Economia
In diretta dal G20 in Russia, con lo sguardo alla Siria
Il summit G20 in programma oggi e domani a San Pietroburgo rischia di essere ricordato come uno dei momenti decisivi per lo scoppio della guerra in Siria. Nelle immense stanze del palazzo Kostantinov, alla periferia della città, è prevedibile che gli unici risultati degni di nota saranno sul tema della lotta all’evasione fiscale.
Doveva essere il G20 delle dosi massicce di retorica post crisi – o quanto meno del “siamo quasi fuori dal tunnel” – invece il summit in programma oggi e domani a San Pietroburgo rischia di essere ricordato come uno dei momenti decisivi per lo scoppio della guerra in Siria. Sebbene non sia presente nell’agenda ufficiale dei lavori, fissata mesi fa dalla presidenza russa, l’argomento è di così scottante attualità che nemmeno i primi leader mondiali intervenuti in conferenza stampa – tra cui il presidente della Commissione europea Manuel Barroso e il premier italiano Enrico Letta – provano a fare finta di niente e lo trattano in maniera aperta con i giornalisti.
Intendiamoci, un po’ di velato ottimismo sulla ripresa economica e sull’utilità degli sforzi compiuti finora hanno comunque trovato posto nelle prime battute dell’incontro. Ma, a dispetto di quanto affermato da Barroso, c’è poco da rallegrarsi per gli sforzi dell’UE in merito alla regolamentazione della finanza. Il mantra dello sviluppo, della necessità di chiudere positivamente l’ormai incartapecorito round di negoziati commerciali in ambito Wto è il pezzo forte del presidente della Commissione europea.
Nelle immense stanze del palazzo Kostantinov, alla periferia di San Pietroburgo, è prevedibile che gli unici risultati degni di nota saranno sul tema della lotta all’evasione fiscale. Dovrebbe essere confermata la linea espressa a luglio dai ministri delle Finanze del G20: sarà quindi “istituzionalizzato” lo scambio di informazioni tra Paesi, sebbene per evitare altri casi Amazon e Google (che in Gran Bretagna le tasse quasi non le pagano) sarebbe più utile che presentassero i loro bilanci paese per paese e non in maniera aggregata. Ovvero come accade oggi.
Altro consenso ampio ci dovrebbe essere sull’intervento pubblico a sostegno della realizzazione di mega opere infrastrutturali. I paesi Brics che hanno individuato numerose opere prioritarie, nonostante siano dotati di ingenti risorse e di proprie istituzioni finanziarie, preferiscono un’azione di finanziamento a livello multilaterale e con il coinvolgimento dei mercati internazionali, al fine di ridurre il proprio rischio di investimento.
Da qui l’iniziativa sul “finanziamento per gli investimenti” – segnatamente le mega infrastrutture – e nel loro modello di sviluppo alquanto discutibile loro collegato. Oltre alla definizione già effettuata dal G20 di una lista di progetti prioritari a livello internazionale, soprattutto nel cosiddetto Sud del mondo, i paesi emergenti hanno richiesto di aumentare il capitale disponibili presso le banche multilaterali di sviluppo per finanziarie con decine di miliardi di dollari infrastrutture un po’ in tutto il pianeta. Una richiesta che oggi trova l’opposizione delle economie avanzate, in periodo di recessione e di nuovi vincoli alla spesa incapaci di allocare ulteriori risorse nazionali in istituzioni internazionali. Da qui emerge l’idea di foraggiare la diffusione di nuovi strumenti di finanziamento basati sui mercati finanziari internazionali e mirati al coinvolgimento di risorse private. Meccanismi alquanto rischiosi nel lungo termine – come i cosiddetti project bond – che rischiano di produrre ugualmente debito e una finanziarizzazione delle stesse infrastrutture a vantaggio di pochi investitori privati. Storia vecchia, che al G20 sembra andare ancora tremendamente di moda…