Economia
In arrivo i fondi islamici
Gestiscono 750 miliardi di dollari in tutto il mondo e hanno attraversato indenni il ciclone subprime: investono fuori dalla logica della finanza occidentale, in base alla morale musulmana, che vieta ogni forma di usura. In Italia sono ancora sconosciuti
Ci sono fondi che non investono in alcol, tabacco o carne di maiale. Sono i fondi “islamici”, e rispettano rigorosamente i precetti indicati dal Corano. Per questo, non investiranno mai nemmeno in armi, gioco d’azzardo o pornografia. Strumenti finanziari nati nei Paesi arabi che, ogni anno, raccolgono miliardi di dollari in tutto il mondo, Europa compresa. Solo in Italia, i fondi islamici restano alla porta: ce n’è solo uno -Bnp Paribas Islamic Fund-, e viene gestito dal Lussemburgo.
In realtà “le possibilità per aprire una banca d’investimenti islamica in Italia in realtà ci sarebbero”. A sostenerlo è Alberto Brugnoni, presidente di Assaif, Associazione per lo sviluppo di strumenti alternativi e di innovazione finanziaria (www.assaif.org), tra i primi consultant al mondo in fatto di finanza islamica, e relatore italiano alla “World islamic banking conference” del prossimo novembre, in Barhain.
“Le condizioni normative esistono -spiega-: il problema è che scontiamo prudenze di tipo culturale.
A mio avviso l’Islam in Italia viene visto solo come un violento sistema di leggi e, di conseguenza, le banche islamiche come le banche dei terroristi. Invece sono del parere che la finanza islamica, nella situazione attuale, è l’unica possibile finanza etica che abbiamo a disposizione”.
I tempi sarebbero maturi, per una banca aperta al pubblico, anche considerando il possibile target di clienti. In Italia risiedono almeno un milione e mezzo di cittadini di fede musulmana. Cresce in modo costante il numero dei piccoli imprenditori. Alcuni mercati, come quello immobiliare, li vedono protagonisti: nel 2007 le compravendite di immobili da parte degli immigrati sono aumentate dell’8,4%, con una spesa media per abitazione di 123mila euro. Gran parte degli acquirenti provengono da Paesi di cultura islamica, costretti a utilizzare i nostri mutui, che non rispettano la sharia (vedi il glossario nella pagina a fianco), ma di certo si troverebbero più a loro agio con prodotti sharia compliant. “Senza contare che una banca islamica finisce per convincere anche molti occidentali assicura Brugnoni-: almeno il 20% dei clienti dell’Islamic Bank of Britain sarebbero infatti non musulmani”.
A differenza del nostro Paese, nel resto d’Europa i risparmiatori si stanno gettando in modo sempre più convinto sulla finanza islamica: la city di Londra ha fatto nascere in pochi anni ben cinque banche islamiche d’investimenti e, appunto, una banca retail, l’Islamic Bank of Britain, aperta anche al pubblico dei piccoli risparmiatori.
A luglio il sottosegretario al Tesoro del governo inglese, Kitty Ussher, ha inaugurato il summit europeo della Conferenza mondiale delle banche islamiche con queste parole: “Voglio che Londra diventi lo snodo mondiale della finanza islamica” e, nelle stesse settimane, in Gran Bretagna sono stati emessi titoli di stato conformi alla legge coranica.
Lo scorso maggio, il Senato francese ha ospitato due tavole rotonde per discutere come far giocare al Paese un ruolo più dinamico nella finanza islamica.
In Germania, a Francoforte, il 4 e 5 novembre, si svolgerà il primo “Forum immobiliare e di finanza islamica”.
E la Munich Re, colosso tedesco delle assicurazioni, ha annunciato l’obiettivo di controllare entro 5 anni il 20% del mercato globale delle assicurazioni islamiche.
Anche in Italia, però, si muove qualcosa: il 27 e 28 ottobre si svolgerà a Roma, organizzato da Abi, Associazione bancaria italiana, un Forum internazionale sui mercati finanziari del Golfo e sulla finanza islamica. Nel parterre siederanno anche il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia e il sottosegretario allo Sviluppo Economico, Adolfo Urso.
