Interni
La cura della dignità
La risposta del ministero della Salute appare inadeguata alla condizione di malati inguaribili. Dalla terapia del dolore agli stati vegetativi, all’assistenza domiciliare
Una porta scorrevole all’ingresso. Poltrone eleganti e quadri monocolore alle pareti. Su un banco di vetro è appoggiato un manifesto. C’è scritto “Lo sapevi?”. Mentre un’operatrice chiede “ha bisogno?”, una donna e sua figlia escono in silenzio.
È l’hospice di Abbiategrasso, a quindici minuti di treno da Milano: una struttura residenziale di assistenza socio-sanitaria che dall’ottobre 2012 ha aperto un ambulatorio per le cure palliative, due parole che -accostate- significano dignità. Un principio che ricade sul malato, permettendogli di vivere il primo e l’ultimo giorno senza soffrire, e sul sistema sanitario nazionale: perché l’Italia non può permettersi d’essere una repubblica fondata sul dolore. La spina che affligge chi è inguaribile -non esclusivamente terminale- e perseguita chi ne è affetto in forma cronica.
Il Paese è impreparato, come riconosce il ministero della Salute nella “Relazione sullo Stato sanitario 2009-2010”. Il piano di hospice regionali avviato dal 1999 in materia di cure palliative ha dato risultati “deludenti”. Dopo dieci anni, e 206 milioni di euro stanziati (l’85% erogato), sono state realizzate 117 unità realizzate contro le 201 programmate. Un insuccesso tradottosi in “evidenza di profondi divari a livello regionale”, con una media di 0,35 posti letto ogni 10mila abitanti. Analogo insuccesso anche sul versante delle terapie del dolore, dato che il progetto “Ospedale senza dolore” del 2001 -sempre secondo il ministero della Salute- “non ha prodotto i risultati attesi”. Ed è in virtù di questo fallimento che il legislatore ha deciso di reagire, dando vita di fatto a un’autentica “Costituzione”, la legge quadro 38 del 15 marzo 2010. Contenitore di principi (“il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona”, “il bisogno di salute”, “l’equità nell’accesso all’assistenza”, “adeguato sostegno alla persona malata”) ma anche di inequivocabili definizioni. Su tutte, appunto, le cure palliative e le terapie del dolore. Pratiche -diagnostiche e terapeutiche- fino ad allora conosciute poco e ancor meno attuate, divenute -per legge- “obiettivi prioritari del Piano sanitario nazionale”. E per lo sviluppo di reti adeguate -che significa mettere in condizione di cooperare gli ospedali, le strutture residenziali, il medico di base, le famiglie- la legge 38 s’impegnava a prevedere ingredienti concreti. Le risorse, innanzitutto: 100 milioni di euro annui “vincolati” e 450mila euro in tre anni per realizzare campagne di sensibilizzazione e informazione. I tempi, volutamente stretti: entro tre mesi dall’entrata in vigore, via all’accordo con le Regioni per l’individuazione delle figure professionali, dei requisiti minimi per la definizione delle strutture accreditate, fino alla quantificazione di uno standard comune per tariffe e servizi forniti. A principi chiari, purtroppo, seguono banchi di nebbia. E l’automobile lanciata ha rallentato, perdendo due preziosissimi anni. Marco Spizzichino -direttore dell’Ufficio per la programmazione sanitaria del ministero della Salute- dà conto del percorso: “Il legislatore detta tempi improbabili.Per quel che riguarda i requisiti strutturali, l’intesa Stato-Regioni è stata sottoscritta a luglio 2012. Per le professioni stiamo mettendo a punto i decreti. Sulle tariffe mi auguro che si raggiunga un accordo al più presto. Noi siamo pronti. Dovremo chiudere presto, altrimenti significa che fino ad oggi abbiamo solo scherzato”. Un enorme punto interrogativo permane però circa la valutazione della congruità di quel che viene riconosciuto alle Regioni -in termini di finanziamenti- e le ricadute concrete sul territorio. Perché dal ministero non è stato possibile ottenere un quadro delle risorse ad oggi erogate dal 2010.
