco la sua figura. Ma potremmo chiedervi la stessa cosa: chi di voi sapeva?
Ora, adesso, è diverso. Strano destino degli uomini -quando sono vittime, ormai impotenti- di entrare nella storia ma di continuare, anche lì, a essere vittime, perché ognuno li mette dove vuole, ne fa ciò che vuole. Meglio il silenzio allora, e la promessa di non ignorare il loro pensiero, le loro scelte. E il dolore, perché anche questo gli è dovuto.
Lo spazio del dolore è sempre più ridotto, rubato a forza da altre necessità, spesso incalzato dalla difesa o dalla vendetta.
Guardate: sono già finiti i minuti del cordoglio, la condivisione dell'orrore. Si passa ad altro, perché altro incombe. Viviamo di emozioni. E di paure.
Così è poco più che un istante di silenzio questo editoriale. Solo per ridire il nome di un uomo, che altri hanno conosciuto e amato. E per ascoltare questa paura che dilaga nello stomaco quando rispunta qualcuno che uccide in nome della politica, e poi scompare, l'assassino ma anche la paura, occultati entrambi dalla nostra distratta pavidità quotidiana.
Tre anni fa l'assassinio di un altro uomo, Massimo D'Antona, ci aveva sorpresi e sembrava un fulmine a ciel sereno. Oggi no. Non sta a noi dire (e sapere) se sta rinascendo in Italia qualche germe di terrorismo. Si sa però che gli inquirenti non hanno smesso d'indagare, che gli assassini non sono stati presi, e che le derive violente sono sempre possibili.
Ed è questo che, anche nel lavoro quotidiano per questo giornale, registriamo: un crescere di rabbia. Ma non crediate: è una rabbia che non ha il volto dei quarantenni moderati dei girotondi, ma il viso fresco e che subito s'accende dei giovanissimi.
E c'è una parola che qui non vorremmo proprio tirare in ballo. Il clima.
La rabbia che c'è in giro non ha niente a che fare con il clima, nasce dalle scelte quotidiane, dai diritti violati, dalla sperimentazione di una partecipazione democratica sempre più virtuale, dall'espropriazione della dignità del proprio lavoro e della propria cittadinanza. Anche dal fatto di non trovare mai un luogo serio di confronto. Le proprie ragioni non valgono mai, anzi sono sempre ricacciate nel tinello della vita, perché nel soggiorno buono della casa vanno in scena altri ospiti.
Ma di questo, purtroppo, avremo modo di riparlare nel dettaglio, perché le riforme che si stanno preparando (dal fisco al lavoro, dalla scuola all'economia pubblica) cambieranno le nostre vite.
E molto.
Qui vogliamo ascoltare ancora l'eco della paura. Perché ci fa paura questa rabbia dei giovanissimi, e ci fa paura la stupidità di un esecutivo che &endash;con le scelte quotidiane, non con il clima- ci porterà diritti allo scontro sociale.
Esagerato? Eppure la polarizzazione è sciaguratamente sempre più praticata e propagandata. Non quella elettorale &endash;che ha un senso-, piuttosto quella della convivenza civile, che così però rischia di diventare impossibile.
Si ragiona per schieramenti, per appartenenze, per nemici (e amici).
Si erodono le ragioni e le possibilità per stare insieme. Per lavorare, studiare, progettare (anche alternative), amare, divertirsi. E, d'altra parte, l'intollerranza si fa strada: chi non è con Berlusconi è comunista, e con tutti questi comunisti in giro tra poco sarà persino impossibile andare in vacanza insieme.