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Io lavoro da casa
In Italia ci sono oltre 2,4 milioni tra lavoratori "atipici" e professionisti autonomi. Tra questi ultimi, le donne sono quasi un terzo del totale. Molte (e molti) sono "homeworkers". Iscritti alla gestione separata dell’Inps, ma cittadini a metà, perché pur essendo contribuenti non fruiscono degli stessi servizi di chi ha un contratto a tempo indeterminato
L’homeworking è, nei paesi di lingua anglosassone, il lavoro indipendente che si svolge da casa. In Italia, invece, non esiste ancora un’espressione associata a quello che è diventato "stile di vita" per un numero di persone consistente, e il concetto normativo di telelavoro -introdotto a livello europeo, e recepito nel 2004- non è più adeguato, perché si riferisce alla dislocazione a distanza di dipendenti a tempo indeterminato. Lavorare da casa, invece, coinvolge oggi soprattutto soggetti senza un contratto di lavoro subordinato, una fascia eterogenea che comprende almeno 2,4 milioni di persone tra professionisti autonomi e lavoratori “atipici”.
Dal punto di vista contrattuale, a quelli che vengono definiti “collaboratori” (più di 1,2 milioni iscritti alla gestione separata dell’Inps nel 2013, a cui vanno aggiunti gli atipici iscritti ad altre casse) si affiancano i cosiddetti “freelance”, professionisti di seconda generazione (più di 1,2 milioni nel 2013, quasi il 6% della popolazione, secondo dati Istat rielaborati da ACTA, Associazione consulenti terziario avanzato, www.actainrete.it) che includono anche iscritti a Ordini e Albi non più capaci di tutelarne condizioni di esistenza e diritti.
È tra le maglie di questa rete eterogenea e difficile da inquadrare che stanno consulenti, grafici, redattori, traduttori, illustratori, informatici, ricercatori, formatori, e tutti quei professionisti indipendenti attivi nelle professioni intellettuali e dei servizi, che spesso svolgono la loro attività in spazi domestici o diversi dagli uffici. Che l’Italia sia il Paese europeo in cui la concentrazione di questi soggetti è più alta, lo conferma il Rapporto European I-Pros redatto nel 2012 da Stéphane Rapelli dell’Associazione di consulenti inglesi Professional Contractors Group (PCG), tra gli organismi fondatori dell’European Forum of Independent Professionals (EFIP), al quale aderisce anche l’ACTA.
Donne sempre più “autonome”.
Secondo i dati Istat sulle forze lavoro relativi all’anno 2013 e rielaborati da ACTA, in Italia le donne rappresentano quasi un terzo dei professionisti autonomi, il loro peso è cresciuto sensibilmente negli ultimi anni passando dal 27% nel 2004 al 32% nel 2013, un dato che manifesta probabilmente le difficoltà maggiori che incontrano sul mercato del lavoro subordinato rispetto agli uomini.
La filosofa e sociologa Sandra Burchi nel testo Ripartire da casa (Franco Angeli, 2014) racconta che cosa succede quando una donna lavora da casa, attraverso le storie di dieci “homeworkers” italiane, d’età compresa tra i 29 e i 49 anni. "Lavorare a casa può essere una soluzione a lungo termine o di passaggio, ma rappresenta in ogni caso un adattamento che passa attraverso un’invenzione: le protagoniste del mio libro sono state capaci di realizzare progetti molto ambiziosi rispetto all’esistente. In questo senso, le loro biografie sono microstorie che raccontano di macrocambiamenti; le loro case non sono fortezze serrate, ma luoghi recettori e sensibili ai cambiamenti in corso. Certo -spiega Burchi-, ci vuole un punto da cui partire, un capitale iniziale di competenze, una riserva di conoscenze, una disponibilità di relazioni, la capacità di trovare continuamente un equilibrio". Questo riguarda anche le economie quotidiane, tanto che il reddito percepito da un’attività autonoma può diventare il pezzo di un collage di entrate che coinvolge coniugi e famiglie di partenza. "Ci può essere la composizione di più entrate, redditi provenienti da attività di diversa natura, alcune ‘stabili’ e altre instabili ma più creative. Le economie sono molto diverse da caso a caso. Ci sono servizi e prestazioni che hanno un maggiore riconoscimento economico (commercianti, artigiani, iscritti agli ordini, ndr), e altre competenze che non hanno parametri di riferimento (lavoratori della conoscenza e consulenti senza ordini e casse di riferimento, ndr). Chi non rientra nelle categorie dei professionisti tradizionali ha il problema di darsi un prezzo -racconta Sandra Burchi-: imparare a lavorare senza farsi pagare troppo poco corrisponde a un apprendimento. Si impara in relazione al proprio lavoro, alla situazione di contesto e alla capacità di negoziare con clienti e committenti; a capire quando un lavoro può considerarsi finito, consegnabile; a ridefinire equivalenze (tra tempo e lavoro, tra lavoro e valore monetario). Una strategia rischiosa, ma di fatto esistente, è quella di far corrispondere al lavoro un valore composto di denaro e riconoscimento relazionale".
Il boom delle partite iva.
