Interni
Ilaria Cucchi scrive a Enrico Letta
di Duccio Facchini —
A quattro anni dalla morte di Stefano Cucchi, la famiglia lancia un appello al presidente del Consiglio. All’origine, una lettera aperta che lo stesso Letta scrisse all’ex premier Silvio Berlusconi nel gennaio 2010, recuperata e pubblicata nel nostro libro "Mi cercarono l’anima". "Le rinnovo l’invito a iniziare questo anno impegnandosi in prima persona a sostenere l’accertamento della verità sulla vicenda dolorosa di una famiglia normale", le parole a cui tener fede secondo Rita, Giovanni e Ilaria Cucchi
Per la sua famiglia, il quarto anniversario della morte di Stefano Cucchi è stato amaro. La notizia dell’accettazione del risarcimento riconosciuto dall’ospedale Sandro Pertini a Rita, Giovanni e Ilaria Cucchi ha scavalcato -nell’attenzione dei media- il loro rinnovato appello affinché i responsabili delle violenze perpetrate su Stefano nell’ottobre 2009 siano individuati.
Eppure, per chi ha seguito dall’inizio questa vicenda, il recente “passo” con il Pertini non costituisce affatto una sorpresa. Fin dall’inizio, infatti, la famiglia di Stefano Cucchi, a differenza della Procura di Roma, non ha mai sostenuto la tesi della sola responsabilità medica, anzi. L’ha ritenuta una scorciatoia sbagliata intrapresa da chi ha sempre voluto sollevare dalle proprie colpe gli autori del pestaggio avvenuto nelle camere di sicurezza del tribunale di piazzale Clodio, a Roma, il 16 ottobre 2009.
Dunque è del tutto comprensibile che, scrutando all’orizzonte possibili provvedimenti di clemenza (indulto o amnistia) -che potenzialmente potrebbero vanificare ogni sforzo processuale in appello-, il collegio difensivo abbia proposto loro di accordare l’uscita di scena del Pertini (che rispondeva della condotta dei sei medici condannati in primo grado per omicidio colposo e falso), tenendo ferma invece la posizione in appello contro gli agenti di polizia penitenziaria.
Attirati dall’entità del risarcimento, rispetto al quale la famiglia di Stefano ha sempre voluto mantenere riserbo, gli organi di informazione hanno dedicato colonne, titoli e sommari all’intesa raggiunta. Tra i giornali che hanno dato conto dell’importo, anche Il Messaggero, lo stesso che all’epoca del processo si rivolgeva a Stefano Cucchi definendolo “il piccolo spacciatore di Torpignattara”.
Eppure in questi giorni è successo qualcosa. Precisamente ieri, mercoledì 23 ottobre, quando Ilaria Cucchi ha scritto una lettera aperta al presidente del Consiglio, Enrico Letta. “Presidente, faccia sentire la sua voce”, la chiosa. L’ha fatto dal suo blog sull’Huffington Post. E l’ha fatto a partire da una lettera ripresa e pubblicata all’interno del nostro libro -“Mi cercarono l’anima. Storia di Stefano Cucchi” presentato martedì 22 ottobre a Roma, a quattro anni dalla morte di Stefano Cucchi- che reca proprio la firma dell’attuale capo del governo.
(dal blog dell’Huffington Post)
È l’8 gennaio 2010 quando l’allora vice segretario del Partito democratico scrisse apertamente dalle colonne de l’Unità all’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ponendo come condizione ineludibile l’accertamento delle responsabilità nel caso del 31enne morto al presidio ospedaliero protetto Sandro Pertini.
“Signor presidente del Consiglio, all’inizio di un 2010 che -secondo gli auspici anzitutto del capo dello Stato- potrebbe essere l’anno del dialogo sui grandi temi che riguardano il futuro dell’Italia, mi rivolgo a lei per sottoporle una questione sì specifica, ma che investe l’interesse generale del Paese, perché tocca il cuore della democrazia italiana e riporta in primo piano la capacità delle istituzioni di garantire certezza del diritto e rispetto dei diritti. Senza eccezioni. Mi riferisco alla morte di Stefano Cucchi, vicenda sulla quale lei finora ha lasciato che lavorassero i suoi ministri. Ritengo che un nuovo anno non possa cominciare senza elementi di chiarezza sul caso. Al di là dell’accertamento delle cause del decesso, per il quale confidiamo nell’operato della magistratura, sono convinto che tutti noi abbiamo una sola, altissima, responsabilità. Quella di spingere affinché si possa scoprire come è stato possibile, in una democrazia avanzata, che un giovane di trent’anni sia entrato, vivo, in una prigione e sia uscito, morto, da un ospedale. Senza spiegazioni. Nel silenzio ostinato e arrogante di funzionari pubblici. Nell’omertà di chi sa e non parla. Nell’indifferenza della politica che, consumatosi il clamore delle prime ore, pare sorda agli appelli della famiglia, la quale nel rispetto delle istituzioni e con grande compostezza e rigore chiede solo verità e giustizia.
La giustizia per un ragazzo che, qualunque reato avesse commesso, non doveva morire così. Invece quella vita è stata spezzata. Ed è sconcertante che non si sia in grado ancora di ricostruire la catena delle responsabilità. Quale fiducia nelle istituzioni possiamo instillare nei cittadini? Che tipo di società vogliamo costruire se non siamo nelle condizioni di assicurare a tutti i più elementari diritti civili? Le rinnovo l’invito a iniziare questo anno impegnandosi in prima persona a sostenere l’accertamento della verità sulla vicenda dolorosa di una famiglia normale. Le chiedo di ripartire da qui: dalla verità e dalla responsabilità. Tutto il resto verrà dopo”.
Tener fede a quanto affermato, è la sintesi dell’appello al premier Letta fatto dalla famiglia. Che è meno intrigante di un prevedibile risarcimento.
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