Approfondimento
La monocultura è un libro di massa – Ae 66
Numero 66 – novembre 2005 Milioni di copie, incassi da capogiro, scrittori superstar. Benvenuti nel mondo del mass publishing, dove il libro non è più un prodotto culturale, ma un prodotto e basta. Da vendere il più possibile inseguendo le…
Numero 66 – novembre 2005
Milioni di copie, incassi da capogiro, scrittori superstar. Benvenuti nel mondo del mass publishing, dove il libro non è più un prodotto culturale, ma un prodotto e basta.
Da vendere il più possibile inseguendo le mode del momento e il blockbuster di turno. Un regno popolato da maghetti, misteri teologici e, soprattutto, da grandi gruppi editoriali che occupano le librerie a scapito delle realtà più piccole, della varietà e, a volte, persino della qualità
Il Natale quest’anno potrebbe essere bianco o nero, dipende dalla copertina. Se siete tra quelli che almeno ogni tanto mettono il naso in libreria ve ne sarete accorti, non si sfugge: il libro fa bella mostra di sé vicino all’entrata delle principali catene italiane -Feltrinelli, Fnac, Mel…-, disposto in piccole torri o composizioni che sfruttano, in modo più o meno elaborato, “l’effetto scacchiera”. Due copertine identiche, bianca e nera appunto, e un mistero facile da svelare: “Magia bianca e magia nera”, spiega Valentina Fortichiari, responsabile comunicazione di Longanesi -marchio del terzo gruppo editoriale italiano- che già a fine settembre ha lanciato in libreria Jonathan Strange & il signor Norrel, il suo titolo di punta per il Natale 2005: 900 pagine di “fantasy” (e 22 euro a copia) firmato dall’esordiente Susanna Clarke e ambientato in una Londra di fine Ottocento popolata da maghi, sortilegi e leggende.
Pubblicato in Gran Bretagna dalla stessa casa editrice che ha “scoperto” Harry Potter, potrebbe diventare il prossimo tormentone letterario, se l’alchimia funziona. I numeri sembrano esserci: 600 mila copie già vendute tra Regno Unito e Stati Uniti, opzionati i diritti cinematografici, definito da Time come un libro capace di tenere testa -addirittura- al Signore degli anelli. Eppure l’editore italiano ha optato per una tiratura iniziale di 15 mila copie che, per un titolo del genere, è considerata prudenziale: “Ma è un libro impegnativo, -sottolinea Valentina Fortichiari- sia per il numero di pagine che per il prezzo di copertina”. E poi un’operazione di questo tipo, per quanto soppesata, resta una scommessa: un blockbuster all’estero può rivelarsi un flop altrove.
Benvenuti nel magico mondo dell’“editoria di massa” fatta sempre più da concentrazioni editoriali che puntano su pochi titoli per rimpolpare il fatturato. Un settore che si fa davvero agguerrito nel periodo natalizio e prima dell’estate, momenti di picco per la vendita di libri e per conquistare visibilità e spazio sugli scaffali delle librerie, invase da un mare di carta: nel 2004, tra novità e ristampe, in Italia sono stati pubblicati oltre 54 mila titoli. Dan Brown, Giorgio Faletti, Melissa P. o J.K. Rowling sono alcuni dei nomi che negli ultimi anni hanno polarizzato le classifiche dei best-seller, riempito le pagine culturali (e non) dei giornali e, in alcuni casi, garantito agli editori incassi da capogiro.
Mondadori, il più grande gruppo editoriale italiano, è in debito con quello che definisce “il fenomeno Dan Brown”: i 407 milioni di euro fatturati nel 2004 dalla Divisione libri (su 1,65 miliardi di euro di ricavi complessivi) devono molto al thriller “teologico” Il Codice Da Vinci che, uscito per il Natale 2003, “ha continuato a vendere benissimo lungo tutto l’anno successivo”, raggiungendo ad oggi due milioni e 700 mila copie soltanto in Italia (e quasi 40 milioni nel mondo, edizione illustrata compresa) e ha tirato la volata ad altri libri dello stesso scrittore che -pur essendo usciti prima, negli Stati Uniti- hanno beneficiato del successo del “Codice”: un milione e 100 mila copie per Angeli e demoni (e quasi 17 milioni nel mondo) e una tiratura iniziale di 310 mila copie (in Italia) per La verità del ghiaccio, pubblicato sempre da Mondadori a inizio ottobre e andato in ristampa nel giro di qualche giorno. Così Rcs Media Group, che in Italia è il secondo nome di rilievo, gioca a carte scoperte: il fatturato del settore libri è cresciuto “anche grazie al forte aumento dei best-seller pubblicati nel corso del 2004; 24 titoli tra i primi 100 in classifica contro i 14 del 2003”.
