Ambiente
La Difesa nei campi
Carlo Petrini, Roberto Burdese, Luca Mercalli, Don Luigi Ciotti, Salvatore Settis. Sono i primi firmatari della lettera indirizzata venerdì 19 luglio ai ministri Orlando, Mauro e De Girolamo. La richiesta è semplice: salvare la riserva naturale della Vauda (Torino) da 498mila pannelli fotovoltaici. Chi sponsorizza l’intervento è Difesa Servizi spa, società del ministero che valorizza asset del demanio militare italiano. Tra questi, 600 ettari di suolo libero dove realizzare parchi fotovoltaici —
Gianluca Vallero è sindaco di Rivarossa (To) dal 2009. Il borgo, poco più di 1.500 abitanti, dista 20 minuti dall’uscita per Chivasso dell’autostrada A4. Per raggiungerlo, si attraversa una delle aree meno urbanizzate della provincia di Torino, con la cornice alpina a far da sfondo.
Sul tavolo del sindaco, le carte che raccontano di un anno di opposizione a un mega progetto di parco fotovoltaico nella Riserva orientata della Vauda, stretta tra i comuni di Barbania, Rivarossa, Front, San Francesco al Campo, San Carlo Canavese, Vauda e Lombardore. Vallero sfoglia le ultime 3mila firme contro il progetto raccolte in questi mesi, su una comunità di poco più di 10mila abitanti. Che non accettano che qui l’energia rinnovabile sia promossa sotto forma di 498mila pannelli da 12 chilogrammi l’uno (6mila tonnellate), fissati a terra da 37mila plinti profondi 80 centimetri. A cedere spazio, quattro macro aree che complessivamente equivalgono a 145 campi da calcio (72 ettari), cintati da 12 chilometri di rete metallica alta 1 metro e 80.
Tutt’altro che banale, specie se si paragona la potenza che verrebbe installata nella Vauda –44mila kW– alla dimensione media degli impianti entrati in esercizio in Italia nel 2012, che è di 24 kW.
Tuttavia, ciò che abbaglia è il fatto che a ospitare il parco fotovoltaico sarà una zona che non solo si affaccia su un Sito d’interesse comunitario (Sic), ma che risulta parte del demanio militare: è una proprietà del ministero della Difesa, lo stesso che ha blindato l’intervento ritenendolo una “prestazione strettamente correlata allo svolgimento dei compiti istituzionali dell’amministrazione della Difesa”. Da realizzare anche a costo di far perdere alle aziende agricole che lì portavano gli animali al pascolo il 15-20% del fatturato annuo.
Una società in utile.
La convenzione “finalizzata alla valorizzazione ai fini energetici” di parte dei suoi beni è stata firmata il 7 luglio 2011 dal ministero della Difesa con una società per azioni che lo stesso controlla al 100%, la Difesa Servizi spa (www.difesaservizi.it). Nata nel dicembre 2009, e riformata nel marzo 2010, è presieduta dal Generale Armando Novelli e condotta dall’amministratore delegato Lino Girometta, che dal febbraio 2012 è anche vice presidente di Sea spa, la società che gestisce gli aeroporti milanesi di Linate e Malpensa. Ed è proprio con Difesa Servizi spa che -sempre il 7 luglio- il ministero ha sottoscritto un “contratto di esercizio” attraverso cui “le competenti strutture del ministero attribuiscono alla società […] la gestione economica di beni, anche immateriali, e di servizi resi a terzi dal ministero”. In sostanza, il ministero ha esternalizzato la gestione, promozione e rendita di alcuni asset. Tra questi ci sono 600 ettari di suolo libero, dato in concessione per vent’anni. Tuttavia non è una delega in bianco: in quel decreto, infatti, il ministro della Difesa e quello dell’Economia e delle Finanze hanno stabilito che ciò avvenga “nel pieno rispetto dei vincoli ambientali”. Vincoli che non riguardano solo le aree interessate ma anche le finalità: lo “scopo”, si legge, è quello “di soddisfare le proprie esigenze energetiche, nonché per conseguire significative misure di contenimento degli oneri connessi e delle spese per la gestione delle aree interessate”. È in questo contesto che controllante e controllato si siedono al tavolo e sottoscrivono i due accordi: contratto di servizio e convenzione specifica sul fotovoltaico. I “sedimi” interessati sono 64, tra