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Economia

La nuova stagione della moda italiana

Il Sistema Moda Italia è fatto di 50mila aziende e 420mila addetti. La "favolosa" quotazione in Borsa di Moncler, a fine dicembre, racconta un comparto in espansione nonostante la crisi. Il rischio -però- è un eccesso di finanziarizzazione.
Un’azione del brand dei piumini valeva 16,60 euro il 2 gennaio 2014, ma il 14 marzo ha perso un quarto del proprio valore —

Tratto da Altreconomia 157 — Febbraio 2014

“Oggi mi compro Moncler!”. Non “un Moncler”, cioè un piumino marchiato, il cui costo non è alla portata di tutti, ma un pezzo della società, che da dicembre è quotata alla Borsa di Milano: un’azione vale 14,60 euro (al 17 gennaio 2014).

I più fortunati, quelli che si sono visti assegnare un pacchetto di azioni il 16 dicembre, quando l’azienda è stata quotata a 10,2 euro, oggi potrebbero rivendere con un guadagno del 43 per cento in un mese. Chi avesse investito poco più di mille euro, per 100 azioni, oggi se ne ritroverebbe 440 in più. Tanti, ma comunque non sufficienti se volesse usarli per comprare un paio di pantaloni Moncler modello Grenoble, in vendita a 465 euro su store.moncler.com. Sono prezzi alti, ma oggi il brand Moncler è sinonimo di lusso.
In molti, perciò, preferiranno aspettare prima di vendere: la performance delle aziende della moda e del lusso quotate –da Salvatore Ferragamo a Tod’s, passando per Cucinelli e Luxottica– negli ultimi due anni registra un più 78,89%. Complice la straordinaria liquidità degli investitori istituzionali (fondi, società di gestione del risparmio, private equity) e un settore che dipende poco dall’economia reale del nostro Paese: la moda guarda ai mercati esteri, e internazionalizzazione è una parola chiave -come vedremo- anche per Moncler.

La Federazione tessile e moda di Confindustria (Sistema Moda Italia, www.sistemamodaitalia.com), che associa 50mila aziende con oltre 420mila addetti, ha calcolato che il valore dell’export nei primi sette mesi del 2013 è stato di 16 miliardi di euro, in leggerissima crescita rispetto all’anno precedente. La bilancia commerciale del settore, nel 2012, ha chiuso in attivo per oltre 8,5 miliardi di euro.
Il futuro è del “made in Italy senza Italy”, come ha sintetizzato Carlo Pambianco -dell’omonima società di comunicazione e consulenza strategica, www.pambianco.com– durante la presentazione a dicembre del rapporto “le Quotabili 2013”, a Piazza Affari. A partire da un’analisi di oltre settecento aziende del comparto moda (guardando alla crescita del fatturato, alla notorietà del marchio, all’indebitamento, alla forza distributiva), Pambianco stila una classifica delle 50 società che potrebbero quotarsi con successo. Nella classifica ci sono ben 5 società che vivono per oltre l’85% di export, e tra queste ben due delle prime cinque (Ermenegildo Zegna e Stefano Ricci, entrambe con il 92 per cento). L’export è uno dei fattori di “quotabilità”, e nel calcolare la classifica pesa poco meno del brand.
“I veri mercati per il lusso e la moda sono quelli delle economie ormai emerse, Cina, Corea del Sud, India e Russia, Paesi dove si addensano i nuovi ricchi, pur in presenza di un forte divario sociale. Le top 20 del lusso mondiale aprono nuovi punti vendita solo in quei mercati là” spiega il professor Gaetano Aiello, che insegna Economia e gestione delle imprese all’Università di Firenze e svolge attività di ricerca su fashion and luxury marketing. “L’unico tema che mi sento di sollevare è quello relativo alla sostenibilità: a fronte di valutazioni borsistiche alte, solo se le previsioni di crescita verranno rispettate queste rappresenteranno la normalità. Eventi che mutano il quadro geopolitico potrebbero rappresentare un problema” spiega Alessio Candi di Pambianco. 

