Invasioni di latte: la guerra del fresco straniero – Ae 25
Numero 25, febbraio 2002Roma, una calda giornata di agosto. Una circolare, come altre, viene firmata negli uffici del ministero delle Attività produttive. Quando pochi giorni dopo entra in vigore, l'Europa piomba ufficialmente nel bel mezzo della nostra colazione. Nella tazza…
Numero 25, febbraio 2002
Roma, una calda giornata di agosto. Una circolare, come altre, viene firmata negli uffici del ministero delle Attività produttive. Quando pochi giorni dopo entra in vigore, l'Europa piomba ufficialmente nel bel mezzo della nostra colazione. Nella tazza del latte, a esser precisi.
Sarà perché gli italiani sono fissati col cibo, ma in Italia c'è una legge molto rigida sul latte fresco. È la 169 del 1989 e stabilisce che il latte può dirsi fresco se viene pastorizzato entro 48 ore dalla mungitura e consumato in quattro giorni. La scadenza stampata in cima alle confezioni viene fissata così. Eppure da qualche tempo a questa parte negli scaffali refrigerati dei supermercati e (se ne esistono ancora) nelle latterie, sono apparsi confezioni di latte fresco dalla scadenza molto lunga.
I più famosi sono “FrescoBlu” di Parmalat, che della maggior durata ha fatto il suo cavallo di battaglia pubblicitario, e il latte “Qualità superiore” della tedesca Müller, che al contrario ha sbandierato meno la raddoppiata shelf-life (durabilità, all'europea).
Andiamo con ordine. “Quattro giorni più uno” (quello del confezionamento) è la formula che in epoca di mercati aperti ha sempre tutelato i produttori nostrani dall'ondata di latte straniero, in particolare tedesco (in Germania il latte costa il 30% in meno rispetto all'Italia). Una questione di termini: se dura più di cinque giorni vendetelo pure, ma non chiamatelo fresco. È per questo che il latte a lunga conservazione viene tutto perlopiù dall'estero, mentre il latte fresco è più legato al territorio, attraverso centrali del latte e aziende di produzione locale (a volte anche di piccole dimensioni). E soprattutto è di gran lunga preferito dai consumatori italiani.
Nel 2000, a marzo, viene emanata la direttiva dell'Unione Europea che stabilisce i criteri per l'etichettamento, per favorire la libera circolazione delle merci sul territorio comunitario. Lo scorso aprile il ministero delle Attività produttive viene incaricato dal governo di occuparsi della questione anche per i prodotti alimentari. E ad agosto arriva la circolare numero 167, che parla anche di latte (ma non solo).
Cosa stabilisce il documento? Il principio è quello del “mutuo riconoscimento”: “Il latte, proveniente da Stati membri -recita- che non prescrivono una precisa durabilità dello stesso o che prescrivono una durabilità più elevata di quella prevista dalla legge 169 del 1989, può avere una durabilità maggiore. (…) La data di scadenza ed il termine minimo di conservazione per i diversi tipi di latte confezionati provenienti da altri Stati membri, possono essere determinati direttamente dai confezionatori in conformità alle disposizioni vigenti nei Paesi d'origine”.
In poche righe una piccola rivoluzione. Un po' come per il cioccolato (vedi AE n. 6), l'esigenza di armonizzare il mercato europeo si scontra con la rigidità italiana in fatto di alimentazione.
Rivoluzione di cui si rendono subito conto l'italiana Parmalat e la tedesca Müller, che nel giro di poche settimane immettono sul mercato un nuovo prodotto: latte fresco che dura otto giorni (e forse di più). Latte importato, perché la legge italiana ancora vieta di produrre (in Italia) latte fresco che duri più di cinque giorni. Il trattamento subito dal latte non ha importanza: se in Germania lo possono chiamare latte fresco, lo stesso può accadere anche in Italia. Una rivoluzione dalle prospettive interessanti: i consumatori continuano a scegliere latte fresco, ma apprezzano la convenienza di una durata maggiore, una specie di “servizio aggiunto” al prodotto. Un target di consumatori più “evoluto”: persone che lavorano, hanno poco tempo, e vanno al super a fare la spesa. Alla rivoluzione legislativa segue però l'agitazione nel comparto nostrano. La concorrenza europea fa capolino in un mercato che fino ad allora le era stato precluso, con prodotti decisamente attraenti per i consumatori, mentre i produttori italiani sono legati dalla legge. Secondo Frescolatte, l'associazione delle industrie che producono latte fresco, è a rischio non meno del 10% del mercato.
