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Opinioni

Il veleno dell’islamofobia

In tutta Europa c’è chi cerca di legittimare l’equazione musulmano uguale terrorista. E un report spiega come anche in Italia la discriminazione sia quotidiana

Tratto da Altreconomia 182 — Maggio 2016

Alla fine il presidente francese Francois Hollande ha rinunciato alla più controversa fra le misure pensate dopo gli attentati del novembre scorso a Parigi: la decadenza dalla nazionalità per le persone coinvolte in episodi di terrorismo. Il presidente aveva ripreso una vecchia idea della destra, di assai dubbia efficacia nella prevenzione del terrorismo jihadista, ma di forte impatto simbolico, quanto fragile sotto il profilo della legittimità democratica e costituzionale. La proposta ha infatti suscitato una grande discussione e un moto di protesta molto ampio: non è sfuggito a nessuno che il progetto era confezionato su misura per una fetta della popolazione francese, ossia i cittadini dotati di doppia cittadinanza, quindi gli immigrati o figli e nipoti di immigrati. Nelle convulse giornate seguite agli attentati, il ripescaggio di un’ipotesi in passato liquidata come razzista e islamofoba segnava indubbiamente una svolta politica per i socialisti francesi; una svolta che non è stata però digerita né dall’opinione pubblica né dal ceto parlamentare dello stesso partito socialista. La rinuncia al progetto, per il presidente, è una sorta di Caporetto politica, spia di una confusione che sta mettendo in crisi la sua leadership. D’altro canto, la reattività del ceto politico e intellettuale dimostra che la deriva securitaria favorita dal clima di tensione suscitato dagli attentati non è un percorso obbligato.

In Francia, a dire il vero, si discute molto anche del via libera ricevuto dalle forze di polizia (secondo una rivelazione della testata giornalistica digitale Mediapart) rispetto ai controlli “faciès”, cioè condotti sulla base dell’aspetto fisico, ossia a carico di persone che appaiono più di altre sospette, quindi arabi, africani, individui con la pelle più scura della media. È un’indicazione di apparente senso comune, ma non innocente, perché rischia di legittimare l’equazione più pericolosa, sostenuta con forza dai professionisti dello “scontro di civiltà”: terroristi uguale musulmani. 

L’islamofobia è un veleno che sta circolando pericolosamente nel corpo della società europea. Ha forme spesso violente e volgari (indimenticabile il titolo “Bastardi islamici” di un quotidiano italiano dopo le stragi di Parigi), ma si manifesta anche con forme di esclusione e discriminazione nella vita quotidiana. La Fondazione Seta, think tank turco, ha da poco pubblicato l’“European islamophobia report” 2015, una ricognizione preoccupante, perché mostra come si stia stabilizzando nella società europea un clima di ostilità verso l’arcipelago umano di religione musulmana. La sezione dedicata al nostro Paese -curata da Grazia Alessandra Siino e Nadia Levantino- rimarca quanto sia subdolo e grossolano il dibattito politico e mediatico in materia di terrorismo e immigrazione, con l’equazione musulmani uguale minaccia accettata ormai dai più, ma soprattutto ci ricorda che la discriminazione si manifesta anche sui luoghi di lavoro e nella vita di tutti giorni: avere un cognome arabo o, per una donna, indossare un hijab, sono motivi di concreta emarginazione. Le autrici della ricerca insistono su un punto: per invertire la rotta, è indispensabile un ruolo attivo dello Stato, che dovrebbe approvare una legge per rendere concreta la libertà di culto, stringere un’intesa (a norma di Costituzione) con la comunità musulmana, favorire la costruzione di luoghi di culto. Ma per arrivare a tanto bisognerebbe prima riconoscere che l’islamofobia, una parola quasi sconosciuta nel lessico politico contemporaneo, sta avvelenando la nostra società. 

 

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