Ambiente / Reportage
La diga che divide la Georgia e potrebbe scatenare una rivolta
Il governo guidato dalla coalizione Georgian Dream punta sulla realizzazione del maxi impianto idroelettrico. L’appalto è stato vinto dall’italiana Salini-Impregilo, ma i costi preventivati -1 miliardo di dollari- sarebbero già cresciuti. Le comunità della regione della Svanezia, che non sarebbero state consultate, sono in agitazione
“Se vogliono la guerra, l’avranno”. Gari Chkhvimiani non usa giri di parole per spiegare l’opposizione totale della comunità di Chuberi contro la costruzione del mega impianto idroelettrico di Nenskra. Siamo in Svanezia, una regione dell’alto Caucaso georgiano, famosa per le spettacolari vette innevate e per i suoi fiumi impetuosi. A due passi da qui c’è il confine con la Russia e con la repubblica de facto indipendente dell’Abkhazia, che la Georgia ha “perso” durante la guerra del 2008 contro le truppe di Mosca.
“Gli uomini della comunità hanno fatto un solenne giuramento davanti alle icone in chiesa: non far realizzare il progetto. I giuramenti non si possono sciogliere in nessun modo” (Lile Chketiani)
L’appalto per la costruzione della diga di Nenskra è stato vinto dalla Salini-Impregilo, che di opere simili ne ha realizzate e ne sta realizzando moltissime in giro per il Pianeta, soprattutto in Africa. Una volta terminata, Nenskra sarà capace di generare ben 280 megawatt di energia, per questo è il fiore all’occhiello del piano di sviluppo energetico del governo di Tbilisi, che punta tutto sullo sfruttamento degli innumerevoli corsi d’acqua che attraversano il Paese. Di impianti di varie dimensioni ne sono in programma 45, in buona parte proprio in Svanezia.
Già ai tempi dell’Unione Sovietica si provò a sfruttare l’ingente potenziale idroelettrico conservato in questa remota parte della Georgia. Ci vollero però quasi 30 anni di lavori e un immenso sforzo ingegneristico per costruire un impianto sul fiume Enguri. Oggi, percorrendo l’unica via d’accesso verso le montagne del Caucaso, il mega sbarramento si svela in tutta la sua maestosità appena affrontata una delle curve del tragitto. Raggiunge 271,5 metri -è il quarto più alto al mondo- e ha un invaso che contiene 1,5 miliardi di metri cubi d’acqua, ma attualmente non funziona a pieno regime e la corrispettiva centrale si trova in territorio abkhazo. Il bacino artificiale di Enguri ha modificato il micro-clima della zona. Fa meno freddo e il tasso d’umidità è molto più alto. Chissà che cosa potrebbe accadere qualora fossero portate a compimento altre opere simili.
Il revival delle dighe si è materializzato durante il lungo mandato del presidente Micheil Saakashvili. Georgian Dream, la coalizione composta da sei forze politiche che sconfisse il partito di Saakashvili alle elezioni del 2012, è sulla stessa lunghezza d’onda. Inizialmente contrario, uno dei più grandi fautori della cementificazione dell’idillio montano della Svanezia si è rivelato l’ex ministro dell’Energia nonché vice-premier Kakhaber Kaladze, in Italia più conosciuto per le sue abilità da calciatore con la maglia del Milan. “Invece di puntare su nuovi impianti, sarebbe stato molto più utile riutilizzare quelli vecchi e investire sulle fonti alternative, in questo modo potremmo rispondere alla nostra domanda energetica” ci dice Dato Chipashvili di Alternative, che da anni sostiene la lotta degli Svan contro le grandi dighe. Con l’aiuto della ong, nella prima metà del 2016 gli abitanti di Chuberi hanno inviato una lettera alle autorità competenti per dire “no” al progetto e denunciare come di vere e proprie consultazioni prima dell’inizio dei lavori non ci sarebbe stata nemmeno l’ombra. A firmarla oltre 400 persone, che però al momento non hanno ricevuto risposta. A maggio è cresciuta la tensione, con blocchi stradali e altre forme di proteste inscenati dagli Svan, tanto che l’impresa Salini ha deciso di sospendere l’attività del cantiere per 10 giorni, come gesto di buona volontà.
