Economia / Opinioni
L’incognita del debito italiano
Nel 2019 serviranno compratori disponibili ad acquistare titoli italiani per almeno 450 miliardi di euro. Finanziare una manovra in deficit è un’impresa ardua perché impone al Paese di trovare finanziatori che non possono essere solo italiani. Che ci piaccia o meno, dobbiamo rispettare le regole del mercato globale. L’opinione di Alessandro Volpi
Si discute molto, forse troppo visti gli effetti prodotti sui mercati, sui numeri della manovra finanziaria che sta per approdare in Parlamento. Certo, si tratta di ipotesi non ancora del tutto definite e in continua mutazione, ma la fermezza con cui sono state presentate, e festeggiate, da autorevoli membri del governo induce a pensare che tali ipotesi non potranno essere stravolte, a meno di non mettere a rischio la tenuta stessa dell’esecutivo.
Il punto più critico della manovra è rappresentato dalla volontà di portare il rapporto tra deficit e Pil al 2,4%, invertendo la tendenza seguita negli ultimi anni di procedere alla sua progressiva riduzione per riuscire a limitare la dipendenza italiana dall’indebitamento pubblico. Finanziare le misure previste nella Manovra con un incremento del deficit significa, in concreto, non aver trovato le coperture necessarie e affidarsi dunque, di nuovo, al debito. Che, di conseguenza, dovrà trovare compratori disposti a sottoscriverlo. Un’operazione assai difficile date le cifre in gioco e le condizioni dei mercati. Il prossimo anno scadranno titoli di Stato italiani per circa 400 miliardi, che dovranno essere collocati perché indispensabili al funzionamento dello Stato e al regolare pagamento di stipendi e servizi, a cui si dovrebbero aggiungere, se la manovra fosse approvata appunto con un deficit al 2,4%, altri 40-45 miliardi solo nel 2019 dovuti appunto alla copertura delle spese in deficit e all’incremento dei rendimenti sui titoli stessi. Già nel 2018 il costo medio del finanziamento del debito pubblico in asta è cresciuto allo 0,75% e sta rapidamente crescendo per effetto della riaccesasi tempesta degli spread.
Dunque, nel 2019 serviranno compratori disponibili ad acquistare titoli italiani per almeno 450 miliardi di euro. Ma rispetto ad una tale previsione, tutt’altro che rassicurante, è necessario tener presente alcuni altri elementi. In primo luogo, con le risorse rese disponibili da un deficit al 2,4% -sempre che, come detto, si trovino i compratori- non sarà possibile realizzare se non in minima parte le misure promesse dal programma elettorale. Già ora, infatti, il rapporto deficit-Pil, per effetto delle correzioni imposte dalla minor crescita italiana e per l’aumentato costo degli interessi, sfiora il 2% e deve essere pertanto finanziato. Ciò significa che, con un deficit al 2,4%, resterebbero al governo 6-7 miliardi di euro del tutto insufficienti per porre in essere reddito di cittadinanza, riforma Fornero e inizio della flat tax, il cui costo risulta superiore di tre volte, secondo le stime fatte dallo stesso governo.
Allora, il rischio reale è che, una volta in Parlamento, il deficit venga portato al 2,7-3%, con l’esigenza di ulteriori coperture e, di conseguenza, di ulteriori compratori del debito italiano. Ci sono poi da considerare gli effetti, che rischiano di essere devastanti, di un eventuale, e molto probabile, declassamento del rating del debito italiano. A fine ottobre, con il testo e i numeri della Manovra in mano, si esprimeranno le agenzie di rating che potrebbero ridurre ancora il grado di affidabilità dei titoli italiani, attualmente appena sopra il livello di titoli “spazzatura”. Qualora un simile declassamento avvenisse, il debito italiano non potrebbe più essere comprato dalle istituzioni finanziarie, banche comprese, perché ritenuto troppo pericoloso; collocare i già ricordati 450 miliardi, magari divenuti 470-480 per l’ulteriore incremento del deficit in sede parlamentare, sarebbe davvero proibitivo.
Una difficoltà resa ancora più marcata dal venire meno, a partire da gennaio 2019, degli acquisti operati dalla Banca Centrale Europea che sono stati pari a 80 miliardi di euro nel 2015, a 130 nel 2016 e a 120 nel 2017. Con una montagna di debito da collocare, che potrebbe essere definito “spazzatura”, senza l’aiuto della Bce e con banche -peraltro già imbottite di titoli di Stato e per questo aggredite dalla speculazione al ribasso- impedite a operare nuovi acquisti, sarà impossibile non solo realizzare le misure promesse ma forse tenere insieme l’economia del Paese. Ha poco senso, di fronte a un quadro siffatto, sperare che con una spesa pubblica per investimenti pari allo 0,2% del Pil si riesca a far lievitare la crescita del Paese dallo 0,9 all’1,5%, nella speranza che un simile dato attenui l’effetto del maggior indebitamento; così come ha davvero poco senso immaginare che tutto il debito, magari totalmente declassato, venga comprato dagli italiani, che oggi detengono poco più del 5% del debito complessivo. A meno che non si abbiano in mente prestiti forzosi o prelievi obbligati, secondo modelli tristemente noti. Finanziare una manovra con il deficit, e dunque, con il debito è un’impresa ardua non certo per gli ostacoli europei, o a causa di eventuali procedure d’infrazione, ma perché impone, ad un Paese aggravato da un debito enorme, indispensabile per il suo funzionamento, trovare finanziatori che non possono in alcun modo essere solo italiani. Che ci piaccia o no, con il resto del mondo dobbiamo fare i conti se non vogliamo diventare uno Stato “fallito”.
Università di Pisa
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