Borsa Italiana, intanto, starebbe immaginando la creazione di un Luxury Index: di lavorare, cioè, a una specializzazione di Piazza Affari nel settore, “sfruttando” lo charme dei grandi e blasonati nomi della moda italiana.
Quella di Moncler, del resto, è stata una delle due sole quotazioni nel listino principale del 2013 (dove in tutto ci sono 290 aziende), e il successo dell’“operazione Moncler” -tecnicamente una Ipo, ovvero Initial Public Offering-, che ha visto una richiesta di oltre 2,1 miliardi di azioni, pari a 27 volte quelle messe in vendita dagli azionisti, ha destato entusiasmo.

Anche per questo il primo giorno della matricola Moncler in Borsa, preceduta da un piccolo show sulle scale di Palazzo Mezzanotte si è trasformata in una festa per Remo Ruffini, presidente e amministratore delegato, che attraverso la Ruffini Partecipazioni Srl detiene il 32 per cento delle azioni.
È lui che a partire dal 2003 ha ricostruito con pazienza il marchio: ha allargato le collezioni, aprendo agli accessori, all’abbigliamento e alle calzature, garantendo visibilità “annuale” e non più “stagionale”; ha migliorato la redditività, grazie alla diffusione di negozi monomarca localizzati in location chiave, come via Montenapoleone o via della Spiga a Milano (in tutto erano oltre 120 a settembre 2013).
I numeri sono significativi: dal 2010 al 2013 Moncler ha praticamente raddoppiato il fatturato, che nell’anno appena trascorso dovrebbe aver toccato i 570 milioni di euro. Una crescita che in termini relativi guarda molto “fuori dall’Italia”, nel senso che il nostro Paese rappresentava nel 2010 il 41,5% del mercato Moncler e solo il 26,2% due anni dopo.
Alla festa hanno partecipato investitori, azionisti e banchieri. C’erano Alessandro Profumo, presidente di Mps, e Pier Francesco Saviotti, ad del Banco Popolare (nel cda di Moncler). C’era anche Maurizio Tamagnini, del Fondo strategico italiano: la società del gruppo Cassa depositi e prestiti ha dato vita a una joint venture con Qatar Holding LLC (QH), e punta ad investire fino a 2 miliardi di euro anche nel settore fashion & luxury.
A Piazza Affari c’erano poi alcuni “soci Vip”, potenziali concorrenti di Moncler -cioè attivi nel settore del lusso- che hanno comprato azioni del gruppo (tra cui Ferragamo, Zegna, Loro Piana).

A brindare, insieme a Ruffini, c’è senz’altro chi per creare il capitale flottante ha venduto azioni Moncler, passando all’incasso: 76.820.000 azioni per 10,2 euro fanno 783 milioni di euro. Ad incassare i fondi Eurazeo (il 18% è in mano ai francesi del Crédit Agricole), Carlyle (il cui Managing Director Marco De Benedetti, figlio di Carlo, editore del Gruppo Espresso, siede nel consiglio d’amministrazione di Moncler) e Progressio Investimenti.
I “fondi” e le grandi holding (come i gruppi francesi Kering e LVMH) rappresentano i principali investitori presenti sul mercato. Nei primi nove mesi del 2013 hanno portato a termine 42 delle 81 operazioni di compravendita o fusione che hanno riguardato marchi della moda e del lusso. Per restare all’abbigliamento, i francesi di LVMH hanno acquisito il controllo di Loro Piana.

Tra i fondi italiani attivi nel settore c’è anche Sator (satorgroup.it), la creatura di Matteo Arpe: ex braccio destro di Cesare Geronzi, già ad di Capitalia, che di Sator è primo azionista, presidente e amministratore delegato, ha scelto d’investire in un’azienda marchigiana che si occupa di “total look donna con il marchio di proprietà L’Autre Chose” . L’azienda si chiama Boccaccini spa e Sator ne ha acquisito il 49 per cento. La logica che guida i partner Sator è semplice: il fondo ha raccolto mezzo miliardo di euro, e deve investirne il 75% sul mercato italiano. Gestisce il patrimonio di privati, enti e fondazioni. E i numeri di Boccaccini, con un marchio che si sta affermando, un business non stagionale, un fatturato al 31 marzo 2012 di 17 milioni di euro, 5 negozi monomarca e il 40% di export lasciano sperare in un futuro in passerella.  Per ripetere il “miracolo” Moncler si parte dal retail: 7 nuove aperture entro il 2015. Grazie ai soldi di Sator, che nel sistema-moda destinerà in tutto tra i 30 e i 50 milioni di euro. —

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