Qui il titolo di punta è stato La forza della ragione di Oriana Fallaci, con 775 mila copie. Un meccanismo che Carla Benedetti, docente universitaria, definisce “genocidio culturale”: “Una mutazione genetica ha trasformato il mercato del libro in una ‘monocultura del best-seller’, spazzando via la ‘vecchia’ editoria di progetto”. La Benedetti riprende l’idea da un saggio di Andrè Shriffin dal titolo eloquente: Editoria senza editori (Bollati Boringhieri): le grandi concentrazioni -per cui il libro è un business come un altro- rischiano di portare a un’offerta culturale ristretta e limitata ai titoli di maggior successo. La colpa, è la tesi di Shriffin, è dei grandi gruppi internazionali della comunicazione che acquistano case editrici puntando a utili sempre più alti.
È il caso della tedesca Bartelsmann, che controlla l’americana Random House, il più grande editore al mondo con oltre 5 mila dipendenti e un fatturato di 1,8 miliardi di euro (per inciso: indovinate chi pubblica Dan Brown negli States…). Ma Bartelsmann è un colosso da 76 mila dipendenti e 17 miliardi di euro di fatturato con interessi nel settore televisivo e musicale (Sony Bmg Music Entertainment e Bmg Music Publishing), in riviste e giornali, nei servizi per i media. Discorso analogo per Viacom (che controlla l’editore Simon & Shuster ma anche le tv Cbs e Mtv), la News Corporation di Rupert Murdoch (con Fox Tv, i quotidiani “The Times” e “The Sun” e l’editore Harper Collins) o la francese Lagardère (con Hachette -editore di libri e riviste- oltre a canali televisivi e radio).
Libri come merce e sempre meno cultura, dunque? “Un equivoco da sfatare -dice ad Altreconomia Alessandro Zaccuri, critico letterario e conduttore televisivo-, chiunque faccia un prodotto lo fa per venderlo. Semmai, e questo sì è un problema, esistono soggetti che non fanno più editoria ma ‘publishing’, che creano cioè un prodotto-libro puntando soltanto sulla sua vendibilità”.
E poi quella del best-seller è “un’industria meno sviluppata di altre, perché è più difficile studiare i libri a tavolino” prevedendone il successo. “C’è sempre un margine di incertezza che sfugge agli editori”, conferma Zaccuri. Puntare su un titolo non è proprio come scommettere sui cavalli, insomma, ma racchiude comunque “una buona dose di gamble”, di azzardo. Nonostante questo, il titolo “di massa” ha delle caratteristiche riconoscibili, che si ripetono e su cui bisogna puntare se l’obiettivo è quello di sfondare la top ten nelle vendite: “I libri di questo tipo di solito presentano una scrittura semplice, con meccanismi narrativi riconoscibili, così come i paesaggi (la Roma di Angeli e demoni, per esempio) e un tema controverso”.
Se un titolo poi fa il botto, diventano davvero strategici i cosiddetti follower, questi sì pianificati. Tanto per restare al “caso Da Vinci”: Piemme (Mondadori) ha pubblicato Il codice del Quattro di Ian Caldwell e Thomason Dustin (95 mila copie) oppure Sperling & Kupfer (ancora Mondadori) ha mandato in libreria I segreti del codice. La verità dietro Il Codice da Vinci (85 mila copie), ma sono solo due esempi di un vero e proprio filone che in molti -in Italia e all’estero- stanno cavalcando.
Buone le possibilità di successo se l’autore è un nome noto, ancora meglio se televisivo: la Storia d’Italia da Mussolini a Berlusconi di Bruno Vespa ha superato le 300 mila copie e risultati analoghi hanno ottenuto il libro di barzellette su Francesco Totti (il quale, stando al titolo, avrebbe curato la raccolta delle storielle) e Col cavolo della comica Luciana Littizzetto.
