Economia / Approfondimento
Il trasporto aereo è insostenibile. Una proposta per non tornare a prima del Covid-19
Metà delle emissioni aeree globali sono riconducibili all’1% della popolazione. Parte (anche) da qui Stefan Gössling, ricercatore dell’Università di Linnaeus, per analizzare un settore drogato dai sussidi pubblici e che non paga per gli impatti sul Pianeta. Ecco come e perché “occorre diminuire radicalmente l’offerta”
“La crescita di passeggeri del trasporto aereo è stata imponente negli ultimi anni. Per alcuni si tratterebbe del riflesso di una domanda reale: non è così, è una domanda indotta, artificiale, dovuta ai prezzi sempre più bassi”. Stefan Gössling è ricercatore del West Norway Reasearch Institute, professore di Turismo all’Università di Linnaeus e docente di Human Ecology in quella di Lund. Da 25 anni studia le relazioni tra turismo, trasporti e sostenibilità: in particolare la sua attenzione si è concentrata sull’aviazione e sul suo impatto sull’ambiente. Nel settembre 2020 ha pubblicato uno studio su “rischi, resilienza e vie per un’aviazione sostenibile: una prospettiva alla luce del Covid-19”.
Il ricercatore va controcorrente e mette in discussione un gigante: appena prima della pandemia (dati dell’Air transport action group) il trasporto aereo era un settore da 11 milioni di posti di lavoro, oltre 87 milioni di persone impiegate se si aggiungevano anche le professioni legate indirettamente al settore. Il contributo all’economia mondiale era calcolato in circa 3,5mila miliardi di dollari, pari a poco più del 4% del Prodotto interno lordo globale (sullo stesso piano di Stati come Indonesia e Paesi Bassi, tra le prime 20 potenze economiche).
La crisi dovuta al Covid-19 l’ha colpito duramente, date le limitazioni agli spostamenti e il conseguente crollo di passeggeri. Stando all’Associazione internazionale del trasporto aereo (Iata), i passeggeri sono passati dai 4,5 miliardi del 2019 a 1,8 miliardi del 2020. Le compagnie non sono state capaci di limitare i danni e, sempre secondo la Iata, a un crollo dei profitti si è contrapposto un calo dei costi molto minore, facendo segnare un bilancio negativo. Il contributo all’economia e i posti di lavoro sostenuti sono stati perciò dimezzati ma il ridimensionamento non ha portato a un’analoga compressione delle ambizioni: l’industria aerea ha anzi chiesto a gran voce un aiuto per evitare danni maggiori, motivandolo con gli effetti positivi che ne sarebbero conseguiti. “La messa in sicurezza di questa industria -ha spiegato Luis Felipe de Oliveira, direttore generale del Concilio Internazionale degli Aeroporti– sarà un fattore chiave per la guarigione dell’intera economia globale”.
Gössling contesta però il ruolo cruciale dell’aviazione: tanta importanza è frutto di una crescita imponente che non è stata però accompagnata da una sostenibilità economica. “Il numero di passeggeri che effettua voli internazionali è salito in maniera decisa nell’ultimo periodo; ma è il risultato del crollo del costo di viaggio che in soli 20 anni, dati Iata, si è ridotto del 60%”. I biglietti più economici sono, tuttavia, il risultato del mancato rispetto delle regole economiche di base: “Se questi principi fossero stati rispettati, ora buona parte delle compagnie sarebbe in bancarotta -osserva il ricercatore-. È un’industria malata e non sostenibile: se si guarda agli ultimi 30 anni, in 12 di questi l’aviazione ha registrato perdite, nonostante non siano mai stati pagati in alcun modo i danni ambientali causati e ci siano stati massicci sussidi statali”. La crescita ha infatti permesso al trasporto aereo di porsi come settore chiave dell’economia, ottenendo in questo modo un forte appoggio pubblico: nei nove anni precedenti alla pandemia gli aiuti forniti sono stati calcolati in quasi 197 miliardi di dollari, altri 100 miliardi di dollari sono stati destinati al settore soltanto nella prima fase della crisi dovuta al Covid-19. “Ma l’aviazione non è davvero fondamentale dal punto di vista economico, altrimenti non avrebbe difficoltà a operare in maniera autonoma sul mercato: è stata fatta diventare un settore chiave in maniera artificiale, proprio attraverso i sussidi. D’altronde, se si decidesse di sostenere le ferrovie, anche qui ci sarebbe un calo dei costi e acquisirebbero importanza: attraverso dei sussidi si può dare un supporto e far crescere qualsiasi settore economico”.