tetti e suolo libero. La seconda categoria, che è terra in pancia al demanio militare, è stata frazionata in 13 lotti. Oltre ai 72,5 ettari nella Vauda piemontese, ce ne sono uno in Calabria (Sellia Marina, 20 ettari), due in Campania (nella frazione di Persano del comune di Serre, Salerno, per 105 ettari), tre nel Lazio (Nettuno e Santa Marinella in provincia di Roma, Monte Romano a Viterbo, 174 ettari complessivi), uno in Toscana (ad Aulla, 2,1 ettari), due in Puglia (Poggiorsini a Bari e Taranto, 60 ettari) e altri due in Sardegna (164,1 ettari tra Teulada, a Cagliari, e il poligono interforze Salto di Quirra a Perdasdefogu in provincia di Ogliastra).In tutto sei milioni di metri quadrati di aree che Difesa Servizi spa ha impegnato, e assegnato dopo gara pubblica in concessione ventennale a fronte di un canone annuo. Le società “beneficiarie”, elencate in base alla grandezza dei lotti, sono Enel Green Power spa, Belectric Italia srl, Troiani&Ciarrocchi srl, Enerray spa, Istria Sviluppo srl, Gransolarghella srl, Fedi Impianti srl. Alla voce “totale canone previsto”, Difesa Servizi spa stima un importo annuale a impianti avviati e a regime intorno a 5,9 milioni di euro.
Ben poca cosa rispetto a guadagni che potrebbero registrare le ditte che realizzerebbero gli impianti. Prova ne è la diffusione del fotovoltaico italiano. La potenza cumulata a fine 2012, infatti, con oltre 16mila MW -pur scontando una netta contrazione di nuovi impianti entrati in esercizio, -39% tra 2011 e 2012- è secondo soltanto a quello tedesco (32mila MW). Potenziale, perché dei 13 lotti a terra assegnati, Difesa Servizi spa è riuscita a vederne realizzato e allacciato soltanto uno, quello di Persano della società della Troiani&Ciarrocchi srl di Ascoli Piceno. Inciampi riportati anche nella relazione al bilancio 2012 della società del ministero della Difesa, che dà conto di “difficoltà legate al rilascio di autorizzazioni a causa della presenza di vincoli di natura paesaggistica, di tutela ambientale e archeologica” e per le modifiche al ribasso degli “incentivi previsti nel ‘conto energia’”. Dei contratti tra Difesa Servizi spa e singole aziende, e dunque del piano economico e finanziario di ciascun impianto, non c’è traccia. Alla voce “gare e contratti, gare concluse” del portale online della società si legge: “Pagina in costruzione”. Dalla segreteria dell’ad spiegano che “trattandosi di atti pubblici ma non ‘pubblicati’, non possiamo unilateralmente diffonderli in copia, necessitando il nulla osta sia del ministero della Difesa che del terzo contraente”. Nulla da fare, come a Teulada, Poggiorsini e Nettuno, dove, informa la società, gli impianti “non saranno realizzati a causa dei vincoli su essi imposti e a causa dei dinieghi delle autorità locali”.
Vincoli e dinieghi ci riportano in Piemonte, al municipio di Rivarossa.
Alla luce del sole. Il primo progetto è stato presentato a partire dall’agosto 2012 dalla società Ciriè Centrale Pv sas, con sede legale a Roma e controllata al 99,9% da un ramo della prima multinazionale al mondo per installazione di pannelli fotovoltaici (ne possiede 1GW sui 101 a livello mondiale), che è tedesca e si chiama Belectric, e che qui è rappresentata dalla Belectric Solarkraftwerke Gmbh (25mila euro il capitale sociale). Lo 0,1% di Ciriè Centrale fa riferimento alla filiale italiana Belectric Italia srl, che dei mille euro di capitale sociale complessivi ne mette uno. Giusto il costo di un caffè insieme al suo rappresentante legale, Frank Bechmann, se solo non ci fosse l’ostacolo della lingua: “Il dottor Bechmann parla solo tedesco”, raccontano da Latina, sede italiana di Belectric. Il sindaco Vallero, al contrario, ha voglia di parlare: “Dopo aver presentato un primo progetto nell’estate 2012 -spiega Vallero- la Belectric ha formulato una nuova proposta tra febbraio e marzo 2013, che coinvolge enormi distese ricadenti nella Riserva orientata della Vauda, e in buona parte date in affitto agli agricoltori del posto, per pascolare il bestiame e sfalciare l’erba”.
