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La giustizia può attendere – Ae 95
Tutti assolti i 13 “no global” fatti arrestare nel 2002 dalla procura di Cosenza per i fatti del G8 di Genova. Tra luglio e novembre attese le prime sentenze per Bolzaneto e Diaz. Ma scattano le prescrizioni L’arresto di venti…
Tutti assolti i 13 “no global” fatti arrestare nel 2002 dalla procura di Cosenza per i fatti del G8 di Genova. Tra luglio e novembre attese le prime sentenze per Bolzaneto e Diaz. Ma scattano le prescrizioni
L’arresto di venti attivisti definiti “no global”, la notte del 14 novembre 2002, sembrò subito un’enormità. Erano accusati di reati gravissimi -come associazione sovversiva e l’impedimento dell’azione di governo- e anche misteriosi, come il progetto di “sovvertire violentemente l’ordine economico costituito nello Stato”.
In sostanza la procura di Cosenza accusava gli arrestati (e i cinque messi ai domiciliari, più altri 43 indagati) di avere organizzato, a vario titolo, le violenze avvenute al G8 di Genova del 2001 e inquadrava quegli episodi come una sorta di attacco mortale allo Stato. Alcuni degli arrestati furono addirittura condotti in carceri di massima sicurezza e detenuti in celle di isolamento, vicino a killer e mafiosi. Pareva tutto esagerato, non credibile, eccessivo. Sono passati cinque anni e mezzo, gli imputati rinviati a giudizio sono scesi a tredici e alla fine il tribunale -il 24 aprile scorso- ha riconosciuto che le tesi dell’accusa sono prive di fondamento. Tutti assolti, per quanto il pm Domenico Fiordalisi avesse chiesto pene per un totale di cinquanta anni di reclusione.
Si potrebbe dire che giustizia è fatta, e sicuramente è così, ma solo sul piano delle procedure giudiziarie. Il tanto -troppo- tempo passato fra gli arresti e la sentenza di primo grado e la pesantezza delle misure cautelari inflitte inizialmente agli indagati, lasciano una forte sensazione di ingiustizia. Resta anche un’altra sensazione, e cioè che il procedimento di Cosenza, basato su un dossier del Ros dei carabinieri rifiutato da alcune procure prima che arrivasse sul tavolo del dottor Fiordalisi, sia stato usato come una clava per colpire e assestare un colpo letale all’immagine di un movimento che nel 2001 scosse molte coscienze.
La grande partecipazione popolare e associativa alla contestazione del vertice G8 spaventò il mondo politico, che si trovò alle prese con un movimento sconosciuto e in grande crescita.
Le violenze delle forze di polizia, com’è ormai chiaro, non furono casuali: servivano a criminalizzare quel movimento e le sue idee, in modo da bloccarne sul nascere il radicamento. La procura di Cosenza, probabilmente, si accodò all’operazione avviata l’anno prima. L’esito processuale, per il pm Fiordalisi, è stato disastroso: la sua farraginosa inchiesta non ha retto il confronto coi giudici e sarà probabilmente ricordata come una delle pagine meno gloriose della nostra magistratura.
Nonostante ciò, l’opera di criminalizzazione è sostanzialmente riuscita, e questo è un motivo di grande amarezza per chi partecipò alle giornate del luglio 2001. È vero che a Genova sono in corso due processi che potrebbero mettere nero su bianco, con sentenze di primo grado attese fra luglio e novembre (a gennaio 2009 scatterà la prescrizione), le responsabilità delle forze dell’ordine per episodi gravissimi come i maltrattamenti sui detenuti nella caserma di Bolzaneto e la sanguinosa perquisizione alla scuola Diaz. È però altrettanto vero che le condanne non sono scontate (specie per la Diaz) e che nel bilancio giudiziario del G8 va messo anche il mancato processo per l’uccisione di Carlo Giuliani, avvenuta secondo lo Stato italiano a causa di un calcinaccio che avrebbe deviato
un proiettile sparato da un carabiniere in condizioni di legittima difesa: una versione dei fatti così poco credibile che difficilmente avrebbe superato il vaglio di un dibattimento pubblico.
Alla fine, fra Cosenza e Genova, emerge una considerazione generale: il nostro Paese è stato incapace di cogliere la novità costituita dai movimenti “altermondialisti”. Anziché aprire un serio dibattito pubblico sulle molte a argomentate ragioni dei “contestatori”, nel 2001 si è inviata la polizia e si è poi delegato ai tribunali il compito di valutare l’abisso in cui precipitò la nostra democrazia. Abbiamo così aggiunto scempio a scempio.
I giudici, a questo punto, possono limitare i danni, ad esempio assolvendo gli imputati di Cosenza, ma non tocca a loro riportare il dibattito lungo i binari della discussione politico-culturale e della democrazia.