Sempre di più sono gli indipendenti che aprono, o si vedono costretti ad aprire, una partita IVA. Nel novembre 2014, l’Osservatorio del Dipartimento delle Finanze ne ha censite ben 38.351 nuove, un dato che corrisponde all’84% in più rispetto a quelle aperte nello stesso mese dell’anno precedente. È stato un modo per sfuggire al nuovo regime dei minimi contenuto nella legge di Stabilità per il 2015, che inizialmente prevedeva di triplicare l’aliquota imponibile e dimezzare i limiti di reddito per avere accesso alle agevolazioni, e su cui dopo la mobilitazione social delle partite iva a colpi di hashtag (#siamorotti e #refurtIVA) il governo ha fatto un parziale passo indietro.
"Quella del lavoro autonomo è una forma che consente di ricollocarsi sul mercato in un momento di grande trasformazione -spiega Samanta Boni, socia ACTA dal 2008 e membro del comitato direttivo dell’associazione-. Il problema principale è la pressione fiscale e contributiva che ci porta ad essere cittadini a metà, perché non corrisponde a tutele effettive sul piano della salute, dei congedi parentali, delle future pensioni".
Nel 2012, spiega ACTA, il lavoro autonomo ha rappresentato oltre il 15% dell’occupazione totale nell’UE. Due anni dopo, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulla protezione sociale per tutti, che comprende i lavoratori autonomi. Nel documento emerge la preoccupazione che ampie fasce di lavoratori non accedano ad alcuna protezione sociale. Tuttavia, riferisce ACTA, è stato lo stesso Parlamento europeo a cancellare in un secondo momento il passaggio che prevedeva di legare la protezione sociale alla persona e non al contratto di lavoro.
I dati provvisori dell’Inps relativi alla gestione separata per il 2013, quando i contribuenti iscritti erano come abbiamo ricordato 1,5 milioni (contro gli 1,7 milioni del 2012), dicono che questi hanno versato circa 7 miliardi di euro in contributi. Una cifra che secondo ACTA servirebbe a colmare nell’immediato i deficit di gestione dell’ente.
Quel che è invece certo è che tra il 1996 (anno d’istituzione dell’Inps2, cioè la gestione separata) e il 2013, gli iscritti hanno subito un aumento della contribuzione sul reddito, che è passata da un 10% iniziale al 28% circa, e che arriverà a superare il 33% nel 2018, raggiungendo l’aliquota versata da un dipendente, con la differenza che nel caso degli autonomi tutta la spesa è a carico del lavoratore.
Inoltre, l’intermittenza con cui si svolgono le attività non consentirà agli autonomi di raggiungere livelli di pensione utili alla sussistenza: l’Inps non fornisce agli iscritti alla gestione separata la possibilità di poter calcolare a quanto ammonteranno le pensioni, un fatto tutt’altro che incoraggiante. Se poi si considera che i redditi medi annuali di chi lavora nel settore della conoscenza e dei servizi oscillano tra gli 8 e i 15 mila euro, è possibile avere anche una misura delle condizioni materiali presenti. Condizioni di cui nemmeno i sindacati sono riusciti a farsi portavoce.
Mutualismo e CoWorking.
Per colmare questo vuoto di diritti e di rappresentanza, sono nate esperienze di condivisione, cofinanziamento e mutualismo. È il caso della Mutua Elisabetta Sandri, istituita da STRADE, Sindacato dei Traduttori Editoriali (www.traduttoristrade.it), o della più volte citata ACTA, nata dieci anni fa a Milano per rappresentare e fornire assistenza a tutti quei professionisti del "terziario avanzato" che rientrano nelle categorie di consulenti accomunate dal rivolgersi a clienti che sono imprese o enti della Pubblica Amministrazione.
Negli ultimi anni si sono aggiunti anche professionisti tradizionali iscritti agli Ordini e l’età media degli iscritti si è abbassata a 35 anni, ci racconta Samanta Boni. "Dal 2004 -spiega- proviamo a fornire alternative alle assicurazioni private. Si è soci e non clienti di ACTA, e in questo modo si entra a far parte di un sistema di solidarietà tra pari. Associandosi si ha accesso a una serie di informazioni e servizi, tra cui la possibilità di abbonarsi a convenzioni di mutuo soccorso per la salute e accedere a una previdenza complementare agevolata". Il tentativo è quello di attivare una nuova rappresentanza basata sull’equità, per il riconoscimento di una cittadinanza che sia piena per tutti.
"La fluidità e l’ipersegmentazione del fenomeno che abbiamo chiamato ‘quinto stato’ sta in questa cornice complessa e mutevole, come lo sono diventati i concetti di lavoro, produzione e ricchezza -spiega Roberto Ciccarelli autore con Giuseppe Allegri de Il Quinto Stato (Ponte alle Grazie, 2013), una fotografia del lavoro indipendente in Italia prima del Jobs Act-. In questo momento è importante avere un’immagine di società dove al centro non c’è l’individuo potenzialmente libero e strutturalmente solo e impoverito ma l’attività individuale che matura a condizione di essere inserita in un orizzonte cooperativo, di autogestione delle risorse".
In tal senso, come già in altri Paesi, anche in Italia prende lentamente forma il modello del CoWorking, una rete di spazi fisici condivisi che possono dar vita a comunità eterogenee di professionisti indipendenti.
Elisa Badiali, Phd dell’Università di Bologna, che al fenomeno ha dedicato una ricerca finanziata dalla Fondazione Ivano Barberini diffusa a maggio 2014, ne ha contati circa 200 lungo tutto lo stivale. Una cartografia complessa di esperienze tra loro diverse e non del tutto commisurabili, che spaziano da progetti che si limitano ad affittare postazioni, a realtà anche molto attive sul piano culturale e delle pratiche.