Sviluppo tormentato, quello della legge 38, che la Commissione parlamentare d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del sistema sanitario nazionale, presieduta dal senatore Ignazio Marino, ha deciso, nel luglio 2011, di approfondire. I commissari danno mandato al Comandante dei Carabinieri per la tutela della salute (Nas), Cosimo Piccinno, di monitorare tutte le strutture ospedaliere oltre i 120 posti letto, verificando la presenza delle unità operative di cure palliative e terapie del dolore. Quattro giorni, 500 militari impiegati. A settembre 2011, Piccinno è in audizione a Palazzo Madama per illustrare i risultati dell’indagine: “Migrazioni sanitarie a parte -recita il resoconto dell’intervento- vi è una differenza enorme nell’attuazione della legge”. Un quarto degli ospedali non si occupa di terapie del dolore, mentre il 63% è dotato di unità operative di cure palliative. Seppur indicativa, la media nazionale di “adeguamento” alla legge 38 è del 71%. Un dato che non deve trarre in inganno: un conto è la qualità e il funzionamento delle strutture, in questo caso ospedaliere. Un altro è l’esistenza di una rete -al domicilio, attraverso gli hospice o ospedali territoriali-. Una rete che, in campo palliativo, rimane ancora sottosviluppata. Lo racconta Luca Moroni, presidente della onlus Federazione cure palliative (www.fedcp.org), che ha sede nell’hospice di Abbiategrasso. Insieme a Spizzichino compone la commissione demandata a vegliare sulla norma, ed è tutt’altro che soddisfatto. “L’accordo del 25 luglio è fondamentale ma non basta. Dai dati pubblicati dal ministero emerge che il 30% dei pazienti con diagnosi di tumore deceduti in Italia ha dovuto trascorrere gli ultimi 12 o 13 giorni di vita in un reparto per acuti, sottoposto a trattamenti impropri. E questo non costituisce soltanto una violazione dei principi della legge 38, e dunque della dignità del malato, ma anche un costo enorme per il Ssn”. E non è un ragionamento economico: si può non badare a spese per garantire dignità -e corretta informazione al malato- e contemporaneamente curare meglio, risparmiando (come dimostra l’esperienza vicentina che raccontiamo a p. 14). Quel 30% di pazienti terminali oncologici tenuti in reparto determinano un onere per il servizio sanitario nazionale pari a 223 milioni di euro. Ed è un conto che confligge, ad esempio, con il rapporto costi/benefici determinato dai farmaci antidolorifici: “Il nostro Paese patisce un deficit culturale da questo punto di vista -spiega Mario Riccio, anestesista e rianimatore a Cremona, componente del direttivo della Consulta di bioetica (consultadibioetica.org)-; in particolare nel rapporto con il farmaco antidolorifico per eccellenza, la morfina (5 milioni di confezioni erogate da farmacie convenzionate nel 2011), che gode di cattiva nomea a causa del suo impiego voluttuario. Per anni si è affermato a sproposito che il paziente, al termine del ciclo, divenisse in sostanza un tossicodipendente”. Situazione, quella dei farmaci analgesici che vede il Paese ancora una volta spaccato: rispetto al valore medio europeo (4,47 euro), il consumo (in campo sanitario) pro-capite italiano di “oppioidi forti” (come la morfina) si attesta a 1,17 euro. “Per quanto riguarda le cure palliative e il fine vita, il medico oggi è spinto anche dal battage pubblicitario ad accompagnare i malati terminali con terapie perfettamente inutili -prosegue Riccio-, e la pressione delle case farmaceutiche è notevole”.
A pagare le conseguenze di un sistema normato ma non attuato sono i bambini. Secondo l’Istat, 41 bambini su 100 affetti da patologia oncologica muoiono a casa. In un Paese dove 11mila bambini potrebbero accedere a cure palliative (il 30% per tumori). Anche il ministero della Salute certifica che “la risposta territoriale appare del tutto insoddisfacente”: ad oggi esiste una sola struttura residenziale dedicata (cosiddetto hospice pediatrico) a Padova, in Veneto. Toscana e Piemonte sono le uniche Regioni ad essersi allineate, sulla carta. E il “Progetto bambino”, centrato sull’“organizzazione di una rete, su tutto il territorio nazionale, di cure palliative competenti e continuate ai bambini con patologia inguaribile”, portato avanti dal 2007 dal ministero e dalla Fondazione Maruzza Lefebvre D’Ovidio, per bocca degli interessati, “non è assolutamente realizzato”. Non bisogna spingersi lontano per incontrare assurdità: nonostante i precisi dettami della legge 38, in ambito pediatrico, nell’84% dei casi di degenza, non viene praticata alcuna rilevazione del dolore. E ancora: una volta misurato il dolore -ed è raro- solo in 17 casi su 100 vengono somministrati oppiacei. Perché il dolore non sopporta la dignità. —