Su tutti svetta, però, il nome di Giorgio Faletti, comico, cantante e, da poco, autore di thriller: con Io uccido ha raggiunto i due milioni e mezzo di copie e con il successivo Niente di vero tranne gli occhi, uscito l’anno scorso, un milione. Da notare che qui l’editore non appartiene a un grande gruppo, ma è l’indipendente (che in questo caso non significa “piccolo”) Baldini Castoldi Dalai.
Sì, perché a volte la fortuna arride anche ai piccoli o medi editori di qualità, a saperla cercare. Com’è accaduto a Fazi Editore con il suo Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire di Melissa P. Confessioni erotiche di una minorenne del Sud Italia, una miscela a rischio d’esplodere, e così è stato: il libro ha venduto sul milione di copie in Italia (due e mezzo nel mondo), è stato tradotto in una trentina di Paesi e Francesca Neri ne farà un film. “Ma non è un successo costruito -assicura il direttore editoriale di Fazi Simone Caltabellota-. Il tema ha contribuito, ma involontariamente”. Magari, a costruire il caso, ci si può lavorare in fase di lancio: “Creando dissensi, che fanno più rumore -dice Martina Donati che per Fazi si occupa della promozione-, per esempio mandando a giornalisti sensibili ai diritti delle donne un libro accusato di misoginia come Klito di Giuseppe Carlotti”.
Esistono poi i best-seller “preterintenzionali”, non programmati, categoria a cui appartiene quello che ormai è diventato -a detta dell’editore italiano- un vero e proprio “fenomeno pop”: si tratta, ovviamente, della serie di Harry Potter, il maghetto adolescente partorito da J. K. Rowling. Con numeri da capogiro: 310 milioni di copie nel mondo, diritti venduti in 200 Paesi e tradotto in 62 lingue (latino compreso). Libri che hanno fatto la fortuna dell’editore inglese che l’ha lanciato nel 1997 (Bloomsbury) e di quelli che si sono assicurati le traduzioni, oltre che della Rowling stessa, che è diventata la scrittrice più ricca al mondo, la donna più ricca nel Regno Unito, e che da stime del Sunday Times ha accumulato un patrimonio di 730 milioni di euro.
“Quando ci è arrivata la proposta per Harry Potter e la pietra filosofale, il primo titolo della serie, non potevamo immaginare tutto questo”, ricorda oggi Mariagrazia Mazzitelli, direttore editoriale di Salani, che lo pubblica in Italia. “Era un titolo di qualità di un editore inglese di medie dimensioni, che l’aveva pubblicato con una tiratura iniziale di 5 mila copie”. Salani l’acquista e di copie ne stampa 20 mila, ma il successo non arriva subito: “Anzi: all’inizio abbiamo fatto fatica a farlo recensire e i librai si lamentavano perché il prezzo di copertina -25 mila lire- era troppo alto…”.
Intanto escono i titoli successivi, l’editore americano Arthur Levine acquista i diritti con un anticipo di 100 mila sterline, nel 1998 il secondo Harry Potter arriva ai vertici delle classifiche, la Warner Bros si assicura i diritti cinematografici per un milione di dollari, Time magazine dedica al maghetto la copertina… E poi è isteria collettiva, con code e code in libreria il giorno dell’uscita di una nuova puntata. Il sesto volume della serie solo negli Stati Uniti ha venduto quasi 7 milioni di copie nel giro di un paio di giorni: se siete tra i fan di Harry tenete duro, in Italia arriverà il 6 gennaio.
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Dai libri al Totocalcio. Ecco chi sono i “big”
Mondadori: È il vero colosso italiano, impegnato su più fronti: periodici, quotidiani, radio, tipografie, librerie. Nel 2004 ha fatturato 1,6 miliardi di euro.
La Divisione libri (407 milioni di euro e 2.022 novità pubblicate lo scorso anno) si è andata ingrandendo negli anni e oggi controlla o partecipa 12 case editrici: Einaudi, Sperling & Kupfer Editori, Frassinelli, Piemme, Mondadori Electa, Edumond Le Monnier, Electa Napoli, Harlequin Mondadori, Electa Bruno Mondadori, Edizioni EL, Grupo Editorial Random House Mondadori,
Il Mulino (7,05%).
