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La beffa della sentenza Diaz
La sera del 13 novembre è stata una nottata tragica: Grygera, Amaurì, Iaquinta ed il Genoa perde 4 a 1 contro la Juventus. Un intero paese rimane basito: dopo 915 giorni la squadra di Ranieri ritrova il primato in classifica….
La sera del 13 novembre è stata una nottata tragica: Grygera, Amaurì, Iaquinta ed il Genoa perde 4 a 1 contro la Juventus. Un intero paese rimane basito: dopo 915 giorni la squadra di Ranieri ritrova il primato in classifica. Un colpo per tutta una città, e con lei anche per il vicequestore aggiunto di Torino Spartaco Mortola che, raggiunto telefonicamente dal Secolo XIX per un commento alla sentenza per il processo Diaz, prima di ringraziare i suoi avvocati e di risottolineare la propria innocenza, dichiara: “sono alla partita e siamo sotto di tre gol”. Peccato non averlo visto in aula, a fianco del suo capelluto avvocato.
Spartaco Mortola era ai tempi del G8 genovese dirigente della DIGOS di Genova, ed insieme agli alti gradi presenti in quella tragica notte è stato promosso di grado e successivamente assolto dalle accuse infamanti della Procura di Genova. Quindi Francesco Gratteri, direttore del dipartimento Anticrimine, già a capo dello Sco; Gilberto Caldarozzi, a ora capo del Servizio centrale operativo; Giovanni Luperi, ora al vertice del servizio segreto civile, già vicedirettore dell’Ucigos, sono la dimostrazione che al vertice della Polizia di Stato, per dirla con le parole del leader UDC Casini, ci sono “autentici galantuomini”.
Tanti “ufficiale e gentiluomo” che nulla hanno potuto di fronte alla mattanza della scuola Diaz, nulla hanno saputo rispetto ai piani del reparto di Canterini, nulla hanno capito sulle molotov introdotte illegalmente nella scuola per giustificare il massacro, nulla hanno pensato rispetto alle prove di verbali falsificati e di arresti illegali.
Sicuramente dirigenti, certamente galantuomini, ma forse un po’ distratti. Come lo stesso Giovanni Luperi che, benché si sia rifiutato di farsi interrogare, nelle sue dichiarazioni spontanee senza contraddittorio ha ricordato di essere stato ai margini dell’operazione e soprattutto preoccupato di portare i colleghi a cena.
O come i dirigenti della DIGOS genovese, l’ufficio a cui venne affidata la custodia delle molotov corpo del reato, e che furono “accidentalmente” distrutte dagli stessi agenti.
Ma non tutti sono stati distratti. Anzi, qualcuno sapeva, eccome. Ed è così che Canterini ed i suoi uomini, quelli che con il manganello in mano hanno riverniciato di sangue le pareti della scuola, si sono ritrovati con condanne fino a 4 anni, indulto, prescrizioni e condizionale permettendo.
Lo stesso Michelangelo Fournier, allora vice questore aggiunto di Roma, l’unico ad aver ammesso della “macelleria messicana” della Diaz e l’unico a non essere stato promosso, è stato premiato con due anni per lesioni aggravate in concorso.
C’è un segnale inquietante, che esce dalle aule di giustizia di Genova. Che il più alto in grado non è responsabile di quello che il suo sottoposto combina.
Un teorema che farebbe tremare le gambe persino al Ministro Brunetta. E che ribalta completamente le strategie difensive degli apparati dello Stato coinvolti in situazioni quanto meno tragiche: chi non ricorda la legge approvata nell’Argentina di Menem conosciuta come Obediencia Debida, che sottolineava come i subalterni avessero commesso delitti durante la dittatura militare per il fatto che stavano ubbidendo a ordini, ai quali non potevano opporsi?
Ma la sentenza, se contestualizzata, ci dice qualcosa di più. Che esattamente come per Bolzaneto, molte delle dichiarazioni rese dalle vittime e molte delle prove mostrate sono sostanzialmente delle visioni. E che, a differenza di altri processi, non esiste in questo caso l’aggravante della “compartecipazione psichica” tra gli imputati, quella cioè usata nel processo per devastazione e saccheggio ai 25 manifestanti che indica come non occorra aver effettivamente “devastato”, ma sia sufficiente essere presenti mentre gli altri devastano.
Ma queste sono parole, quelle che contano sono le sentenze.
Noi c’eravamo e abbiamo visto.
Abbiamo visto la violenza inaudita di quelle giornate, la caccia indiscriminata a persone inermi, l’assoluto arbitrio nel gestire l’ordine pubblico. Siamo stati poi costretti a registrare con sconcerto la decisione della magistratura che ha deciso di non procedere nell’accertamento delle responsabilita’ delle forze dell’ordine per le gravi violenze subite dai manifestanti che parteciparono al grande corteo dei 200 mila del 21 luglio 2001.
Bolzaneto, la scuola Diaz. Assieme ad altri nomi, come Alimonda, Manin, Tolemaide, rimarranno tra le pagine oscure di questo paese. Abbiamo aspettato sette anni per vedere scritto nero su bianco quello che abbiamo visto e a cui abbiamo assistito, per guardare finalmente in faccia i responsabili di quello scempio.
La sentenza dello scorso 13 novembre sul processo Diaz è un ulteriore insulto alla nostra richiesta di giustizia e trasparenza, alla fiducia che ancora avevamo che la verità potesse finalmente essere sancita.
Per la “macelleria messicana”, così definita dall’allora vicequestore aggiunto della Questura di Roma Michelangelo Fournier, i responsabili si trovano solamente tra la manovalanza di Canterini, allora comandante del I Reparto Mobile di Roma.
Nessun vertice della Polizia è stato incriminato: né Francesco Gratteri, promosso a direttore del dipartimento Anticrimine, già a capo dello Sco; né Gilberto Caldarozzi, promosso a capo del Servizio centrale operativo; né Giovanni Luperi, promosso al vertice del servizio segreto civile, già vicedirettore dell’Ucigos; né Spartaco Mortola, già dirigente della Digos, ora promosso vicequestore aggiunto a Torino.
Tutti assolti.
Mentre l’allora capo della Polizia, Gianni De Gennaro, responsabile della piazza durante il G8 di Genova, e’ diventato addirittura direttore del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Rimangono i verbali falsificati, gli arresti ingiustificati, le molotov introdotte illegalmente nella scuola per giustificare l’assalto, la loro sparizione dall’ufficio della Questura di Genova dove erano in custodia come corpo del reato, a fare da sfondo ad un’ulteriore brutta pagina della democrazia italiana.
Noi c’eravamo e per questo auspichiamo un sussulto democratico. Una reazione pubblica, pacifica e nonviolenta per dimostrare che in questo paese esiste ancora un tessuto democratico, e che la convivenza civile si deve basare sul principio di responsabilità, sul riconoscimento dei diritti di tutti e su una giustizia che sappia tutelare le vittime e applicare il principio che la legge è uguale per tutti.
Miriam Giovanzana, Lorenzo Guadagnucci, Monica Lanfranco, Stefano Lenzi, Deborah Lucchetti, Pietro Raitano, Felice Romagnoli, Riccardo Troisi, Alberto Zoratti
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