La Bolivia nazionalizza le comunicazioni. Telecom fuori dal capitale della compagnia telefonica Entel
Un primo maggio storico, quello appena vissuto dalla Bolivia. Il presidente indigeno Evo Morales, infatti, ha nazionalizzato l’Entel, la compagnia telefonica che fa capo a Telecom Italia. Nel 2006, sempre nella ricorrenza della festa dei lavoratori, era toccato al settore degli idrocarburi a passare di nuovo allo Stato. Questa volta è stato il turno del comparto delle telecomunicazioni, dopo mesi segnati dalle polemiche e dalle denunce.
Lo scorso ottobre, infatti, la Euro Telecom International (Eti), la società del gruppo Telecom Italia che controlla Entel, aveva richiesto un arbitrato al tribunale Ciadi della Banca mondiale contro la decisione di La Paz di acquisire nuovamente la gestione della quota di minoranza di Entel da alcuni fondi pensione, come primo passo verso il controllo di maggioranza della società.
Eti è un’azienda virtuale, registrata dalla Telecom Italia in Olanda per usufruire del regime vantaggioso in termini fiscali e di protezione legale offerto dal Paese europeo negli investimenti esteri. Quella di Telecom è stata una mossa fatta in extremis e molto controversa anche legalmente. La Bolivia, memore delle cause del passato subite da investitori stranieri -come la Bechtel, invischiata nella privatizzazione dell’acqua a Cochabamba- proprio il 1 maggio del 2007 aveva deciso di uscire dalla membership del tribunale, che è un’istituzione inter-governativa come la Banca mondiale: una decisione che, per essere effettiva, richiedeva un tempo di sei mesi, entro i quali è partita la richiesta di arbitrato dell’Eti.
A poco è servita la minaccia legale per un Paese ormai sciolto dai vincoli del Ciadi: nonostante il tribunale della Banca abbia accolto senza indugi la richiesta di istruire il processo, la Bolivia ha replicato senza indugio di non riconoscere che un tribunale in materia di diritto commerciale privato sentenzi su una decisione sovrana di diritto pubblico, rinunciando a nominare il suo rappresentante nel collegio arbitrale. Una sfida senza precedenti, che ha sollevato le ire dell’Etno, una sigla che raduna le grandi utility delle telecomunicazioni in Europa, che a febbraio ha chiesto l’intervento della Commissione europea in merito alla vicenda.
Telecom Italia, che nel suo nuovo piano strategico presentato a fine marzo aveva menzionato la necessità di un consolidamento delle attività in Bolivia, sperando in una risoluzione a breve del caso, ora si trova nell’angolo, dopo aver rinunciato nei mesi scorsi all’offerta del governo Morales
-per altro ribadita al “pilatesco” Romano Prodi nella visita del Presidente boliviano a Roma a fine ottobre scorso- di negoziare a La Paz e non in sede internazionale un accordo sulla riacquisizione pubblica del pacchetto di maggioranza di Entel.
Un fallimento del management Telecom che non può che assistere da spettatore all’occupazione delle stazioni tecniche della società in varie località del Paese. Era una buona offerta, invece, quella fatta da Morales un anno fa, anche per risolvere le pendenze dell’Eti nei confronti del fisco boliviano, abbondantemente coperte dalla complicità dei governi passati prima dell’arrivo al potere del leader indigeno. Ammontano a ben 82 milioni di dollari le tasse evase e dovute al fisco, come certificato dall’agenzia tributaria nazionale. Ma non solo. Ai tempi della privatizzazione di Entel nel 1995, Telecom Italia aveva promesso investimenti per ben 610 milioni di dollari. Secondo la Fondacion Solon, gruppo di analisi e ricerca in Bolivia, solo 130 milioni sono davvero arrivati nel Paese. I rimanenti sono stati parcheggiati in varie banche nel 2005. Dopo aver ricevuto dietro pressioni l’autorizzazione a rimpatriare i profitti dalle autorità boliviane -esattamente un giorno prima dell’arrivo di Morales- quasi 400 milioni di dollari sono stati sottratti al capitale della società sotto forma di dividendi. Insomma la Telecom, nel puro spirito dei suoi reggenti negli ultimi dieci anni, si era ben guardata da investire nel potenziamento della rete di telefonia del Paese. Al riguardo sono cadute nel vuoto le ripetute denunce di esponenti dello stesso management della compagnia, così come le critiche alle fallaci offerte commerciali che l’Entel promuoveva e non era in grado di mettere in pratica.
Da oggi forse in Bolivia cellulari e telefoni suoneranno una nuova musica. Nel mentre il coraggio di La Paz ha messo in crisi in maniera esemplare l’agenda neoliberista globale proprio in quel tassello, gli investimenti esteri, che era rimasto scoperto dopo il naufragio dell’accordo Mai -il Multilateral Agreement on Investmens- a fine anni Novanta e poi del negoziato alla Wto. Non è bastato per Telecom Italia usare le solite scatole cinesi passando per l’Olanda e gli accordi bilaterali sugli investimenti. Non un granello, ma un vero mattone negli ingranaggi globali.