Insieme ad altri sei colleghi, il primo cittadino di Rivarossa -come ricorda lui stesso- si “solleva”. E l’opposizione dei Comuni, a parte quello di Lombardore che è favorevole, viene ribadita anche nelle due conferenze dei servizi fissate dalla Provincia di Torino. Perché l’impatto ambientale è “assolutamente devastante”, e ad affermarlo è Antonio Saitta, che della Provincia è il presidente: il 6 marzo scorso ha inviato una lettera di netta opposizione anche al secondo progetto, indirizzandola ai titolari della Difesa, dell’Ambiente e delle Politiche agricole, perché convinto che “le legittime esigenze del ministero della Difesa di valorizzazione del patrimonio militare italiano non possano superare il diritto alla salvaguardia ambientale”.
Un’idea di valorizzazione, quella immaginata da Difesa Servizi spa tramite un’interpretazione coraggiosa dei propri atti fondativi, che hanno già avvertito alcune aziende agricole dell’area della Vauda. Ed è proprio visitando i terreni compresi nel progetto che incontriamo chi, fino all’aprile scorso, poteva accedere -in forza di un regolare seppur simbolico e forfettario contratto d’affitto- a quegli stessi siti del demanio militare, per portarci bestie e sfalciare. Dalla metà aprile di quest’anno, sono comparsi degli avvisi in formato A4 legati con fascetta ai cartelli stradali che ne impediscono l’accesso per questioni ambientali. Vallero mostra il primo: “È fatto divieto di accedere al demanio militare se non autorizzati di pascolare bestiame, di sfalciare erba e qualsiasi altro utilizzo”. Firmato dal direttore dell’ufficio tecnico territoriale di Torino del ministero della Difesa. Alle spalle si lascia un campo abbandonato da due mesi a se stesso, che in quell’istante è sorvolato da un elicottero dei vigili del fuoco (“perché la zona è ad altissimo rischio incendi e l’attività degli agricoltori garantiva una cura che oggi non c’è più”). “Preferisco non essere ripreso, racconta uno di questi, ma quello che posso dire è che la chiusura dei campi mette a rischio il 15-20% del nostro fatturato, azzerando ogni margine e costringendoci a chiudere”. Destino amaro, sul quale ragiona a voce alta il responsabile delle relazioni esterne di Belectric Italia, Guglielmo Boschetti: “Il polverone sollevato dai sindaci come quello di Rivarossa ha danneggiato comunque gli agricoltori. Non lo so adesso come si metteranno perché lì non ci potranno più andare”. “Non lo so” è un espressione che torna più volte nell’intervista a Boschetti: sull’importo del canone che l’azienda riconosce a Difesa Servizi spa, sul margine realizzato grazie a un impianto del genere, su ipotetici aggiustamenti dell’offerta dopo l’azzeramento degli incentivi, essendo terminato a maggio 2013 il quinto conto energia. Quel che è dato sapere è che a fronte dei circa 80 milioni di euro d’investimento, solo 160mila euro verranno messi sul piatto per mitigazioni, ripristini e successivi “studi faunistici” che produrranno brochure in grado di riportare turisti nell’area della riserva.
Sole incerto. Mentre andiamo in stampa, Sovrintendenza e ufficio tecnico della Provincia di Torino si apprestano a formulare gli ultimi rilievi al secondo progetto. A dar manforte ai comitati civici, sostenuti tra gli altri dal forum Salviamo il paesaggio, una sentenza del Consiglio di Stato del 15 gennaio 2013: stabilisce che in qualunque luogo dove sia già stata “effettuata la valutazione circa la preminenza dell’interesse alla salvaguardia dell’ambiente rispetto ad altri interessi, come quello alla gestione delle fonti di energia rinnovabile”, lo sfruttamento del sole debba cedere il passo. Nel frattempo, l’11 giugno scorso è stata messa a punto una mozione da Francesca Bonomo, deputata Pd classe 1984, che impegna il governo a vincolare la società Difesa Servizi spa ad installare gli impianti in via prioritaria su aree “come tetti di caserme e capannoni, aree a piazzale già cementificate”, evitando così consumo di suolo libero. —