Economia
Iraq, dopo la guerra il barile che manca – Ae 46
Numero 46, gennaio 2004I calcoli sul petrolio iracheno sono andati in fumo. Ma l'area è strategica per tutti. Come per l'Eni, che dal 1997 ha messo gli occhi sul giacimento di Nassirya. Sì, proprio quello dell'attentato agli italianiNonostante l'occupazione dell'Iraq,…
Numero 46, gennaio 2004
I calcoli sul petrolio iracheno sono andati in fumo. Ma l'area è strategica per tutti. Come per l'Eni, che dal 1997 ha messo gli occhi sul giacimento di Nassirya. Sì, proprio quello dell'attentato agli italiani
Nonostante l'occupazione dell'Iraq, i venti di recessione, il dollaro debole e l'euro forte, il prezzo dei prodotti petroliferi, e in particolare quello della benzina, non cala. Anzi, nello scorso dicembre, il greggio ha sfiorato il tetto storico dei 33 dollari il barile.
Che cosa sta succedendo? E chi sta guadagnando da questa situazione?
Lo abbiamo chiesto a Michele Paolini, che ormai i nostri lettori conoscono per la lucidità delle sue analisi e la grande competenza (con Altreconomia Paolini ha pubblicato nello scorso marzo La guerra del petrolio che, a tutt'oggi, è un testo di riferimento per chiunque voglia capire qual è il futuro e quali sono gli enormi interessi -geo-politici oltre che economici- che si muovono attorno al petrolio).
Allora Michele, che cosa è cambiato dallo scorso marzo, dall'inizio della guerra in Iraq? Perché il prezzo del petrolio continua ad essere alto?
“Per rispondere bisogna guardare all'andamento della domanda globale: l'Agenzia internazionale dell'energia prevede, dal 2000 al 2030, un aumento annuo della domanda pari al 2,4 per cento. Nel 2003 l'aumento dei consumi è stato di 1,4 milioni di barili al giorno, superiore addirittura alle previsioni della stessa Agenzia. E nel 2004 si toccheranno i 79,6 milioni di barili al giorno rispetto ai 78,4 milioni che abbiamo bruciato ogni giorno per tutto il 2003.
La domanda di petrolio quindi è in costante aumento e continuerà così nell'arco dei prossimi 30 anni”.
Eppure l'economia globale in questi ultimi due-tre anni ha conosciuto fasi di rallentamento, addirittura di recessione: come si spiega questo aumento?
“Il fattore principale è il tasso di crescita della Cina, il suo dinamismo. Nel 2002 la Cina è stato il Paese in cui la domanda di petrolio è cresciuta di più, con un balzo del 5,7 per cento a fronte di un prodotto interno lordo aumentato dell'8 per cento. E questi sono due indicatori che tendono a viaggiare insieme: così, se si tiene conto che il Pil cinese è cresciuto del 9,9 per cento nel primo trimestre di quest'anno, e dell'8,2 per cento nel semestre, si capisce bene perché si calcola che la domanda di petrolio sia aumentata, quest'anno, del 9 per cento.
E crescerà ancora, nel 2004, del 6 per cento raggiungendo i 5,76 milioni di barili al giorno. In settembre il Paese è diventato il secondo consumatore mondiale, superando il Giappone”.
La Cina dunque. E da dove viene il petrolio di cui ha bisogno?
“Sì, il Paese è in piena corsa. E un terzo circa del greggio che consuma viene importato. Il 60 per cento dal Medio Oriente che, quindi, è area strategica per i suoi equilibri economici. Ora, è chiaro che l'occupazione dell'Iraq da parte degli Stati Uniti è un fattore oggettivamente limitante per l'accesso della Cina a quell'area”.
E nel resto del mondo, negli Usa e in Europa, come sono andati i consumi di petrolio?
“Hanno continuato a crescere. Gli Stati Uniti sono il principale consumatore di petrolio nel mondo, ormai sfiorano i 20 milioni di barili al giorno, il 25 per cento della domanda totale. Nel mese di dicembre è nevicato sulla costa Est, un metro di neve, e questo ha fatto salire la domanda e la tensione dei mercati. Eventi banali come questo, nel principale Paese consumatore, hanno il potere di far salire le quotazioni anche di uno o due dollari al barile. È come dire che una nevicata negli Usa ha ripercussioni fino in Cina”.!!pagebreak!!
Il petrolio iracheno è tornato sul mercato oppure no? Qual è la produzione del Paese?
