Altre Economie
La formula segreta
È l’acqua l’ingrediente chiave della Coca-Cola: il canone riconosciuto dalla multinazionale alle Regioni per poterla estrarre dai pozzi è irrisorio. Nel 2011, ha prelevato oltre 2,4 miliardi di litri in cambio di poche decine di migliaia di euro. La filiale italiana della società fattura oltre un miliardo di euro —
La carta d’identità di una bevanda è la sua etichetta. E quella rossa che “abbraccia” ogni bottiglia di Coca-Cola parla chiaro: alla base di tutto c’è acqua, il primo ingrediente della lista.
Acqua di falda profonda, acqua di alta qualità, ma acqua quasi gratis: oltre 2,4 miliardi di litri (nel 2011) in cambio di poche decine di migliaia di euro. Perché l’acqua che usa Coca-Cola viene prelevata da pozzi che l’azienda trivella all’interno degli stabilimenti: alle Regioni, in cambio, viene riconosciuto il “canone per l’uso di acqua pubblica”, che può essere calcolato sulla portata media delle concessioni (un tot per litro/secondo) o sul volume massimo di cui l’azienda può appropriarsi in un anno.
Quell’acqua dal costo light, molto più basso rispetto a quella del vostro rubinetto, una volta imbottigliata, diventa Coca-Cola, Fanta, Sprite. Bevande distribuite in tutta Italia da Coca-Cola HBC Italia, una srl che fattura 1,099 miliardi di euro (nel 2012), mentre la casa madre, The Coca-Cola Company, uffici ad Atlanta ma sede “fiscale” in Delaware (Stato Usa a fiscalità agevolata, per usare un eufemismo), ha chiuso il 2012 con un fatturato di 48 miliardi di dollari e oltre 9 di utili (vedi box).
Secondo la leggenda, alla base del successo di Coca-Cola ci sarebbe una “ricetta segreta”, ma quel che Ae può rivelare è che l’acqua low cost ne è l’ingrediente principale. Per capirlo siamo partiti dal più grande stabilimento italiano della multinazionale, che è a Nogara, in provincia di Verona, e da un’assenza. Perché il Comune di Nogara non è nell’elenco allegato alla delibera della Regione Veneto che riporta tutti gli enti locali che partecipano alla “ripartizione” dei canoni di concessione pagati dalle aziende che imbottigliano acqua minerale in Veneto, oltre 2,5 miliardi di litri (vedi Ae 147).
Abbiamo chiesto spiegazioni in Regione, ricevendo una risposta incompleta: l’azienda si procurerebbe “sul mercato la materia prima”. Non ci hanno convinto: un po’ perché scorrendo il bilancio di Coca-Cola HBC Italia non abbiamo letto la voce “acquisto acqua grezza”, un po’ perché mai abbiamo visto, o letto, di cisterne piene d’acqua incolonnate sull’A22 o sulla Ss 12 dell’Abetone e del Brennero, dirette a Nogara. Nello stabilimento, infatti, s’imbottigliano, in media, 1.370 metri cubi d’acqua al giorno (che calcolando una media di 25 metri cubi a cisterna, sarebbero 55 autotreni). Alla ricerca del “mercato” ci siamo rivolti ad Acque Veronesi, che qui gestisce l’acquedotto: risposta negativa, ci hanno spiegato di non fornire acqua potabile a Coca-Cola.
La risposta che cercavamo è invece in due decreti della Giunta regionale del Veneto (sono il 252 del 17 agosto 2009 e il 119 del 23 febbraio 2012). Il più importante è il secondo, perché si tratta di un rinnovo: l’azienda potrà sfruttare, fino alla fine del 2018, tre pozzi, tutti “da falda sotterranea”. L’acqua prelevata sarà destinata “ad usi industriali, potabile, igienico ed assimilati”. La portata media della concessione è di 32 litri al secondo, quella massima di 60. In tutto, l’azienda può prelevare “un volume complessivo di metri cubi/annui 976.332”. Quasi un miliardo di litri d’acqua, in cambio del “pagamento del canone annuo di euro 9.551,49” per il 2012, da adeguarsi ai sensi dell’indice Istat per gli anni successivi.
