Ambiente / Opinioni
La fine del carbone, il più inquinante tra i combustibili fossili
Investire in energia fossile nel 2021 non è solo irresponsabile dal punto di vista ambientale, è economicamente rischioso. La rubrica a cura di Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici
La pandemia da Covid-19 ha causato un calo delle emissioni di CO2 e di altri inquinanti atmosferici. Sono infatti diminuiti in primis i consumi di combustibili fossili nel settore dei trasporti ma anche i consumi di alcune attività industriali ne hanno risentito. Le stime non sono semplici ma si parla di riduzioni tra il 5% e il 10% delle emissioni dell’anno precedente, a seconda di quanto sono state estese e incisive le misure di limitazione agli spostamenti e alle attività delle persone. Il calo è temporaneo ma alcuni effetti rimarranno a lungo. Uno di questi è il minore utilizzo di carbone per produrre energia elettrica. Il carbone, in altre parole, potrebbe essere una delle vittime di questa pandemia.
La sorte del carbone era già da tempo segnata: una politica sul clima in linea con l’Accordo di Parigi è incompatibile con l’uso del carbone e gli investitori del settore dell’energia questo messaggio l’avevano già capito, prima della pandemia. Inoltre il costo di produzione dell’energia solare ed eolica è diminuito molto negli ultimi anni, e in molte zone è diventato competitivo. Non solo costruire una centrale a carbone non è più conveniente, anche tenere in vita decine di centrali già esistenti comporta una perdita economica.
Uno studio pubblicato nel 2018 aveva mostrato che questo valeva negli USA per il 70% delle centrali a carbone. Il motivo per cui queste sono state più colpite dalla pandemia è che la diminuzione della domanda di elettricità ha comportato lo spegnimento o il minore funzionamento proprio delle centrali a carbone. Chi gestisce un impianto a combustibili fossili deve pagare ogni singola tonnellata di carbone o gas che brucia. Al contrario, una volta costruito un impianto eolico o solare i costi di gestione sono molto bassi, quindi conviene continuare a produrre elettricità anche se la domanda si riduce.
L’utilizzo del carbone negli Stati Uniti era già in calo. Se si guardano i dati, si scopre che gli anni della presidenza di Donald Trump sono stati quelli in cui negli Stati Uniti la riduzione del carbone è stata maggiore. Una beffa, se si pensa all’impegno profuso da Trump per ostacolare le energie rinnovabili e compiacere l’industria fossile. E se si pensa quanto Trump è stato sostenuto dalle lobby del liberismo a intermittenza, estremo quando si devono colpire i diritti sociali, moderato quando ci sono da sovvenzionare con fondi pubblici i propri portafogli.
La riduzione nell’uso del carbone nel 2020 ha riguardato anche Cina e India, Paesi in cui è stata cancellata la costruzione di decine di impianti a carbone. In Europa i primi due mesi del 2021 hanno visto schizzare in alto il costo della CO2 nel mercato del sistema europeo di scambio delle quote di emissione (Emission trading system). Ora una tonnellata di CO2 in Europa costa 38 euro, costava cinque euro solo quattro anni fa.
Se venissero messe in campo le migliori misure di politica climatica, le emissioni di CO2 dalla produzione di energia elettrica diminuirebbero ancora più rapidamente di quanto sta avvenendo. Tra queste -vale la pena ricordarlo- ci sono anche misure per aiutare i lavoratori della filiera industriale del carbone, dai minatori ai lavoratori delle centrali, che perderanno il posto. Oggi è più facile capire la necessità della transizione e quanto sia ormai inarrestabile.
Investire in energia fossile nel 2021 non è quindi solo irresponsabile dal punto di vista ambientale, è economicamente molto rischioso; per questo è difficile che il carbone si riprenderà da questa crisi. È probabile quindi che il picco dell’uso di carbone sia passato e il 2013 possa essere ricordato in futuro come l’anno in cui gli esseri umani hanno consumato la maggiore quantità, otto miliardi di tonnellate. Quando finisce questa pandemia, una piccola festa per celebrare la fine del più inquinante fra i combustibili fossili potremmo anche organizzarla.
Stefano Caserini è docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “Il clima è (già) cambiato” (Edizioni Ambiente, 2019)
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