Economia
In viaggio con le rose – Ae 80
Febbraio, san Valentino: se avete regalato una rosa probabilmente è stata coltivata in Kenya. I fiori prendono l’aereo la sera: in 4 giorni sono da noi passando per l’Olanda. Ecco come funziona la filiera Incontro Simon fuori dall’azienda “Nini”, sul…
Febbraio, san Valentino: se avete regalato una rosa probabilmente è stata coltivata in Kenya. I fiori prendono l’aereo la sera: in 4 giorni sono da noi passando per l’Olanda. Ecco come funziona la filiera
Incontro Simon fuori dall’azienda “Nini”, sul lago Naivasha, a Nord di Nairobi. Sono le cinque del pomeriggio e inizia a fare buio. Ha appena smesso di piovere, e anche se siamo vicini all’equatore non fa caldo. 26 ettari di serre, 600 dipendenti, Nini produce 55 milioni di rose l’anno: vengono tutte esportate in Europa. Simon è un lavoratore stagionale, non assunto: guadagna 3700 scellini al mese (40 euro). Non sa dove finiscono i fiori che raccoglie tutti i giorni. Gli spiego che vengono venduti in Olanda, Germania, Gran Bretagna, Italia. Che cosa ne fate? colori, profumi? mi chiede. No, li compriamo così, per ornamento, dico. Non ci crede, ride. Li comprate per vederli appassire.
Naivasha dista circa 150 chilometri dalla capitale del Kenya, Nairobi. In 2.000 ettari di serre è concentrato il 70% della produzione nazionale di fiori. Sono rose. Il perimetro del lago, specie sul versante Sud, è completamente occupato dalle piantagioni, e non ci sono quasi accessi liberi all’acqua. Anche se è un’attività relativamente recente (le prime serre risalgono alla metà degli anni 80) la coltivazione di fiori è la terza industria del Paese, dopo il turismo e il thè. Nel mondo prima del Kenya ci sono solo Olanda e Colombia. Meno di cento i produttori, alcuni hanno fino a 300 ettari di serre. Di solito sono stranieri, olandesi soprattutto (quelli di Nini sono inglesi). Il lago è l’ideale: non è lontano dall’aeroporto e garantisce acqua a volontà, gratuitamente. Per adesso poco importa che si stia inesorabilmente prosciugando.
Sono almeno 40 mila i lavoratori impiegati direttamente nella produzione di rose, per la maggior parte donne. Le condizioni di lavoro nelle serre sono sempre state ai limiti della sopportazione: caldo, contatto diretto coi pesticidi, salari miseri, molestie sessuali, nessuna tutela sindacale. Ora le cose sembrano (lentamente) migliorare, ma il lavoro è duro e un’operaia assunta col primo livello guadagna meno di 50 euro al mese.
Visitiamo una manciata di serre di altrettante aziende. In tutte
il processo è lo stesso. Si comincia alle 7: in queste serre sterminate, di fabbricazione israeliana o spagnola, le ragazze camminano tra i roseti fitti, riconoscono i fiori pronti, li tagliano. Le rose vengono raccolte e portate nei reparti di impacchettamento, dove la temperatura si abbassa di colpo: qui inizia la catena del freddo che si interromperà solo quando i fiori arriveranno dal negoziante, in Europa.
Controllate, misurate, separate in funzione dalla lunghezza e della varietà, le rose sono infilate in cartoni, che finiscono in celle frigorifere. Si fanno due “raccolti” al giorno, il primo parte direttamente per l’aeroporto su camion, ovviamente refrigerati. Il secondo attende la mattina successiva per essere spedito. Non ci sono sabati né domeniche.
Gli uffici delle compagnie cargo sono appena fuori l’aeroporto internazionale “Jomo Kenyatta” di Nairobi. Sono tutti nella stessa strada, trafficata dal via vai continuo di camion carichi di rose. Dalle 8 del mattino alle 9 di sera, i produttori kenyani portano qui i loro fiori: ogni società di spedizione può ricevere fino a 40 automezzi al giorno. Tutti i giorni, tutto l’anno. Anche qui le rose sono controllate minuziosamente, pesate, misurate, preparate per essere caricate sugli aerei. Se il controllo a campione rileva delle imperfezioni, o anche solo un insetto, tutto il carico viene rispedito al mittente. Dall’arrivo del camion al pallet pronto per l’imbarco passano al massimo 45 minuti. I fiori stanno in cartoni che ne possono contenere fino a 400. Ogni pallet fa 200 cartoni. In un Dc10 stanno fino a 23 pallet, in un Md11 anche 42. Un 747 può portare 15mila cartoni: 6 milioni di rose in un colpo solo.
