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Economia / Opinioni

La flat tax della Lega vista da vicino: ecco perché è un regalo per i redditi più alti

© Duilio Piaggesi / Fotogramma

Il sistema di aliquote previsto nel Disegno di legge a firma Siri, Salvini e altri agevola quel 10% che ha posseduto, nel 2021, il 32,21% del reddito totale nel nostro Paese, di cui l’1% ben l’8,71%. Lo dimostra una lettura attenta del testo che smentisce le rassicurazioni dei promotori della “tassa piatta”

Molto si è parlato della flat tax, spesso in modo superficiale, con una banale semplificazione e con la pubblicazione, non solo sui social, di tabelle errate e fantasiose riprese anche da politici di primo piano, come il senatore Antonio Misiani, responsabile economico e fiscale del Partito democratico, e in genere dagli esponenti di “sinistra” in una logica di contrapposizione elettorale nei confronti di chi la propone. Una contrapposizione comprensibile come la campagna elettorale dovrebbe però essere anche “informazione”, specialmente su temi tanto importanti, e richiederebbe maggiore attenzione.

Ho esaminato perciò il Disegno di legge (S. 1831) depositato da Armando Siri, Matteo Salvini e altri il 2 novembre 2020 e aggiornato all’11 settembre 2022.
Sgombriamo innanzitutto il campo dai dubbi di legittimità costituzionale in quanto violerebbe il secondo comma dell’articolo 53 della Costituzione (“Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”), dubbi anche miei prima dell’analisi del testo. La progressività è garantita da un meccanismo di deduzioni variabili come evidenzia la quarta colonna della tabella che ho predisposto. La norma contenuta nel Ddl, però, solleva ulteriori perplessità e dubbi di legittimità dovute anche al fatto che non è chiara, anzi è proprio confusa.

L’applicazione della flat tax è divisa in tre fasi, la prima relativa alle cosiddette “partite Iva”, già in vigore, la seconda quella contenuta nel Ddl, che si sta esaminando, e la terza, da completarsi entro cinque anni, di cui non si conosce la decorrenza. Nella seconda fase è previsto un nuovo schema impositivo suddiviso in tre tipi di nuclei familiari. La “famiglia monocomponente”, un brutto neologismo che anche i correttori rifiutano, ovviamente senza carichi familiari, sino ad un reddito di 30.000 euro; la famiglia monoreddito con carichi familiari, sino a un reddito di 55.000 euro; la famiglia “bireddito”, con carichi familiari, sino a un reddito di 70.000 euro.

Su quella “bireddito” sorgono i primi dubbi di legittimità in quanto la sentenza della Corte costituzionale 179 del 1976 ha dichiarato incostituzionale il cumulo dei redditi per la determinazione degli stessi, cosa che sembra prevista invece dal Ddl, per come descritta e impostata. La sentenza della Consulta è stata originata dal fatto che, prima della sua emanazione, le imposte erano calcolate sul reddito complessivo del nucleo familiare. Siri e Salvini, nati rispettivamente nel 1972 e 1973, potrebbero però anche non conoscerla, cosa che reputo poco accettabile per chi ha una “funzione” legislativa.
Anche per questo motivo ho deciso di predisporre una tabella riferita ad una famiglia monoreddito con coniuge e due figli a carico, quella più vicina alla famiglia tipo italiana.

Nella prima parte della tabella, quella sino a un reddito di 55.000 euro, il meccanismo ipotizzato produce un risparmio delle imposte con un difetto, quello cioè di aumentare in funzione dell’aumento del reddito mentre per il principio della contribuzione in rapporto alla capacità contributiva dovrebbe essere più consistente per i redditi minori che, quasi sempre, non hanno alcuna capacità contributiva. Secondo la narrazione elettorale della Lega e confermata dal suo ideatore, Armando Siri, in un recente dibattito televisivo, la riforma, la sua seconda fase, avrebbe dovuto fermarsi qui, rinviando le modifiche per i redditi superiori alla terza fase, quella da realizzarsi entro il quinquennio.

Con grande sorpresa, però, trovo nell’art. 15 del Ddl con effetto già nella seconda fase, l’eliminazione di aliquote attualmente applicate, quelle terminali, le più alte, per cui le aliquote che entreranno in vigore, subito, saranno il 23% sino a 15.000 euro, il 27% da 15.000 a 28.000 euro, il 38% oltre 28.000 euro. Con un risparmio d’imposta per i redditi più alti indicato nella seconda parte della tabella che ho predisposto e con la previsione che per gli incrementi di reddito successivi sarà applicata l’aliquota del 15%.

Si tratta quindi di un regalo per i redditi più alti. Cioè per quel 10% che ha posseduto, nel 2021, secondo il World inequality database, il 32,21% del reddito totale, di cui l’1% l’8,71%, un regalo ipotizzabile solo da chi non ha rispetto dei cittadini e non si preoccupa del disagio della maggior parte delle famiglie, nonostante si continui ad affermare il contrario.

Quando il senatore Siri, a richiesta, ne ha omesso una parte, ha mentito. E questo non è grave, è peggio per un esponente chiamato a rappresentare i cittadini. Ma l’omissione non è solo questa. Sempre a richiesta, Siri ha inoltre precisato che le minori entrate per lo Stato sarebbero previste in 13 miliardi di euro, dimenticandosi però che l’art. 26 del Ddl prevede altri nove miliardi di euro di minori entrate per effetto delle riduzioni delle aliquote, comprese quelle delle società, forse contando sul fatto che i colleghi senatori non lo abbiano letto.

Remo Valsecchi, già commercialista

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