Opinioni
Il valore, reale, delle cose
"L’economia non può -e non deve- essere il solo criterio utile a stabilire i limiti del dibattito sul valore delle cose e delle persone", perché le cifre in euro non possono rappresentare la difesa dell’ambiente o del benessere, rispetto alla complessità che sta dietro a queste espressioni.
Il commento di Pietro Raitano, direttore di Ae
Siamo abituati a comprovare il valore delle cose dando loro una misura economica. È certamente un traguardo: anche solo 40 anni fa nessuno si preoccupava di quantificare, ad esempio, il valore della biodiversità, con la conseguenza che nessuno si preoccupava di quantificare il danno -anche economico- derivante dalla sistematica distruzione di questa. Allora il problema non si poneva affatto, solo dopo i pericoli sono iniziati a emergere.
In generale spesso il nostro approccio è: poiché le minacce -all’ambiente, ai diritti, al nostro benessere- arrivano dal mondo economico, delle imprese, del consumo, allora la nostra risposta deve essere espressa in termini analoghi.
Vale economicamente di più un’autostrada o i campi coltivati che verranno da questa distrutti? Vale di più uno stabilimento e i suoi posti di lavoro, o il costo per la salute? Il fatto è che i termini del dibattito sul valore delle cose sono stati in larga misura stabiliti dagli economisti. Se scegliamo di farli nostri, se accettiamo che quelle siano le regole del gioco, accettiamo l’invito del leone: entrarne nella tana ti mette nel rischio di diventarne il pranzo. L’economia è importante, ma l’economia non può -e non deve- essere il solo criterio utile a stabilire i limiti del dibattito sul valore -reale- delle cose e delle persone. Se intendiamo esplorare i limiti di questo dibattito, dobbiamo adottare tre criteri, di cui il calcolo dei benefici economicamente tangibili è solo il primo. Il secondo criterio è il mantenimento dell’ambiente fisico come condizione essenziale per l’esistenza degli uomini. Il terzo, tutt’altro che aleatorio, è il piacere -non solo estetico- che gli esseri umani traggono dall’esperienza della natura e della socialità: una componente fondamentale dell’esistenza umana.
Le cifre in euro spesso sono persuasive (quando sono disponibili), e le argomentazioni fondate su basi numeriche sono di fondamentale importanza. La loro forza è immediata e ovvia e se le cifre sono corrette, appunto, convincente.
Ci sono alcune trappole di cui però si dovrebbe essere consapevoli.
Ad esempio: oggi la produzione alimentare si limita a venti specie, che provvedono al 90% degli alimenti vegetali; tre specie (mais, frumento, riso) costituiscono più della metà dei raccolti. Funziona dal punto di vista economico, ma non è lungimirante dal punto di vista scientifico (né del buon senso, né del gusto).
Misurare il valore delle cose, della conservazione della natura, del rispetto dei diritti umani, attraverso il denaro rischia di tramutarsi in un esercizio miope (se non in una prassi distruttiva). Purtroppo è tipico di chi fa informazione, ma tutti un po’ ci sono cascati: ce l’abbiamo in testa che il mondo si misura col denaro.
È miope perché si basa su valori dettati da altri, valori che seguono percorsi a volte del tutto distanti dalla realtà (come le fluttuazioni dei prezzi in borsa, i derivati, le mode). Perché dovremmo dimostrare, prove alla mano, che tutelare l’ambiente è economicamente vantaggioso? Piuttosto, dovrebbero essere le multinazionali, le banche, i fondi, gli economisti a dimostrare che salvaguardare il clima non conviene. Prima di ricevere dalla società l’autorizzazione a modificarlo.
Le cifre in euro possono sembrare uno strumento potente, ma non possono essere mai né sicure né rappresentare una difesa dell’ambiente o del benessere, rispetto alla complessità che sta dietro a queste espressioni. E se per caso viene fuori che una intera specie non ha valore economico? Quanto “valgono” gli orsi polari, rispetto all’estrazione di petrolio? Il biologo David Ehrenfeld molti anni fa scrisse: “Se io fossi uno dei molti sfruttatori e distruttori dell’ambiente, non chiederei di meglio che i miei oppositori si impantanassero nel problema della valutazione”. Il valore -nel senso convenzionale- cambia col modificarsi delle circostanze. Assegnando un valore economico alle cose, come se l’unica cosa che conta in ogni decisione importante fosse l’entità tangibile dei costi e dei profitti in euro, legittimiamo il sistema che spazza via natura e diritti.
I tentativi di far corrispondere agli ecosistemi e alla società un valore in euro in un contesto economico standard sono pura follia, e destinati al fallimento. —