“Credo che la Banca d’Italia si stia prendendo il tempo dovuto -spiega Raffaele Rinaldi, responsabile di Abi per il settore internazionale-. Aprire una banca islamica non è una cosa da poco: in alcuni casi, garantire l’operatività secondo regole comuni può significare modificare le regole di carattere fiscale e del codice civile. Registriamo comunque l’interesse delle banche del Golfo ad aprire in Italia. Pensavamo sarebbe successo entro il 2008, ma forse siamo stati un po’ troppo ottimisti…”.
A prova di usura
New York e Londra non sono più le sole capitali della finanza. La novità emergente dell’economia mondiale si chiama “finanza islamica”, gestisce 750 miliardi di dollari e registra un tasso di crescita annuo dell’attività bancaria del 20%. Dal 23 al 25 novembre prossimi, la finanza islamica darà mostra di sé in Barhain, per la quindicesima edizione della “World Islamic Banking Conference”, la conferenza mondiale delle banche islamiche: oltre mille delegati delle più influenti istituzioni del pianeta.
Nonostante le dimensioni, il fenomeno vanta solo pochi decenni di storia. La prima banca islamica, la Ghamr Savings Bank, nasce in Egitto nel 1963. La scommessa dei suoi fondatori, inizialmente incompresa (nei primi anni la banca fu salvata da fallimento dall’intervento dello Stato), ha però qualcosa di rivoluzionario: uscire dalla logica della finanza occidentale, credere che sia possibile investire i soldi e farli fruttare secondo nuove regole e nuovi strumenti finanziari, rispettosi dei precetti islamici. Il perno della finanza islamica sta nel divieto del Corano di prestare denaro ad usura: “Dio ha permesso la compravendita ma ha proibito l’usura” (Corano, II, 275). In base a questo principio, la morale musulmana esclude la possibilità di guadagnare attraverso un interesse bancario. Che significa, in teoria, un miliardo e 500 milioni di potenziali clienti osservanti impossibilitati ad aprire un conto corrente tradizionale. Gli economisti islamici si inventano allora un’alternativa: la banca farà operazioni di vendita con i soldi depositati dal cliente; acquisterà un bene e lo rivenderà ad un prezzo più alto. L’utile, islamicamente lecito, sarà depositato
sul conto del risparmiatore. E riecco, magicamente sul mercato, centinaia di milioni di nuovi clienti di pratica musulmana.
I numeri sono impressionanti: il mercato delle obbligazioni islamiche, dette sukuk (vedi glossario a p. 19) ha toccato gli 80 miliardi di dollari. I fondi islamici sono già 500 e nel 2010 si prevede sfonderanno quota mille. Le assicurazioni islamiche, dette takaful, raccolgono investimenti per 2 miliardi di dollari, capitale destinato a raddoppiare entro il 2010.
Questa crescita sconfinata non è un caso ma pone le sue fondamenta su almeno tre punti di forza di carattere economico e culturale. Innanzitutto il petrolio: la finanza islamica si alimenta della cascata di dollari dovuta alla vendita del greggio dei Paesi del Golfo; e resa ancora più impetuosa dagli aumenti del prezzo del barile dei primi mesi del 2008 (vedi grafico in pagina). “Esiste quasi il problema di un eccesso di liquidità -spiega Marco Mauri, impiegato a Manama, Barhain, nella divisione Asset management della Unicorn Investiment Bank ed esperto di finanza islamica-. Un amico consulente mi raccontava di un gruppo di investitori locali che volevano aprire una banca in meno di due mesi: è la richiesta continua di immediati investimenti che generino rendimenti”. Il 10% degli investitori islamici muove dai 400mila ai 4 milioni di dollari, capitali che esigono la creazione di un numero crescente di strumenti finanziari. Il secondo punto di forza è l’immigrazione: da Magreb, Turchia, Pakistan e Africa Sub-sahariana centinaia di migliaia di persone negli ultimi vent’anni sono partite per Europa e Stati Uniti d’America, spesso riuscendo ad affermarsi economicamente. Aprono attività imprenditoriali e alimentano le economie dei Paesi d’origine con continue rimesse. Un fenomeno così rilevante che, per non lasciarsi sfuggire questi clienti e i loro soldi, anche in Occidente stanno nascendo le prime banche islamiche (vedi a p. 18). Infine il motivo culturale: la vera forza della finanza islamica sta nella granitica “coerenza” del mondo musulmano.
