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Il vino “pulito” secondo Mr. Eataly

Produrre vino senza chimica è l’ultima trovata di Oscar Farinetti. Dall’estate 2009, l’ideatore di Eataly è anche amministratore delegato di Fontanafredda, la storica azienda vinicola piemontese ceduta da Monte dei Paschi di Siena a un gruppo d’imprenditori locali (anche se…

Produrre vino senza chimica è l’ultima trovata di Oscar Farinetti. Dall’estate 2009, l’ideatore di Eataly è anche amministratore delegato di Fontanafredda, la storica azienda vinicola piemontese ceduta da Monte dei Paschi di Siena a un gruppo d’imprenditori locali (anche se la Fondazione Monte dei Paschi è ancora azionista di riferimento con il 36%). Dalle cantine delle Langhe, arriverà a breve sugli scaffali dei punti di vendita Eataly una linea di vini realizzati rinunciando a diserbanti di sintesi,
lieviti industriali, solfiti di natura chimica. 
Farinetti, l’uomo che in un autobiografia che si è definito “mercante di utopie”, l’ex proprietario della catena distributiva di elettrodomestici UniEuro (vedi box), lancia il suo progetto con problemi ambiziosi. Secondo “Mr. Eataly”, infatti, il progetto Vino pulito “non mira al ritorno alla preistoria enologica del vino del contadino, ma ad offrire un prodotto che sia in linea con le aspettative del mercato e che permetta di guardare il vino da un’altra prospettiva, più naturale e pulita. Vogliamo che la terra torni a essere naturalmente feconda, dimostrare che anche senza l’ausilio della chimica si possa ottenere un grande vino”. Sono chiari i passi che gli agronomi e i tecnici di Fontanafredda hanno seguito per la realizzazione del progetto, con l’eliminazione di diserbanti e concimi chimici, la progressiva riduzione degli antiparassitari di sintesi del 60%, l’utilizzo di bottiglie realizzate con l’85% di vetro riciclato e il contenimento dell’impiego dei solfiti nei vini finiti fino ad arrivare ad una soglia inferiore al 50% della concentrazione massima. L’investimento programmato è stato di circa 800mila euro. E la difficoltà non è in vigna (facile ottenere uva pulita) ma in cantina, durante la fase della vinificazione.
Ascoltando parlare Farinetti, però, viene da chiedersi se non si tratti dell’ennesimo esempio di green-marketing. Anche perché quando si tratta di business, l’imprenditore piemontese sembra tradire gli ideali di Slow Food, cui è legata la fortuna della catena di supermercati Eataly: al giornalista che gli fa notare la difficile coesione di due aggettivi (pulito e buono) per la mozzarella di bufala campana spedita via aerea a Tokyo, a rifornire i due Eataly aperti nella capitale giapponese, lui risponde che “la filiera a chilometri zero va bene, ma di sicuro non è il futuro dell’agroalimentare italiano, che passa necessariamente per l’export. Bisogna fare attenzione a non andare contro la libera circolazione delle merci altrimenti torniamo alla preistoria, perché insieme ai beni circola cultura e umanità. Io, di solito, mangio i prodotti del mio territorio, però quando posso non rinuncio a un jamon spagnolo oppure a un buon champagne”. Mentre il suo punto di vista sul futuro dell’agricoltura in Italia lascia l’amaro in bocca: “I contadini sono solo il 5% della popolazione italiana ma producono l’unico bene essenziale per noi, cioè il cibo: per questo bisogna ridare alle campagne l’autorevolezza che meritano, mentre credo che ci siano ancora tanti terreni agricoli da sfruttare. Non vedo questo problema”.

L’avventura di UniEuro

I primi punti vendita a marchio UniEuro furono aperti nel 1986, ma Oscar Farinetti era già entrato nel gruppo di famiglia nel 1978 a occuparsi del nascente business degli elettrodomestici di massa. Da qui in poi la catena conobbe una crescita vertiginosa: nel 1990 il distributore piemontese aderì al Gre (Grossisti riuniti elettrodomestici), un gruppo di acquisto tra i più importanti del nostro paese, mentre i negozi con insegna UniEuro erano già 10, per un fatturato di 16 milioni di euro con la valuta attuale. Nel 1998 i punti di vendita UniEuro erano 44, grazie all’affiliazione alla catena distributiva di piccoli retailer locali. Nel 1995 UniEuro acquista l’insegna Trony da Rinascente e la rivende al Gre. Dal 1997 in poi si susseguono aperture di grandi superfici in tutt’Italia. Uscita dal Gre nel 1999, UniEuro ha proseguito la sua strategia di espansione territoriale con un aumento di capitale che ha visto in prima fila le più importanti banche d’affari mondiali, fino alla vendita al colosso inglese Dixon (ora Dsg International) completata nel 2004 per una cifra che Il Sole-24 Ore ha stimato intorno ai 527 milioni di euro. Nel 2008 Unieuro ha fatturato 1.030 milioni di euro, con 144 punti di vendita e circa 3.800 dipendenti.

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