Ogni giorno partono anche 7 voli che trasportano fiori, dipende dal periodo dell’anno: i picchi sono a febbraio, con San Valentino, e a maggio, per la festa della mamma. Anche Natale è un periodo intenso. In generale, quando fa brutto tempo in Europa si comprano più fiori, per tirarsi su il morale. E il Kenya vende di più.
Gli aerei e i fiori prendono il volo la sera, perché fa più fresco. Prima di mezzanotte le rose hanno lasciato il Kenya, dove sono state colte la mattina stessa. Possono prendere due strade: o andare verso i clienti che le hanno ordinate, di solito grossisti o supermercati, o puntare verso le aste di fiori più grandi del mondo, in Olanda.
Nel 60% dei casi, le rose keniane percorrono la seconda via.
Ad Aalsmer, cinquanta minuti da Amsterdam, ritrovo i cartoni che ho visto partire a Nairobi. Qui ha sede una delle più importanti aste di fiori del mondo, la Bloemenveiling Aalsmer (Vba). Le aste olandesi dominano il commercio globale e determinano i prezzi, in particolare in Unione Europea dove controllano tra il 30 e il 40% del mercato dei fiori recisi.
Il 90% della produzione di fiori olandese passa per un’asta, ma c’è spazio anche per l’importazione, che copre almeno un quarto delle transazioni. Ogni anno solo dall’Africa arrivano 78 mila tonnellate di fiori recisi, il 65% della produzione continentale. Soprattutto rose, nella maggior parte dei casi coltivate proprio in Kenya.
Dall’aeroporto di Schiphol, poco fuori Amsterdam, dove atterrano gli aerei provenienti da Nairobi, vengono prese in carico da società olandesi di import, che hanno il compito di preparare i fiori per l’asta, o di rispedire gli steli direttamente agli acquirenti europei. Questi intermediari sono attori chiave della filiera dei fiori africani: curano il marketing, procurano i clienti, provvedono alla consegna. Il complesso della Vba occupa un’area grande come 250 campi da calcio. Ogni giorno, settemila produttori, olandesi e non, portano qui i loro steli, che saranno comprati da 1400 acquirenti.
Fuori, un’ininterrotta processione di camion refrigerati. Dentro, l’impressionante colpo d’occhio di 19 milioni di fiori e 2 milioni di piante commerciati quotidianamente.
Per godersi lo spettacolo (l’asta è aperta al pubblico, e si paga il biglietto) bisogna però arrivare presto, alle 7 al massimo. Il prezzo cui i fiori sono venduti non è frutto di una contrattazione, ma è stabilito con l’utilizzo di “orologi” digitali proiettati sugli schermi di 4 sale a forma di anfiteatro. L’orologio segna la quotazione del fiore, che scende fino a che un compratore non decide di acquistare. Con queste modalità vengono concluse 55 mila transazioni al giorno. Si paga sull’unghia e nel giro di poche ore i fiori abbandonano l’asta e prendono nuove strade. Finiscono nella maggior parte dei casi entro un raggio di 1.500 chilometri, Italia compresa.
Seguo le rose keniane: dalle aste olandesi mi portano al mercato dei fiori di Sanremo, il più importante dell’Europa meridionale e del bacino del Mediterraneo.
Il mercato occupa circa 120.000 metri quadri, 18.000 dei quali dedicati alla contrattazione. Rispetto agli olandesi, i sanremesi sono più mattinieri: alle 5 del mattino un fischietto dà il via alla compravendita, che ancora oggi si svolge “all’araba”, mercanteggiando sul prezzo. Un’altra cosa, rispetto agli orologi di Aalsmer. Se gli steli sono in piedi, il prodotto è ancora in vendita. Se i fiori vengono coricati, sono stati già comprati.
Il mercato è un’istituzione, anche se oggi da qui passa meno del 20% della produzione della zona. Un quinto degli steli tra cui scegliere arriva dall’estero, Olanda soprattutto: le rose arrivate da Aalsmer sono ancora nei cesti originali dell’asta.
E tra queste riconosco i fiori che ho visto cogliere sulle rive di un lago, in Kenya.