A capeggiare la rivolta c'è nientemeno che il ministero delle Politiche agricole: con una lettera il ministro Alemanno si scaglia contro la circolare esprimendo “la totale disapprovazione sia sotto il profilo formale che sostanziale” e lamenta di non essere stato interpellato. Alcune associazioni di categoria (fra queste Unalat, l'Unione nazionale fra le associazioni produttrici di latte bovino) ricorrono al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, che il 15 novembre sospende la circolare incriminata (nella parte in cui permette la libera circolazione di latte straniero denominato “fresco” e dalla durata “maggiorata”). La sospensione toglie validità alla circolare, ma non è un annullamento, per il quale bisogna attendere una sentenza definitiva. Nella storia si infila anche l'altro grande colosso italiano del latte, Granarolo, che produce una qualità di latte a lunga durata senza chiamarlo “fresco”. Si chiama latte “ad alta pastorizzazione” ed è una terza tipologia (assieme al latte fresco e a quello a lunga conservazione) prevista proprio dalla direttiva dell'Unione Europea. Granarolo si oppone alla novità sul latte fresco, intentando una causa contro Parmalat all'Istituto dell'Autodisciplina pubblicitaria. Ma la pubblicità di “FrescoBlu” non viene rienuta ingannevole dal Giurì dell'Istituto, che tuttavia giudica secondo il codice di autodisciplina e non secondo le norme statali.
La cosa dura fino a metà gennaio, quando il Consiglio di Stato annulla la sospensione della circolare accogliendo l'appello richiesto dal ministero delle Attività produttive e da Müller. Tra il 15 novembre 2001 e il 16 gennaio 2002 il latte fresco a lunga durata era un clandestino sulle nostre tavole? Difficile stabilirlo. Quel che è certo è che oltre al latte di Parmalat e di Müller il ministero delle Politiche agricole (del caso se ne occupa il sottosegretario Gianpaolo Dozzo) in quei due mesi ha contato una ventina di nuovi prodotti, e dopo aver effettuato numerosi controlli, ordinato 20 sequestri e altrettante sanzioni amministrative.
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Latte, il Nord in testa. E il prezzo la fanno i bresciani
Il prezzo del latte all'”ingrosso” (cioè alla stalla) viene stabilito annualmente. L'anno per il mercato del latte va dal 1° aprile al 31 marzo, ma spesso gli accordi sul prezzo giungono in ritardo sui tempi stabiliti. Lo scorso anno ne era stato siglato uno a livello nazionale tra l'Unalat (l'Unione nazionale fra le associazioni produttrici di latte) e Assolatte (aziende del comparto lattiero caseario, che comprano il latte dalle stalle per ottenerne un prodotto finito). L'accordo non è stato siglato per la campagna 2001/2002, che si concluderà a fine marzo. Per quest'anno allora sono stati stipulati una serie di accordi locali. Il più importante è quello di Brescia, siglato il 24 maggio, cui gli altri hanno fatto riferimento. Per Brescia il prezzo è stato fissato sulle 700 lire al litro (più l'Iva al 10%), ma è rimasto valido solo da aprile a giugno, perché poi ritoccato in base all'andamento del mercato dei prodotti lattiero-caseari. Oggi è attorno alle 780 lire al litro.
Müller, la diffidenza di alta qualità
Difficile ottenere informazioni da Müller. Alla filiale italiana (la sede è a Verona) dell'azienda di Aretsried, in Germania, nessuno sembra aver tempo per rispondere alle nostre domande.
Dallo scorso settembre (grazie alla circolare ministeriale di cui parliamo in queste pagine) anche Müller vende in Italia una qualità di latte che definisce fresco, importandolo dalla Germania.