Con il decreto dell’agosto 2009, invece, a Coca-Cola Hbc Italia srl viene concesso il diritto a scavare un nuovo pozzo, sempre “dalla falda sotterranea”, per derivare una portata media di 3 litri al secondo e massima di 18. Il canone annuo qui è calcolato in 3.854,60 euro. Questa seconda concessione -in scadenza al 31 dicembre 2016- dovrebbe garantire a Coca-Cola una disponibilità ulteriore tra i 293 e i 394mila metri cubi d’acqua. Facciamo due conti: per una quantità d’acqua tra 1,27 e 1,37 miliardi di litri, Coca-Cola Hbc Italia versa nelle casse di Regione Veneto 13.406 euro all’anno, salvo adeguamento Istat. Se fosse un cittadino della Provincia di Verona per quell’acqua potabile pagherebbe circa 597mila euro, 45 volte di più.
Per restare al Nord, l’altro stabilimento di Coca-Cola Hbc Italia è a Gaglianico, in provincia di Biella. È uno di quelli coinvolti nel processo di riorganizzazione industriale, che prevede l’esternalizzazione della logistica e delle gestione del magazzino (vedi a pagina 10). Qui l’atto di riferimento per l’acqua è la Determinazione dirigenziale dell’aprile 2009, pubblicata sul Bollettino ufficiale della regione Piemonte. È una variante alla concessione originaria, del dicembre 2004: Coca-Cola, qui, può derivare una portato massima di 34 litri al secondo e una portata media di 22,20. E fino a 666mila metri cubi d’acqua.
Il documento specifica che l’acqua sarà destinata alla “produzione di beni e servizi (fabbricazione, trattamento ed immissione sul mercato di bevande destinate al consumo umano ed attività di processo correlate con la produzione)”, e che essa proviene “esclusivamente da falde sotterranee profonde”. Entrambe le specifiche sono importanti, perché -come spiega ad Ae Davide Calà, che lavora presso l’Ufficio canoni della Direzione pianificazione risorse idriche della Regione Piemonte- “la falda profonda è salvaguardata per legge, perché dev’essere destinata all’uso potabile. Dal prossimo anno, perciò, chi utilizza acque da falda profonda non per consumi umani (diretti, ndr) pagherà un canone triplicato”. Nel frattempo, però, il canone (anche) per Coca-Cola è quello che si ottiene moltiplicando un parametro fisso (la portata media della concessione) per il canone unitario. Quindi 22,20 per 164,28 euro. Il totale è di 3.647 euro.
Oltre a Nogara e a Gaglianico, Coca-Cola ha stabilimenti a Marcianise, in provincia di Caserta, Elmas, in provincia di Cagliari (in fase di dismissione, però), Oricola, nei pressi de L’Aquila. In Sicilia le bevande a marchio Coca-Cola sono invece imbottigliate da Sibeg (www.sibeg.it), a Catania. Abbiamo cercato ovunque le stesse informazioni ottenute in Veneto e in Piemonte. In due casi -Sicilia e Sardegna- abbiamo presentato formale istanza di accesso agli atti, che resta inevasa mentre andiamo in stampa. In Abruzzo, invece, l’“atto” relativo alla concessione non è ancora stato pubblicato sul Bura, il Bollettino della Regione Abruzzo: è dei primi mesi del 2013, e -spiega un funzionario del Genio civile di Avezzano (Aq)- autorizza la Coca-Cola a sfruttare 5 pozzi, da una falda profonda, per una portata di 50 litri al secondo. Il canone, “triplicato” in virtù della qualità dell’acqua prelevata è di “15mila euro e rotti”.
Sommando i tre stabilimento di Oricola, Nogara e Gaglianico, perciò, fanno circa 32mila euro in un anno. Di ottima acqua, che però non ha bisogno di essere riconosciuta come minerale.
