Economia / Opinioni
Tre ragioni per cui l’Italia del debito dovrà chiedere aiuto in Europa
Dalla crescita del debito pubblico (135,2% del Pil nel 2020) all’andamento del tasso di crescita nominale del Paese. Gli spread stanno salendo, rendendo il costo degli interessi per il Tesoro italiano salatissimo. Come fare a scongiurare (o limitare) il pericolo? “Dipenderà dalla volontà dei vari Paesi europei di darci una mano”. L’analisi di Alessandro Volpi
Esiste un pezzo di architettura istituzionale europea che è stata costruita e che, pur con alcuni difetti, ha funzionato. Certo, si tratta solo di un tassello che deve essere inserito in un contesto assai più ampio ancora da realizzare, ma rappresenta un primo passo non banale. Si tratta del sistema di regolazione del credito: ormai l’Europa dispone di una vigilanza unica per i vari Paesi che ha l’obiettivo di rendere le banche più solide e trasparenti. Un tale sistema ha contribuito a migliorare la concorrenza tra i vari istituti che si è manifestata in primo luogo con tassi di interesse più bassi; sotto il controllo della vigilanza europea le banche dei vari Paesi competono di più e offrono condizioni migliori alla clientela. La definizione di questo pezzo di Europa si è legato ad un’altra componente da qualche anno cruciale per le sorti del Vecchio continente e rappresentata dalla politica monetaria espansiva. La liquidità fornita dalla Banca centrale europea (Bce) ha determinato un costo del denaro molto basso che, unito alla già ricordata concorrenza bancaria, ha reso i mutui per europei, e italiani, decisamente più convenienti.
Nel caso italiano i tassi dei mutui non hanno neppure trasferito sul mercato della clientela i rialzi dei tassi del debito italiano e gli effetti degli spread, che sono stati di fatto “assorbiti” dalle banche stesse. I numeri sono chiari in tal senso: la media dei tassi dei mutui a tasso fisso è scesa dal 5,67% del 2007, ultimo anno pre-crisi, al 2,09% del 2019, a fronte di un calo dei tassi dei Btp decennali, nel medesimo periodo, dal 4,46 al 2,71% e di un avvertibile rialzo degli spread fra Btp italiani e Bund tedeschi dallo 0,23% del 2007 al 2,58% del primo trimestre del 2019.
Per l’Italia, però questa condizione favorevole, frutto appunto di politiche monetarie espansive e concorrenza, sembra destinata a scemare rapidamente e in modo preoccupante per tre ragioni purtroppo molto evidenti.
1) Il debito pubblico italiano sta crescendo troppo e sta diventando troppo più grande di quello di altri Paesi europei, in relazione alla capacità dell’Italia di produrre reddito. Nell’arco di tempo 2018-2020 quello del nostro Paese sarà infatti l’unico tra i debiti pubblici degli Stati dell’Eurozona a crescere ininterrottamente, passando dal 131,4% del PIl del 2018 al 135,2% del Pil del 2020, mentre la media europea scenderà, nel medesimo arco di tempo, dall’89,1% del Pil all’84,3%. In questo senso il divario fra il debito pubblico italiano e quello degli altri Paesi della zona euro diventerà molto marcato; in altre parole, l’Italia avrà un rapporto debito-Pil due volte quello della Germania e di 35 punti percentuali superiore a quello della Francia e della Spagna. Si delineerebbe così una distanza davvero difficile da giustificare e da sostenere all’interno di una stessa area valutaria.
2) Sembra ormai consolidarsi un dato molto negativo per l’economia italiana: il tasso d’interesse medio sui titoli di Stato italiani è più alto del tasso di crescita nominale del Paese. Questo significa che, come ricordato sopra, il debito pubblico cresce ogni anno in relazione al Pil in maniera automatica, anche senza interventi di politica economica. Per essere ancora più espliciti: nonostante l’enorme liquidità immessa dalla Bce che abbatte i costi del collocamento del debito italiano, il ristagno dell’economia genera, ogni anno, in maniera automatica il peggioramento del rapporto fra debito pubblico e Pil.
3) Alla luce di tutto ciò, gli spread stanno salendo e rendono il costo degli interessi per il Tesoro italiano salatissimo, tanto da spingerlo nel 2020, secondo le stime meno pessimistiche, a 75-80 miliardi di euro all’anno. Pesa molto, in una simile ottica, anche la crescente differenza tra i titoli italiani e quelli di Paesi come Spagna e Portogallo, che registrano un rendimento più basso e dunque meno costoso di quelli italiani.
Queste tre ragioni provocheranno, oltre alle insidiose difficoltà a collocare il debito italiano -con rischi tutt’altro che remoti di ristrutturazione “forzata” dello stesso debito, magari non restituito per intero ai suoi compratori- un rialzo dei tassi sui mutui per gli italiani da parte di banche, appesantite dalla svalutazione dei titoli di Stato italiani che hanno in pancia e dalla concorrenza che paradossalmente faranno loro proprio i titoli italiani. Se infatti questi ultimi per la difficoltà di trovare compratori dovranno pagare interessi più alti, anche le banche dovranno alzare i tassi dei loro titoli e quindi quelli dei mutui per trovare le risorse necessarie; una pessima prospettiva per un Paese così dipendente dalle banche e dal debito come l’Italia. Ancora una volta, la possibilità per il nostro Paese di scongiurare questo pericolo, o quantomeno di limitarlo, dipenderà, allora, dalla volontà o meno della Banca centrale europea di fornire alle banche denaro gratis e a non pressarle troppo nella restituzione delle loro scadenze. In sostanza dipenderà dalla volontà dei vari Paesi europei di darci una mano.
Università di Pisa
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