La dicitura “qualità superiore” ricorda quella di “alta qualità”, di cui il latte Müller non può avvalersi. Dati sull'azienda si trovano sul sito tedesco. La Molkerei Alois Mueller Gmbh & Co. (questo il nome per esteso) ha un fatturato di 1,71 miliardi di euro (oltre 3 mila e 300 miliardi di lire). Ogni anno utilizza 1 milione e 400 mila tonnellate di latte. Ha più di 4 mila dipendenti (45 a Verona) ed è leader nel settore degli yoghurt in Germania e Inghilterra, mentre è al terzo posto in Italia (180 milioni di vasetti l'anno, a partire dal 1995).
Fresco italiano, in testa Granarolo
La storia di Granarolo Spa inizia a Granarolo, in Emilia, nel 1959. Oggi, con 3 milioni di quintali all'anno, Granarolo è al primo posto nel mercato del latte fresco in Italia. L'80% di quel latte è destinato al consumo diretto nelle famiglie, il resto a bar, gelaterie, pasticcerie, ma anche scuole, carceri ed altri enti pubblici. Il 78% delle azioni del gruppo appartine a Granlatte, consorzio di cooperative di produzione di latte (circa 600 stalle). Il fatturato dello scorso anno è stato di 1.200 miliardi di lire. Granarolo S.p.A. controlla altre 8 società, tra le quali la Centrale del latte di Milano, Calabria latte, Dilat Spa (di Modena), Fiore e Vogliazzi Spa (che si occupa di gastronomia industriale e piatti pronti).
Il latte “Più Giorni” è un latte pastorizzato ad alta temperatura, tipologia riconosciuta dall'Ue.
Non è un latte fresco (anche se va mantenuto in frigorifero) ma nemmeno un latte a lunga conservazione. Viene prodotto per Granarolo da una cooperativa di Trittau, vicino ad Amburgo. Fino ad ora ha coperto il 2% dei volumi totali di vendita (60 mila quintali di latte), per un fatturato attorno ai 40 miliardi di lire.L'anno scorso Granarolo ha speso circa 10 miliardi di lire in pubblicità.
Se il segreto è la microfiltrazione
Parmalat è un impero da 14 mila miliardi di lire di fatturato, 377 miliardi di utili. La divisione latte frutta 8 mila 600 miliardi di lire. Gli affari si dividono tra Europa (4 mila 400 miliardi), Nord e Centro America (4 mila e 600 miliardi) e Sud America (3 mila e 800 milardi di lire, dove Parmalat è sbarcata nel 1974). In Italia è leader incontrastato nel latte a lunga conservazione, e dopo l'acquisizione di Cirio nel 1999 detiene il 30% del mercato del latte fresco, seconda solo a Granarolo. Parmalat Spa appartiene a Parmalat Finanziaria, società controllata al 51% da Coloniale Spa, una holding della famiglia Tanzi che nel 1961, a Collecchio in provincia di Parma, ha dato vita all'azienda. Il 49% è quotato sul mercato.
FrescoBlu è il latte a lunga durata che Parmalat definisce fresco. È stato lanciato sul mercato da pochi mesi e i risultati, assicurano, sono ottimi. Il procedimento per ottenerlo è la microfiltrazione, un brevetto che Parmalat ha registrato in Canada già nel 1998. Solo però dopo la circolare del ministero delle Attività produttive si è pensato all'ingresso nel mercato italiano. Il latte è importato interamente dalla Germania.
Per la pubblicità lo scorso anno Parmalat ha speso circa 90 miliardi di lire, il 23% in più rispetto al 2000.
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Un mercato per due
Povere mucche, sole e sfruttate. Un dato rilevante a proposito del mercato del latte in Italia è questo: ci sono sempre meno stalle ma la produzione media per allevamento aumenta. Nel '95 le stalle erano 97 mila, nel 2000 poco meno di 75 mila: in 22 mila hanno chiuso i battenti. In compenso la produzione media è passata dalle 76 tonnellate di latte (per allevamento) di una dozzina di anni fa alle 140 tonnellate della campagna 2000 (vuol dire 5 tonnellate di latte all'anno per mucca).
In Italia si sono prodotti nel 1999/2000 quasi 11 milioni di tonnellate di latte, cifra più o meno invariata rispetto al decennio precedente, anche grazie al sistema delle quote imposto dall'Unione Europea.
Dall'estero (in particolare dalla Germania, ma anche da Austria e Francia) ne arrivano oltre 2 milioni e mezzo di tonnellate.