Perché a Coca-Cola non serve: la legge che disciplina il settore delle bevande, del 1958, ne prevede la possibilità, ma esclude di far riferimento sulle confezioni “ad indicazioni terapeutiche e alle caratteristiche medico-fisiche e batteriologiche dell’acqua minerale”. Che al brand Coca-Cola (forse) nemmeno servono: l’immagine è tutta in quell’etichetta rossa di cui pochi guardano il contenuto. Nemmeno nel marchio, cui l’azienda ha “rinunciato” da maggio e fino ad agosto 2013 mettendo in vendita 350 milioni di lattine e bottiglie “personalizzate” con “i 150 nomi più comuni tra la popolazione tra i 13 e i 19 anni in Italia”. È la campagna #condividiunacocacola (www.condividiunacocacola.com), cui ci associamo: chiediamo all’impresa di condividere con l’Italia parte dei propri utili, 1,97 dollari per azione, che invece volano in Delaware, dove le tasse non se le bevono. —
Acqua passata
Per produrre un litro di acqua minerale, Coca-Cola impiega 1,58 litri d’acqua minerale e ne preleva 2,23. Questi i dati della “Ricetta socio-ambientale” di Coca-Cola HBC Italia, che si riferiscono alle performance degli stabilimenti lucani di Rionero in Vulture e Monticchio (Potenza), dove vengono imbottigliate le acque Lilia, Sveva, Vivien, Toka, Solaria e Felicia. Nel 2011, Fonti del Vulture -società acquistata da Coca Cola nel 2006- ha imbottigliato 456,6 milioni di litri di acque minerali (contro 1.424,4 milioni di litri di bevande), che rappresentano il 25% dei “volumi di vendita” di Coca Cola HBC Italia. In tutto, l’azienda ha prelevato 1.015.595 metri cubi d’acqua. Dato che in Basilicata il canone è di 0,3 euro per metro cubo, costa 137mila euro.
L’imposizione è "light"
Si chiama sempre Coca-Cola, ma non è una sola: la società italiana, che si chiama Coca-Cola HBC Italia, ha sede a Milano. La sigla HBC sta per Hellenic Bottled Company. È infatti controllata al 100 per cento da Coca-Cola Hellenic Bottling Company S.A., nata nel 2000 dalla fusione tra HBC, con sede ad Atene, e Coca-Cola Beverages, con sede a Londra. È una società quotata ad Atene, New York e Londra, che imbottiglia e distribuisce prodotti a marchio The Coca-Cola Company in 28 Paesi (27 in Europa più la Nigeria). Nel 2012 ha fatturato 7,04 miliardi di euro, in crescita del 3,2% rispetto al 2011. Il mercato italiano, il più importante dopo quello russo, contribuisce per il 15,6 per cento. I principali azionisti di Coca-Cola Hellenic -entrambi detengono il 23 per cento circa- sono Kar-Tess Holding S.A., una holding con sede in Lussemburgo, e The Coca-Cola Company. Quest’ultima è “la Coca Cola di Atlanta, Georgia”, con uffici presso la One Coca-Cola Plaza ma sede fiscale in un altro Stato Usa, il Delaware, che attrae imprese offrendo fiscalità agevolata. Il rapporto annuale della società, redatto secondo i dettami della Securities and Exchange Commission Usa, e che evidenzia 48 miliardi di dollari di fatturato e 9 di utili, evidenzia che “bevande e prodotti finiti garantiscono maggiori entrate ma minori margini operativi rispetto ai concentrati e sciroppi”. Che sono venduti (anche) a favore di imbottigliatori nei quali The Coca-Cola Company detiene partecipazioni, tra cui Coca-Cola HBC: è così che parte dei ricavi italiani volano in Delaware. Mentre il bilancio 2011 di Coca-Cola HBC Italia è in “rosso”, per 39,23 milioni di euro.