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La mancata riforma delle Rsa, nonostante la pandemia

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Tra marzo e aprile 2020 il Covid-19 ha causato più di 15mila morti nelle strutture. Anche se le condizioni restano difficili, chiuderle non è la soluzione. La rubrica a cura dell’Osservatorio internazionale per la coesione e l’inclusione sociale (OCIS)

Tratto da Altreconomia 269 — Aprile 2024

Inserita nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per rinnovare un sistema messo a dura prova dal Covid-19, la riforma della non autosufficienza è stata finalmente adottata nel 2023. Nello studio “Cronaca di una strage nascosta. La pandemia nelle case di riposo” (Mimesis, 2023) ho messo a fuoco i problemi che hanno avviato il processo di riforma, ricostruendo “la strage nascosta” nelle residenze sanitarie per anziani (Rsa) nei primi mesi della crisi sanitaria globale.

Tra marzo e aprile 2020 le “morti in eccesso” registrate in queste strutture furono 15.600: un terzo dell’intera mortalità da Covid-19 in quel periodo. Colpisce che la contabilità di quei decessi fosse completamente sfuggita alle statistiche ufficiali, sulla cui base le autorità di governo presero le misure emergenziali durante le prime ondate pandemiche. Senza dati, quale politica fu possibile adottare?

Come illustrato nel volume, in quei due mesi terribili il virus che si diffuse silenziosamente nelle case di riposo aggredì moltissimi residenti causando un numero estremamente elevato di decessi non registrati nelle statistiche ufficiali, provocando la protesta di parenti e lavoratori delle Rsa nonché, infine, l’apertura di varie inchieste giudiziarie (alcune delle quali ancora in corso). Solo il 5 aprile 2020, la “strage nascosta” irruppe sui media a seguito di un’inchiesta giudiziaria sul Pio Albergo Trivulzio, la più importante istituzione assistenziale di Milano.

Come poté accadere? Non fu solo fatalità: in altri Paesi, in condizioni molto simili, i decessi furono molto meno. E colpisce inoltre l’assenza di informazioni e conoscenze sulle Rsa prima e durante la pandemia. In questo quadro non stupisce che la regolamentazione emergenziale si sia dimostrata molto lacunosa: mentre in Italia chiudevano scuole e stadi, le residenze per anziani restavano aperte alle visite dei parenti; il turn-over degli operatori aumentava invece di ridursi; le mascherine non furono rese disponibili così come i test diagnostici, utili a curare i malati e proteggere i sani.

La pandemia ha dunque messo a nudo la marginalità di queste strutture all’interno del Servizio sanitario nazionale, nei rapporti di potere sbilanciati all’interno della governance delle decisioni pubbliche, a cui corrispondono inevitabilmente standard di qualità inadeguati, ridotti finanziamenti pubblici, assenza di controlli.

Se oggi le vaccinazioni di massa hanno sventato il pericolo di nuove stragi, le condizioni di lavoro e di vita in queste strutture sono rimaste invariate, con livelli molto bassi di sicurezza e di qualità delle prestazioni. Né si è più parlato di una riforma delle case di riposo.

Il Pnrr, la successiva Legge Delega sugli anziani e il decreto delegato approvato l’11 marzo 2024 sono state occasioni perse. L’idea oggi dominante è che sia stata proprio un’eccessiva “istituzionalizzazione” degli anziani ad aver contribuito alla strage e che la soluzione, dunque, stia nel chiudere le case di riposo.

In realtà, un ridimensionamento del sistema delle Rsa sarebbe un rimedio peggiore del male che si intende abolire. Per gran parte delle persone che vi risiedono (anziani over 85 afflitti da multi-morbilità o da disagio cognitivo) non esistono alternative reali perché la loro disabilità è troppo grave, i familiari non ci sono e altre soluzioni (inclusa la badante) non sono più possibili.

Chi sostiene la necessità di chiudere queste strutture condanna molti anziani non autosufficienti a un ricovero improprio oppure obbliga le famiglie, quando presenti, a un surplus di cura e di sofferenza. Soprattutto, aumenta l’insicurezza dei più fragili, esposti alla mancanza di un’adeguata tutela sanitaria.

Se qualcosa possiamo imparare dalla pandemia, per il nostro futuro e non solo per risarcire gli oltre 15mila morti, è di ridare valore al sistema delle residenze, fissando una responsabilità nazionale conseguente all’identificazione delle Rsa come Livello essenziale di assistenza.

Costanzo Ranci è professore ordinario di Sociologia economica presso il Politecnico di Milano e membro dell’Osservatorio internazionale per la coesione e l’inclusione sociale (Ocis)

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