L'italiano medio consuma 64 chili all'anno tra latte e formaggi: in totale in Italia si bevono quasi 3 milioni di tonnellate di latte, divisi a metà tra fresco (e in percentuale sempre maggiore biologico) e a lunga conservazione (Uht).
Un mercato povero, quello del latte. La redditività degli allevamenti continua a calare: nel 2000 un litro di latte &endash;765 lire il costo per produrlo- portava solo 2,6 lire di profitto, contro le 14 dell'anno precedente.
Le cause -secondo l'Osservatorio sul mercato dei prodotti lattiero-caseari di Cremona- vanno trovate non tanto nell'aumento dei costi quanto nel progressivo allineamento delle quotazioni italiane a quelle europee. Quindi sempre di più i profitti si giocano sui volumi, e non a caso il comparto, specie del latte destinato al consumo diretto, è dominato da sole due aziende, Parmalat e Granarolo, che assieme controllano il 60% del mercato del latte fresco.
Nonostante questo, è un mercato polverizzato in decine di marchi, molti dei quali vengono mantenuti dai grandi gruppi per una questione di affezione dei consumatori (come nel caso della Centrale del latte di Milano, di proprietà di Granarolo).
Nelle 8 regioni settentrionali sono localizzati più dei quattro quinti della produzione nazionale di latte vaccino: solo alla Lombardia spettano i due quinti del totale nazionale (il primato spetta a Brescia, Cremona e Mantova).
Il processo in atto è comune un po' a tutti i Paesi dell'Unione: la produzione tende sempre più a concentrarsi in alcune aree ben delimitate.
Il perché lo si deve cercare (oltre a fattori storici e geografici) anche nelle caratteristiche delle aziende (le più grandi sono favorite nella gestione dei costi) e nella diffusione di nuove tecnologie tra gli allevatori (e ancora una volta le aziende più ricche possono permettersi maggiori investimenti nella ricerca e nell'innovazione degli impianti).
Gli affari del latte nero
Stalle buie e nascoste? Difficile immaginarselo, ma un mercato nero del latte esiste (e preoccupa).
Ci finiscono i litri eccedenti le quote fissate dall'Unione Europea, per i quali i produttori pagherebbero una multa. La denuncia viene dall'Aia, l'Associazione italiana allevatori, secondo la quale il problema del latte in nero si sta diffondendo. E non è un giro da poco: almeno un milione di tonnellate di latte non fatturato (quasi il 10% del totale nazionale) sulle quali vengono evase tasse per 800 miliardi di lire.
Il latte non dichiarato viene raccolto e venduto dall'allevatore di nascosto, di solito per essere trasformato in formaggio. Il prezzo è sensibilmente inferiore a quello di mercato (si aggira attorno alle 450 lire per litro contro le quasi 800 del prezzo di mercato) ma la convenienza per chi vende rimane.
I contatti tra compratore (ad esempio un caseificio compiacente) e allevatore avvengono in maniera informale, i pagamenti in contanti. Spesso si tratta di clienti esteri che poi rivendono in Italia i loro prodotti. Impossibile accertarsi dei controlli sanitari.
Il difficile è nascondere questo circuito parallelo nelle contabilità delle aziende e agli accertamenti della Finanza. Spesso il latte in nero viene raccolto in cisterne non “ufficiali”, e contabilizzato su libri tenuti ben separati da quelli regolari, e lo stesso vale per gli acquirenti.
Il fenomeno era limitato fino a poco tempo fa alle zone di maggior produzione, cioè in Lombardia tra Crema, Cremona e Brescia, ma ora sta prendendo piede anche nel Centro e nel Sud Italia, recando danno, oltre che alle casse dello Stato, agli allevatori onesti che devono fare i conti con questo tipo di concorrenza.
Nella campagna 1999/2000 l'Italia ha sorpassato (ufficialmente) la quota di produzione di latte per 137 mila tonnellate (il 14% della quota), e dovrà pagare quasi 50 miliardi di lire di multa. Per il biennio 2001/2002 è stato assegnato ai produttori italiani circa il 9% del totale prodotto in Europa (119 milioni di tonnellate di latte). Le quote più rilevanti sono state assegnate come ogni anno alla Germania (il 23,4%) e alla Francia (20,4%).