Fiori e piante si contrattano in quattro tempi differenti: con le rose si comincia alle 5.50. Dopo un’ora e mezza è tutto finito, e al piano di sotto vengono caricati i camion che partono alla volta dei magazzini, dei negozi e, sempre più, dei supermercati. Anche qui si paga subito.
Chi vende sono le aziende locali, per lo più familiari, che portano qui le piante e i fiori che coltivano. Chi compra sono soprattutto grossisti (600 circa), ma c’è anche qualche rivenditore diretto, che in mattinata riesce così a rifornire il negozio o il chioschetto in città. In questo periodo, siamo alla fine di gennaio, arriva già la mimosa: finirà in una cella frigorifera in attesa dell’8 marzo.
Dal raccolto a Naivasha al consumatore finale italiano, passando per le aste olandesi e il mercato sanremese, ci vogliono meno di quattro giorni. Ma non sempre va così: quando i produttori keniani contrattano direttamente con i clienti finali, grossisti o anche catene di supermercati, i fiori sono a disposizione del consumatore europeo anche entro 48 ore dal raccolto africano. I produttori garantiscono alle rose una dozzina di giorni di vita a partire dal raccolto: comprendono il viaggio, i passaggi commerciali, l’esposizione alla vendita e qualche giorno, finalmente, in una casa.
Metà del prezzo finale rimane al rivenditore, un altro 25%-30% va in commissioni e margini per aste, intermediari e grossisti. A questi vanno sommati i profitti. Dei costi di produzione, la metà è da attribuire al trasporto aereo, poi ci sono fertilizzanti, pesticidi, tasse.
Il lavoro è il costo minore: per ogni rosa a chi l’ha cresciuta e raccolta va meno di mezzo centesimo di euro.
Le serre in kenya…
Il Kenya è il terzo produttore mondiale di fiori, dopo Olanda e Colombia. La floricoltura è la terza industria nazionale dopo turismo e thé: 2.000 ettari di serre, 80 mila tonnellate di fiori, 40 mila lavoratori direttamente impiegati più l’indotto. Un volume d’affari di 250 milioni di euro in mano a meno di cento aziende. La produzione viene quasi del tutto esportata: il 65% finisce in Olanda.
… dal campo all’aereo…
Due raccolti quotidiani, al mattino presto e nel pomeriggio. Le rose vengono selezionate, divise per tipo e dimensione, e poi inviate il giorno stesso -via camion refrigerati- verso l’aeroporto di Nairobi. Qui ditte specializzate le controllano e le preparano per la spedizione aerea. Ogni giorno partono fino a sette voli, di solito la sera quando le temperature sono più basse.
… all’asta in olanda…
Oltre la metà dei fiori esportati dal Kenya passa per le aste olandesi. Qui i compratori fissano il prezzo grazie a “orologi” digitali proiettati su grandi schermi. Le aste olandesi sono quattro, ma le due maggiori, Vba e Flora Holland, controllano il 98% del mercato e l’andamento dei prezzi internazionali.
Da qui i fiori (19 milioni al giorno) vengono riesportati il giorno stesso.
… al mercato italiano
Secondo l’Ismea, tra gennaio e novembre 2006 gli italiani hanno speso poco più di un miliardo di euro in fiori. Metà sono stati acquistati nei negozi, un quinto nei chioschi, il resto tra vivai, mercati e supermercati. In valore, importiamo di più di quanto esportiamo: i nostri principali fornitori sono gli olandesi, i migliori clienti i tedeschi (dati Intrastat elaborati da Ucflor, anno 2005, euro).
Codice di condotta, metteteci la firma (e un libro)
Orari estenuanti, salari al minimo, discriminazioni, molestie sessuali, intossicazioni e nessuna tutela sindacale: per anni le condizioni di lavoro nelle serre in Kenya, Colombia, Ecuador sono state oggetto di critiche da parte di ong, sindacati e associazioni. Dalle denunce sono scaturiti numerosi codici di condotta sottoscritti dai produttori, e si fanno strada le certificazioni sociali e ambientali. Tra queste Flp (Flower label program, www.fairflowers.de), Ffp (“Fair flowers fair plants”, www.fairflowersfairplants.com) e il fair-trade di Flo (in Italia Transfair, www.equo.it). Il “Movimento fiori e diritti” di Genova in questi in mesi sta facendo opera di sensibilizzazione e sta raccogliendo firme a supporto del rispetto del Codice internazionale di condotta (www.fioriediritti.org). Altreconomia ha visitato le piantagioni in Kenya e con “Fiori e diritti” pubblicherà a maggio un libro sull’argomento.