“Ad agosto, secondo le fonti ufficiali Usa, la produzione irachena era di un milione di barili al giorno. Prima della guerra era invece di due milioni. Uno degli obiettivi del conflitto contro l'Iraq, pubblicati in documenti ufficiali, era di estrarre un milione di barili al giorno in più entro il 2004. Ecco, questo milione che manca è l'obiettivo fallito della guerra. Una ricostruzione rapida degli impianti appare impossibile senza la stabilizzazione del Paese e ci vogliono circa 10 mesi di lavoro ingegneristico per ripristinare un campo petrolifero. Sono più di 80 gli impianti petroliferi danneggiati. Uno dei momenti più importanti del 'dopoguerra' avrebbe dovuto essere il ripristino dell'oleodotto tra Kirkuk e il porto turco di Ceyane: il 13 agosto è stato inaugurato, il 15 e il 17 ha subìto due attentati. Risultato: l'oleodotto non funziona ancora oggi”.
Il petrolio che viene estratto in Iraq da dove esce?
“Per il momento da Sud, da Bassora”.
Qual è la potenzialità produttiva dell'Iraq?
“Si pensava di riuscire a estrarre entro il 2010 circa 5-6 milioni di barili al giorno. Meno di un milione destinato al mercato interno e il resto all'esportazione. Oggi nessuno è in grado di dire se questo è un obiettivo raggiungibile”.
La guerra è stata un buon affare per i mercanti di petrolio?
“Non in maniera diretta, non fino ad oggi. Saranno necessari investimenti di miliardi di dollari per ripristinare i campi petroliferi. Però è interessante guardare ai bilanci delle maggiori compagnie petrolifere in questo periodo. L'utile netto di ExxonMobil è stato, nel primo trimestre del 2003, di 3,65 miliardi di dollari, in crescita del 38 per cento rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
TexacoChevron, nello stesso periodo, ha fatto segnare un utile netto di 1,98 miliardi di dollari, mentre l'anno scorso era in perdita di 904 milioni. La cosa interessante è che la produzione di entrambe le compagnie è in calo: quindi guadagnano di più producendo di meno proprio perché è aumentato il prezzo”.
Perché producono di meno?
“Perché i giacimenti in Usa e in Europa, nel mare del Nord, sono stati ampiamente sfruttati e la loro produzione ha ormai superato il picco ed è in calo, vanno verso l'esaurimento. Per questo le aree del Golfo Persico e del Caspio sono cruciali: qui il picco di produzione deve ancora essere raggiunto”.
Se il consumo nel mondo aumenta e la produzione di alcune grandi compagnie diminuisce quali sono le compagnie che stanno producendo di più per coprire i buchi?
“Più che di compagnie qui dobbiamo parlare di 'province petrolifere'. In particolare l'Arabia Saudita è quella che ha la maggiore capacità di compensazione delle tensioni del mercato: se qualcuno, da qualche parte del mondo, stringe i rubinetti, l'Arabia Saudita è in grado di aprirli per tenere stabili i prezzi. Qui l'attore principale è la compagnia di proprietà statale, legata, con contratti e vincoli economici, alle compagnie americane. Dopo l'11 settembre però i rapporti tra Stati Uniti e Arabia Saudita sono diventati più tesi e difficili e gli Usa stanno cercando nuovi partner, come la Russia per esempio, tornata ad essere un grande produttore di petrolio dopo la crisi degli anni Novanta, con la quale è iniziato un vero e proprio 'dialogo energetico': è la Russia che sta 'dialogando' con i Paesi Opec per operare correzioni sulle politiche dei prezzi. Negli ultimissimi mesi è parsa chiara la volontà dei Paesi Opec di mantenere alto il prezzo del barile, contingentando ed eventualmente tagliando la produzione; la Russia invece sostiene -e ci sono dichiarazioni ufficiali in questo senso del suo ministro per l'energia- che il prezzo è troppo elevato e si deve stabilizzare attorno ai 25 dollari al barile”.!!pagebreak!!
Torniamo all'Iraq. Che ruolo giocano gli altri occidentali, per esempio i francesi?
“Il ruolo di tutti i Paesi che si sono opposti all'intervento militare: sono fuori dalla ricostruzione sia delle infrastrutture sia degli impianti petroliferi. Questo vale anche per Total che aveva interessi consistenti nell'area ma che ora è costretta a restare in panchina”.
