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Ambiente

La cava di Toto

Una concessione mineraria di 1.600 ettari per il gruppo abruzzese, i cui interessi spaziano dalle grandi opere alla gestione di autostrade. A Bussi (PE), sull’area ex Montedison in attesa di bonifica dopo la scoperta di una grande discarica abusiva, la società vorrebbe avviare l’attività estrattiva. Nei piani anche la realizzazione di un cementificio. Il progetto al Comitato Via della Regione. L’opposizione dei movimenti

Mille e seicento ettari sono ben 16 milioni di metri quadrati. Una superficie -nel territorio di 4 Comuni- che la Regione Abruzzo potrebbe mettere a disposizione del gruppo Toto (nella foto il patron, Carlo Toto) per scavare tre "sondaggi", propedeutici alla realizzazione di una megacava su centinaia di ettari di territorio a cavallo tra i Comuni di Bussi, Collepietro e Popoli.
Proprio sopra la falda acquifera che disseta l’area metropolitana di Chieti-Pescara e tutta la Valpescara, come ricorda in un comunicato stampa il Forum abruzzese dei movimenti per l’acqua: "Nell’attuale richiesta di parere avanzata al Comitato valutazione di impatto ambientale della Regione Abruzzo l’azienda vorrebbe scavare 3 sondaggi, da attrezzare poi a piezometri (quindi fissi) di 120-200 metri di profondità fino a raggiungere la falda acquifera finalizzati alla progettazione di una megacava su centinaia di ettari di territorio a cavallo tra Bussi, Collepietro e Popoli. Il confine dell’area di ricerca mineraria di Toto passa a circa 200 metri dal campo pozzi S. Rocco che rifornisce l’acquedotto della Valpescara" e "il sondaggio più vicino è a 800 metri dai pozzi".

Il 4 gennaio scade il termine per l’invio delle osservazioni, e il Forum abruzzese dei movimenti per l’acqua ha redatto il proprio documento, che Altreconomia ha potuto leggere. Alla Regione Abruzzo si segnala -tra l’altro- che "una larga parte delle aree interessate dall’intervento è stata interessata da vasti incendi in tempi recenti (2007-2008-2009)", ma la relazione presentata dal gruppo Toto "non cita tale problematica estremamente significativa, considerati i divieti di cui alla Legge 353/2000". In particolare l’articolo 10, infatti, vieta "per dieci anni, sui predetti soprassuoli, la realizzazione di edifici nonché di strutture e infrastrutture finalizzate ad insediamenti civili ed attività produttive, fatti salvi i casi in cui per detta realizzazione sia stata già rilasciata, in data precedente l’incendio e sulla base degli strumenti urbanistici vigenti a tale data, la relativa autorizzazione o concessione”.

Il documento redatto dal Forum, inoltre, pone l’accento anche su un altro aspetto non secondario: "Il progetto di sfruttamento minerario (e, quindi, tutti gli atti propedeutici, compresi quelli di ricerca), come è noto e come risulta da atti a disposizione della Regione Abruzzo e del Comune di Bussi, rientrerebbe tra quelli connessi al procedimento di ‘reindustrializzazione’ del Sito nazionale di bonifica di Bussi (sull’area, dov’è stata rinvenuta una discarica abusiva -che vede in corso un processo a carico di ex dirigenti Montedison– il gruppo Toto vorrebbe realizzare un cementificio, ndr). Tale procedura è per unanime ammissione degli enti coinvolti, compreso il ministero dell’Ambiente, basata sull’elaborazione di un accordo di programma", ovvero su un atto che dev’essere assoggettato a Valutazione ambientale strategica.

Alle osservazioni, si aggiunge anche quella relativa al Piano delle attività estrattive della Regione Abruzzo, che non esiste (nonostante l’ente si fosse impegnato ad adeguarsi entro metà 2013). L’ente, pertanto, "esamina le singole istanze senza alcuna programmazione, non sapendo neanche quante cave sono attive/dismesse nella regione, quanto materiale (per tipologia) può essere estratto ora e nel futuro; qual è il fabbisogno reale e potenziale nonché quello che potrebbe essere soddisfatto con il riciclo dei rifiuti del comparto edile (secondo gli obiettivi della direttiva europea sui rifiuti). A nostro avviso già da tempo è venuta meno alla radice, anche per interventi minori, la possibilità di condurre appropriate valutazioni di impatto ambientale che devono basarsi su un bilanciamento dei vari interessi in gioco, da quelli ambientali a quelli socio-economici, come insegna la giurisprudenza in materia. In questo caso, si tratterebbe del più grande intervento in materia di estrazione di inerti per la Regione e uno dei più invasivi dell’intero Appennino".
E le scelte per l’apertura del nuovo "fronte di cava" verrebbero prese senza aver idea del "fabbisogno di materie prime nei settori economici, delle attività di recupero/riciclo di rifiuti nel settore edile, della quantità di materiale lapideo già estraibili con le autorizzazioni già concesse". Mancherebbe, secondo il Forum, anche un adeguato  "monitoraggio delle cave autorizzate e dello stato di riqualificazione/recupero delle cave dismesse".

È per tutto questo che il Forum chiede al Comitato Via di esprimere "un parere negativo sull’intervento in esame", aggiungendo che "la presenza di una risorsa idropotabile così importante dovrebbe bloccare di per sé il progetto fin dall’inizio".

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