Il trasporto aereo presenta problemi strutturali anche per quanto riguarda l’impatto sul Pianeta. Prima della pandemia, ricorda la ricerca, emetteva in atmosfera da solo un miliardo di tonnellate di anidride carbonica ogni anno; a questo vanno sommate le emissioni di diverso tipo, come il monossido di azoto (NO) e l’ossido di diazoto (N2O), spesso ignorate ma con effetti fino a tre volte superiori di quelli legati alla CO2. Un impatto significativo, calcolato come il 5% dell’apporto umano al riscaldamento globale, di cui qualcuno è decisamente più responsabile di altri.
Nei suoi precedenti studi Gössling calcola infatti come metà delle emissioni siano riconducibili all’1% della popolazione, una ristretta élite di super emettitori che percorrono in aereo centinaia di migliaia di chilometri ogni anno. Anche i diversi continenti però hanno impatti estremamente differenziati: un abitante del Nord-America viaggia in media il doppio di un europeo, addirittura 50 volte tanto un cittadino africano. Nonostante gli ingenti costi per il clima, l’aviazione non è tenuta a pagare alcuna compensazione per i danni causati: “Se utilizzi un bene pubblico e lo danneggi, come è il caso dell’aviazione con il clima, tocca a te ripagarlo -sintetizza il ricercatore-. Deve valere il principio per cui chi inquina paga”.
Data la dimensione dei problemi che il trasporto aereo porta con sé, ecco la necessità di “pensare l’impensabile”. Gössling propone di partire dall’istituzione di una carbon tax, applicata alle compagnie, per la quale sia obbligatorio pagare un’imposta da 100 euro per ogni tonnellata di anidride carbonica rilasciata in atmosfera. La nuova tassa avrebbe un impatto limitato sul prezzo dei biglietti, sostiene Gössling: “I costi maggiori porterebbero a una ripresa più lenta ma virtuosa: finalmente la questione ambientale sarebbe affrontata”. A essere colpite sarebbero, in maniera particolare, le compagnie low cost, che oggi figurano tra le maggiori responsabili di emissioni: spesso i biglietti attuali non coprono nemmeno il costo del carburante, con il peso di una carbon tax Ryanair e i marchi simili tenderebbero quindi a sparire.
Aumentare soltanto i prezzi non rappresenterebbe però una soluzione ragionevole: porterebbe ad un calo dei passeggeri, con la conseguenza di far volare gli aerei ancora più vuoti di quanto già non siano ora. “L’unica risposta sensata è diminuire radicalmente la capacità del trasporto aereo -sostiene Gössling, proponendo una svolta radicale-. Se il numero di posti venisse tagliato del 40% allora l’aviazione tornerebbe ad avere senso. La domanda tornerebbe a essere maggiore dell’offerta, le compagnie tornerebbero a guadagnare, i costi potrebbero salire e andare a coprire i danni che vengono causati al clima: il sistema tornerebbe sostenibile”. Altre misure andrebbero invece adottate per colpire coloro che più di tutti sono responsabili delle emissioni: il professore pensa a una tassa sulla prima classe, responsabile di danni ambientali fino a cinque volte maggiori rispetto a quelli di chi viaggia con un biglietto economy, a causa del maggior spazio riservato a una singola persona. Il professore pensa anche a un sovrapprezzo per lo sviluppo di un’alimentazione sostenibile: “L’obiettivo è sostituire totalmente i combustibili fossili per il traffico aereo entro il 2050”.
Cambiare l’aviazione è possibile ma dipende dalle scelte degli Stati: è necessario che se ne rendano conto e prendano in mano la situazione, conclude Gössling. “Se lasciamo il destino del settore aereo nelle mani delle aziende non cambierà nulla, non hanno interesse a intervenire. Se però i governi riusciranno a stabilire condizioni che spingano le imprese a cambiare, penso sia credibile immaginare un’aviazione sostenibile entro 30 anni”.
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