Lachemi Siagh, economista di origini arabe ma di formazione occidentale, autore del libro L’Islam e il mondo degli affari (Etas Edizioni) introduce il concetto di “intensità culturale” del mondo islamico: in un Paese musulmano non può esistere -secondo Siagh- una finanza laica, separata, priva delle radici dell’Islam. Perché l’Islam ha una così profonda influenza su mentalità, costumi e comportamenti delle persone da non poter certo risparmiare la finanza. “Nella banca c’è un luogo dedicato alla preghiera -racconta Mauri- e durante la giornata
si sente il richiamo del Muezzin. All’inizio mi faceva specie quando un collega musulmano interrompeva la riunione per dire: vado a pregare, continuiamo dopo. Oggi ho un grande rispetto per questo atteggiamento. Il rispetto dalla sharia in una banca islamica è presente in ogni momento. Di norma tutti gli accordi o contratti devono essere approvati dallo sharia board
-continua Mauri-, che verifica che l’attività sia sharia compliant. Ad esempio, nella mia banca il sharia board ha definito i criteri con cui selezionare le società su cui investire, escludendo quelle coinvolte in attività non accettabili o troppo indebitate. Questo è un vantaggio anche per un risparmiatore non musulmano: gli indici islamici non comprendono i titoli finanziari convenzionali e per questo sono rimasti al riparo dalla crisi subprime”.
La coerenza islamica sui precetti morali applicati all’economia non è uno scherzo, e questo fa quasi invidia al piccolo mondo incapace di decollare dei fondi “etici” occidentali.
A settembre l’agenzia Bloomberg ha denunciato con una certa sorpresa un crollo della vendita dei sukuk, le obbligazioni islamiche, che dal 2004 al 2007 erano invece raddoppiate ogni anno: nei primi otto mesi del 2008 sarebbero stati venduti sukuk per “soli” 14 miliardi di dollari, contro i 23 miliardi dello stesso periodo dell’anno precedente. Il motivo della crisi, controcorrente, non ha nulla a che fare con i recenti tracolli americani. Invece è accaduto che lo scorso febbraio l’“Accounting & Auditing Organization for Islamic Financial Institution”, in sostanza una scuola islamica con base in Bahrain, si sarebbe espressa contro l’85% dei sukuk islamici in commercio, decretandone la non coerenza con le leggi della sharia. Morale: la vendita di questi prodotti finanziari è crollata del 50%, mentre i sukuk marchiati doc per la legge islamica hanno al contrario segnato miliardi di incassi.
L’Islam in banca
Sharia
È il termine arabo per indicare la legge di Dio. Le fonti della legge, per i fedeli islamici, sono il Corano, la Sunna (ovvero i detti del Profeta), il consenso dei dotti (ijma’) e l’analogia giuridica (qiyas). Ogni banca islamica ha al suo interno uno Sharia Board, ovvero un ufficio di esperti di legge islamica che confermano la coerenza dei prodotti finanziari immessi sul mercato con l’ortodossia della fede.
Riba
È un arricchimento non giustificabile, perché basato su una forma di interesse applicato al prestito di denaro. L’interesse, pur minimo, è considerato come l’usura ed è condannato dal Corano. Anche le altre religioni abramitiche condannano l’usura. L’Islam, a differenza di Cristianesimo ed Ebraismo, ha mantenuto una ferrea condanna per ogni forma di interesse.
Sukuk
È l’obbligazione islamica. Nelle obbligazioni tradizionali l’investitore riceve indietro, a date stabilite, il suo capitale e una remunerazione a titolo d’interesse. Nelle obbligazioni islamiche l’investitore dà un capitale che viene investito in un’attività concreta e riscuote i profitti che genera nel tempo il progetto.
Murabaha
È l’operazione di profitto nel quadro di una transazione commerciale. L’investitore mette i propri risparmi a disposizione di una azienda che ha bisogno di liquidità nell’immediato. La banca acquista, con i risparmi, generi semilavorati che poi vengono rivenduti come prodotti finiti con un margine di guadagno. Questo tipo di operazione è la più frequente all’interno del mondo bancario islamico.
Takaful
È il contratto assicurativo islamico.
Per il mondo islamico è Dio che fa avvenire gli accadimenti della vita, compresa la morte. Quindi pagare un premio sugli incidenti, i furti, la morte è considerato una speculazione ed è condannato. Nell’assicurazione islamica invece gli assicurati cooperano tra loro alla creazione di un fondo da cui andare ad attingere per pagare eventuali indennizzi.