E gli italiani?
“Diverso il ruolo dell'Eni che da anni, dai tempi del regime di Saddam, è interessata al giacimento di Nassirya che contiene due miliardi di barili, è un giacimento molto grande, di interesse mondiale, stimato di una produzione potenziale di 300 mila barili al giorno. L'Eni c'è dietro dal 1997. Secondo fonti del Financial Times, a giugno, dopo la guerra, alcuni funzionari dell'Eni si sono recati a Bagdad per avviare contatti. Difficile dire a che punto siamo, certo Vittorio Mincato, amministratore delegato di Eni, ha confermato un rinnovato interesse”.
Alla luce di tutto questo è casuale il dislocamento delle truppe italiane proprio a Nassirya?
“No, non è un caso, ma a dirlo non sono io ma gli stessi analisti finanziari internazionali che hanno letto l'attentato contro gli italiani anche come una intimidazione contro l'Eni. Lo ha scritto a tutta pagina Il Sole 24 ore. L'interesse dell'Eni su questo campo petrolifero è noto e ampiamente documentato”.
In prigione il padrone della principale compagnia russa
L'oligarca e la democrazia
Ci sono gli interessi e i grandi profitti generati dal petrolio dietro molte vicende politiche della Russia. Qui in tutti gli anni Novanta la produzione petrolifera era stata in calo. Ma la ripresa dei prezzi nel biennio 1999-2000 ha invertito la tendenza e ora il settore petrolifero è certamente quello più importante per il Paese. Nel 2002 la produzione russa ha raggiunto e superato quella dell'Arabia Saudita. Con questa posizione sul mercato internazionale la Russia può di nuovo giocare un ruolo strategico. I giacimento del Caspio, non ancora esplorati, sono stimati nell'ordine di 150 miliardi di dollari di barili.
L'ultimo a farne le spese è stato Mikhail Khodorkovski, 40 anni, l'uomo più ricco della Russia, padrone di Yukos, la più grande compagnia petrolifera del Paese.
Khodorkovski fa parte di quella oligarchia di spregiudicati affaristi che si è arricchita smisuratamente sullo smantellamento e sulle privatizzazioni dell'ex impero sovietico. Arrestato a Mosca il 25 ottobre, è accusato di aver frodato il fisco per alcuni miliardi di dollari. I suoi avvocati rimandano l'accusa al mittente e sostengono che, in questo modo, il presidente della Russia Vladimir Putin sta eliminando uno dei suoi potenziali avversari politici. Lo scontro con Putin, come dimostrano le ultime vicende, è in effetti all'ultimo sangue.
L'arresto di Khodorkovski ha suscitato le proteste degli Usa, preoccupati per la violazione dei diritti democratici. Ma certo hanno avuto un ruolo, in queste proteste, anche le amicizie di Khodorkovski con Bush figlio e padre, e i suoi legami con le compagnie petrolifere americane. Come spiega Michele Paolini: “Khodorkovski ha sostenuto fino alla fine il progetto di fusione delle due più grandi compagnie petrolifere russe, la Yukos e la Sibneft, per creare un nuovo grande gruppo che avrebbe avuto una capitalizzazione di mercato di 44 miliardi di dollari, un po' meno dell'Eni (67 miliardi di dollari), ma pur sempre la settima compagnia a livello mondiale. In questa fusione le compagnie americane Chevron ed Exxon erano in trattative per entrare nel capitale sociale con una quota tra il 40 e il 53 per cento. Questo avrebbe significato un pesante ingresso del capitale americano nel principale settore che oggi sta sostenendo la ripresa dell'economia russa. Il ruolo e le scelte di Khodorkovski rischiavano di mettere in discussione addirittura la sovranità del Paese”.
L'arresto di Khodorkovski è avvenuto proprio alla vigilia della campagna elettorale per il rinnovo della Duma: alle elezioni legislative del 7 dicembre scorso il partito di Putin, “Russia Unita”, ha spopolato. Il partito comunista ne è uscito dimezzato ma anche la destra liberista, quella che aveva guidato le privatizzazioni consentendo la creazione di ricchezze enormi nelle mani di pochi oligarchi, è stata sconfitta. Putin si è spianato così la strada per le prossime elezioni presidenziali previste per il 14 marzo. A scanso di equivoci però il tribunale ha intanto confermato la detenzione preventiva di Khodorkovski fino al prossimo 25 marzo. Strane coincidenze di date.