Rcs Libri: Rcs Libri è il secondo gruppo editoriale italiano e parte del più grande Rcs Media Group (periodici, quotidiani -tra cui il Corriere della sera e lo spagnolo El mundo-, radio, pubblicità) con 556 novità solo nei titoli di “varia” pubblicati in Italia e quasi 360 milioni di euro di fatturato “italiano” (ma Rcs controlla anche la francese Flammarion ed editori di “collezionabili” all’estero: i ricavi complessivi della divisione libri superano i 700 milioni di euro). Le case editrici controllate: tra gli altri, Rizzoli, Fabbri, Bompiani, Sonzogno, Sansoni, Marsilio, Archinto, La coccinella, Adelphi, R.L. Libri (per i SuperPockets con Gems).
Longanesi: Il Gruppo editoriale Mauri Spagnol (Gems), è appena nato dalla precedente esperienza del gruppo Longanesi, che già riuniva le storiche famiglie di editori dei Mauri e degli Spagnol. Con Gems la nuova holding è controllata al 73,77% da Messaggerie Italiane (primo distributore librario italiano, dei Mauri) e dagli Spagnol per 23%.
Il gruppo ha un fatturato -a prezzo di copertina- di oltre 101 milioni di euro e un valore della produzione di quasi 60, con 842 novità nel 2004. Marchi controllati: Longanesi, Garzanti, Vallardi, Guanda, Corbaccio, Tea, Nord, Salani, Ponte alle Grazie, R.L. Libri (con Rcs).
De Agostini: Libri ma anche assicurazioni, finanza e… lotterie. De Agostini, il quarto gruppo editoriale italiano, fa parte di un holding che gestisce case editrici ma anche Toro Assicurazioni, De Agostini Invest e Lottomatica (Lotto, Totocalcio, Totip, Tris e lotterie, Gratta&Vinci, Totogol;
il Gruppo De Agostini ne detiene il 65%). De Agostini Editore è tra i leader nel settore “collezionabili” (le opere a fascicoli, per intendersi) e si occupa anche di vendita per corrispondenza, di scolastica e cartografia. I marchi, oltre a De Agostini: Atlas, Utet, Planeta De Agostini (nei Paesi di lingua spagnola e portoghese), De Agostini Periodici, Elea.
Ricavi De Agostini spa nel 2004: 5,6 miliardi di euro. De Agostini editore arriva a 1,7, (ma il settore principale è quello assicurativo, con 2 miliardi di euro di ricavi).
Edicola e “collaterali”: un boom da 76 milioni di copie
Anche i libri hanno i loro effetti collaterali. Si chiamano proprio così -collaterali- i volumi allegati a quotidiani e periodici. Un settore esploso negli ultimi tre anni: nel 2004 le edicole hanno venduto 76,5 milioni di copie di libri allegati, per un valore di 480 milioni di euro (erano 220 milioni nel 2002 e 328 milioni nel 2003). Ma non chiamateli best-seller. Precisa Giovanni Peresson, responsabile dell’Ufficio studi dell’Associazione italiana editori (Aie): “Sono un’altra cosa. I collaterali si giovano della pubblicità indiretta che i giornali dedicano loro e hanno a disposizione un canale di vendita molto più capillare: circa 38 mila edicole in Italia contro 2 mila librerie. E poi, certo, anche il prezzo molto basso gioca il suo ruolo”. Non tutti gli editori vedono però di buon occhio l’operazione. Sandro Ferri di e/o, per esempio: “Le librerie -sostiene- soffriranno della concorrenza delle edicole”. Un altro colpo a un corpo malato: “Già negli anni passati molte librerie hanno dovuto chiudere a causa degli sconti del 30% e del 40% praticati dalle grandi superfici (ipermercati), non potendo reggere una tale concorrenza”.
“La concentrazione e la globalizzazione dell’editoria trasformano il libro… in merce comune” costruita “in base a una logica di marketing”. È netta la tesi di Editoria condizionata di Janine e Greg Brémond (Edizioni Sylvestre Bonnard, 120 pagine, 9,50 euro) che racconta il processo di concentrazione dell’editoria francese, dove
il mercato oggi è in mano al gruppo Lagardère.
