Opinioni
La legge, l’eccezione e la Val Susa
Le accuse di “attentato per finalità terroristiche” e “terrorismo” agli esponenti del movimento No Tav non reggono. Cadono alla prova del diritto. Il commento di Livio Pepino, già magistrato e membro del Csm: "Secondo la Cassazione -scrive su Ae- la struttura e/o la motivazione della misura cautelare erano inadeguate, cioè tecnicamente ingiuste"
La vicenda è esemplare. Non solo per la Val Susa. Il 14 maggio 2013, mentre è in atto una dura contestazione del movimento No Tav contro la realizzazione del tunnel geognostico della Maddalena (propedeutico alla linea ferroviaria Torino-Lione), una ventina di suoi esponenti “assaltano” il relativo cantiere dando fuoco a un compressore e lanciando sassi e “artifici esplosivi e incendiari” senza provocare danni di sorta a operai e agenti di polizia. A ciò segue -doverosamente- l’apertura di un procedimento penale per reati comuni (detenzione e porto di armi, violenza a pubblico ufficiale ed altro). Ma, qualche mese dopo la contestazione viene modificata in quella di “attentato per finalità di terrorismo” e “atti di terrorismo” ai sensi degli articoli 280 e 280 bis del Codice penale. Ne segue, il 5 dicembre, l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere (anche) per tali reati nei confronti di quattro giovani. Pubblici ministeri e giudici della cautela pongono a fondamento della contestazione: a) l’idoneità del fatto ad arrecare un grave danno al Paese (“è indubbio che azioni violente come quella della notte di maggio arrechino un grave danno al Paese quanto all’immagine – in ambito europeo – di partner affidabile”); b) l’attitudine dell’“attacco al cantiere”, in considerazione delle modalità e del contesto, a intimidire la popolazione e/o a costringere i poteri pubblici ad astenersi dalle attività necessarie per realizzare la nuova linea ferroviaria.
La forzatura della contestazione appare evidente. È, infatti, agevole rilevare che: a) l’affermazione secondo cui dalla mancata realizzazione della nuova linea ferroviaria deriverebbe “un grave danno per il Paese” e per la “sua immagine di partner europeo affidabile” è una semplice petizione di principio in un contesto in cui il dibattito sull’utilità dell’opera è più che mai aperto e in cui diversi Paesi -dal Portogallo all’Ucraina- vi hanno rinunciato senza con ciò diventare “inaffidabili”; b) secondo la giurisprudenza di legittimità, la connotazione terroristica o eversiva di un atto o di una pluralità di atti “non può identificarsi nel concetto di una qualsiasi azione politica violenta […], ma si identifica necessariamente nel sovvertimento del basilare assetto istituzionale e nello sconvolgimento del suo funzionamento, ovvero nell’uso di ogni mezzo di lotta politica […] che sia in grado di rovesciare, destabilizzando i pubblici poteri e minando le comuni regole di civile convivenza, sul piano strutturale e funzionale, il sistema democratico previsto dalla Carta costituzionale” (Cassazione, sezione V, 13 marzo 2012); c) la mancanza, nel fatto specifico, del carattere terroristico non può essere surrogata dal “contesto” richiamato nella misura cautelare, anche in considerazione del fatto che l’elenco degli episodi di violenza avvenuti in Val Susa tra il gennaio 2012 e l’ottobre 2013 riportato nell’ordinanza cautelare, che è disordinato e approssimativo, può (forse) evocare delle suggestioni ma non sostituire la prova richiesta nel processo penale: a maggior ragione considerando che i più gravi tra gli episodi elencati (tra cui tutti i cosiddetti sabotaggi) sono successivi al fatto oggetto di contestazione (sic!) e che dei circa 60 episodi precedenti (tutti di autore ignoto) alcuni sono insignificanti e altri riguardano lettere intimidatorie anonime. Alla misura segue una campagna politica e di stampa tesa, senza esclusione di colpi, a isolare e “criminalizzare” il movimento No Tav (anche enfatizzando episodi sospetti, come l’aggressione -poi rivelatasi simulata- all’autista di uno del pubblici ministeri che indagano sul movimento No Tav). Il movimento reagisce con decine di manifestazioni e iniziative di protesta, trovando sostegni anche nel mondo della cultura e dello spettacolo, mentre si segnala un fragoroso silenzio dei giuristi, cui pure competerebbe una vigilanza e un controllo sull’esercizio della giurisdizione. Infine, il 15 maggio, la misura cautelare arriva al vaglio della Cassazione: i giudici di legittimità annullano l’ordinanza del Tribunale del riesame, smentendo in modo univoco l’impostazione della Procura della Repubblica di Torino e dei giudici della cautela.
Per una valutazione più compiuta è necessario attendere il deposito della motivazione, ma una cosa è chiara: secondo la Cassazione la struttura e/o la motivazione della misura cautelare erano inadeguate, cioè tecnicamente “ingiuste”. C’è, nelle prime dichiarazioni degli ambienti giudiziari e nei commenti dei media mainstream (da sempre uffici stampa degli inquirenti), il tentativo di minimizzare, adombrando che l’annullamento sia conseguenza di semplici errori formali. Non è così. La natura del provvedimento impugnato e i motivi del ricorso non lasciano dubbi sulle ragioni dell’annullamento: “inosservanza o erronea applicazione della legge penale” e/o “mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione” (così l’articolo 606 del Codice di procedura penale). In altre parole: o le norme che prevedono l’attentato per finalità di terrorismo e gli atti di terrorismo sono state erroneamente interpretate e mal applicate o i pubblici ministeri e i giudici hanno motivato in modo contraddittorio e/o illogico la riconducibilità a tali norme delle condotte degli imputati.
Non ingannino la mancata scarcerazione degli imputati e il rinvio degli atti al Tribunale della libertà per un nuovo esame, trattandosi di conseguenza obbligata in presenza -tra l’altro- di ulteriori contestazioni (detenzione e porto di bottiglie molotov e bombe carta e violenza a pubblico ufficiale). L’evocazione del terrorismo e la sua configurabilità con riferimento all’assalto al cantiere della Maddalena del 14 maggio 2013 escono profondamente intaccate dal vaglio della Cassazione. È un buon viatico affinché il processo che si è aperto davanti alla Corte di assise di Torino il 22 maggio sia un giudizio sereno e rispettoso delle garanzie di tutti, e non uno scontro di tipo militare tra i “paladini della democrazia” e i suoi “nemici”, come si è tentato di accreditare in questi mesi. —
* già magistrato e membro del Csm, è co-direttore della rivista “Narcomafie”