Il villaggio, 300 famiglie disseminate in 10 frazioni, vive di agricoltura di sussistenza, commercio di noci e di legname, ma vorrebbe puntare sull’eco-turismo. In una delle due scuole di Chuberi incontriamo Nato Subari e Lile Chketiani, rispettivamente direttrice e insegnate. Mentre ci scaldiamo con una tazza di tè e una fetta di khachapuri, la torta al formaggio tipica della Georgia, Chketiani ci conferma quanto sia intransigente l’opposizione a Nenskra. “Gli uomini della comunità hanno fatto un solenne giuramento davanti alle icone in chiesa: non far realizzare il progetto. Dalle nostre parti i giuramenti, una sorta di patto di sangue tra quanti lo prestano, sono una cosa seria, non si possono sciogliere in nessun modo, pena la vergogna che ricade su tutta la famiglia”. Lile è convinta che Nenskra rappresenti un attacco diretto alla cultura degli Svan. “Questa è un’area dove la popolazione ha la sua lingua, le sue festività e tradizioni. Se la comunità sarà divisa a causa del progetto tutto questo andrà perduto”. La Subari non nasconde una forte preoccupazione: “A Chuberi ci sono persone con una posizione molto radicale, noi in quanto insegnanti stiamo cercando di mediare, per evitare una escalation”.
“Invece di puntare su nuovi impianti, sarebbe stato molto più utile riutilizzare quelli vecchi e investire sulle fonti alternative, così potremmo rispondere alla domanda energetica” (Dato Chipashvili)
Questo è il fronte caldo dell’opposizione locale, ma anche sul campo le complessità non mancano. Da agosto 2015 si va avanti con le prospezioni, ma, presso il sito dove dovrebbe sorgere lo sbarramento la composizione del terreno sarebbe molto friabile, al punto che per trovare la roccia dove “appoggiare” la fondamenta dell’opera bisognerebbe scavare a 160 metri di profondità.
Ben visibile dal cantiere c’è una frana che si fa spazio tra gli alberi verdissimi che si specchiano nel Nenskra. Nel corso dei nostri spostamenti, di smottamenti di queste dimensioni, ma anche più estesi, ne abbiamo scorti parecchi, a conferma che dal punto di vista idrogeologico la Svanezia è una regione molto complessa. Quando siamo tornati da queste parti, nella seconda metà del mese di ottobre, il responsabile della sicurezza del cantiere ci ha impedito di parlare con i pochi tecnici presenti, ma abbiamo comunque avuto la netta impressione che lo stato dei lavori, a oltre un anno dall’inaugurazione ufficiale, sia molto rallentato e ancora in una fase embrionale. Le difficoltà tecniche e la massiccia opposizione della comunità locale non costituiscono le uniche criticità del progetto.
Un altro nodo da sbrogliare è quello dei finanziamenti. Nenskra dovrebbe costare -il condizionale è quanto mai d’obbligo- un miliardo di dollari, 575 sono invece i milioni che la Nenskra Hydro (il consorzio che ha commissionato i lavori, composto di fatto solo dalla coreana K Water) dovrebbe versare nelle casse della Salini. Le parti in causa ostentano ottimismo, ma tra le righe si percepiscono problemi per nulla secondari. A cominciare dall’entità del sostegno da parte delle istituzioni finanziarie internazionali, che in questo tipo di opere svolgono sempre un ruolo chiave, sia dal punto di vista economico sia politico. Quando sono stati inaugurati i lavori, nel settembre del 2015, si parlava già di un assegno di 200 milioni di dollari staccato dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS). È passato un anno e mezzo e la Banca sta ancora vagliando le carte.
Anche perché, come ci dice il direttore della BERS per la regione del Caucaso, il messicano Bruno Balvanera, “Come ben sapete la Salini, una società appaltatrice italiana, ha il compito di costruire l’opera. Una volta qui, hanno rivisto il design del progetto e attualmente stanno negoziando con il governo georgiano e con la K Water l’estensione e le implicazioni di queste modifiche in relazione ai costi, che dovranno essere rivisti”. Il tutto, come ci ha chiarito Balvanera, implica una revisione della valutazione degli impatti ambientali. Tempi che si allungano, problemi che Salini e K Water definiscono usuali in questo tipo di mega-opere.
Sarà, ma mancano tanti pezzi al puzzle di Nenskra. Anche il nuovo ministro dell’Energia, Ilia Eloshvili, quando lo abbiamo incontrato non ha escluso un innalzamento dei costi e un ritardo nel completamento dei lavori.
Per il governo di Tbilisi, ci ha ribadito, la priorità assoluta è che la diga venga costruita, tutto il resto è secondario. E la protesta della popolazione locale? “Esistono delle leggi, le faremo rispettare, su questo non ci sono dubbi”. Si preannunciano lunghi mesi di conflitti nell’Alto Caucaso.
* Luca Manes, Re:Common
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