Editori indipendenti a raccolta: si svolgerà dall’8 all’11 dicembre a Roma “Più libri Più liberi”, la fiera nazionale della piccola e media editoria. L’obiettivo è quello di dare maggiore visibilità a un settore spesso sottovalutato “dai tradizionali canali di vendita dei libri”. Giunto alla sua quarta edizione, anche quest’anno l’appuntamento unirà agli stand degli editori anche convegni, incontri
e presentazioni.
Info: www.piulibripiuliberi. it
Passione artigianale e qualche sacrificio, l’alternativa è “indipendente”
Un delitto in un arcipelago del Mare del Nord, un ispettore nano, una comunità stregata dal meccanismo perverso di una lotteria che attira folle da tutto il mondo e diventa risorsa vitale dopo il declino della caccia alla balena.
Romanzo vincitore del Premio Calvino.
Luisa Carnielli, La lotteria, Marcos y Marcos,
281 pagine, 13,50 euro.
Nata nel 1980 a Milano, 700 mila euro di fatturato, 26 titoli l’anno, Marcos y Marcos privilegia un lavoro di tipo “artigianale”.
Com’è cambiata l’editoria?
Il cambiamento più radicale -spiega il direttore editoriale Claudia Tarolo- riguarda l’aumento spropositato dell’offerta. Il meccanismo è perverso: si producono sempre più novità, per ottenere un buon fatturato, che però è solo apparente, perché poi arrivano le rese. Per contrastare le rese si produce ancora un po’ di più… e si innesta il circolo vizioso.
Che ne pensa della “monocultura del best-seller” che contagia anche le sigle più piccole?
In un mercato così forsennato anche i piccoli tendono ad adeguarsi: chi produce poco teme di perdere terreno. E il best-seller diventa linfa vitale per coprire i costi della sovrapproduzione. Noi continuiamo a navigare controcorrente: pubblichiamo ostinatamente pochi libri, li curiamo con passione, ci accontentiamo anche delle due, tremila copie vendute.
Quindi il best-seller aiuta o uccide l’editoria “di progetto”?
Puntare al “grande colpo” va sempre a scapito delle scelte coraggiose, della qualità. Certo, il sogno di un libro che sfonda è condiviso da tutti gli editori di narrativa, noi compresi. L’importante è non farsi condizionare, né prima né dopo.
Un terrorista in bicicletta, con una passione per il cibo e un compito: “consegnare” una bomba a un hotel libanese. Ma un incidente
lo manda in ospedale, assistito dalla futura madre di suo figlio. Riuscirà a tornare in sella per l’attentato, ma andrà fino in fondo?
Viken Berberian, Il Ciclista, minimum fax,
220 pagine, 13 euro.
Editore “di culto” (pubblica Raymond Carver), minimum fax nel 2005 ha “macinato” 1,4 milioni di euro e 31 novità.
I piccoli puntano al fatturato?
Tutti cercano di vendere (sarebbe ipocrita dire il contrario) -dice il fondatore Marco Cassini- ma per un grosso gruppo il fatturato sarà il fine ultimo, mentre per il piccolo editore con un progetto di qualità è il mezzo per poter andare avanti.
Il best-seller contagia anche gli indipendenti “di sinistra”?
Se pensiamo, per esempio, a Feltrinelli come a un “editore indipendente e di sinistra”, è facile creare confusione mettendo nella categoria “indipendente” anche realtà editoriali molto grandi, e nella categoria “di sinistra” un approccio al mercato competitivo, quando non addirittura aggressivo. Non credo che ai piccoli ripugni l’idea di vendere tanto, ma credo che prima ricerchino la qualità della proposta editoriale e l’onestà intellettuale nel presentarla.
Le difficoltà di minimum fax?
Nati da un gruppuscolo di amici senza alcun capitale iniziale, lo “scontro” non è quasi mai stato contro i titoli da mass market, ma una sorta di piccola crociata pacifista alla conquista di ogni singolo lettore. Dopo dieci anni cerchiamo di “mantenere la posizione”. Ma non siamo nell’universo degli editori di Ken Follett o della Rowling. Per fortuna.