Ambiente / Approfondimento
“Il suolo non è uno yogurt”, tutelarlo è nell’interesse di tutti. Un appello da Vienna
La mostra “Suolo per tutti”, in programma a Vienna fino al 19 luglio, mette in luce questioni decisive: quella del consumo di suolo da una prospettiva ecologica, quella della rendita da una prospettiva urbanistica, quella dell’accesso all’abitare da una prospettiva sociale. Un messaggio attualissimo anche per l’Italia
“Il suolo non è yogurt” e non può (più) essere trattato come una merce. Al contrario, è una risorsa preziosissima, non rinnovabile (occorrono due secoli per formarne uno strato di appena un centimetro) che, per via dell’azione dell’uomo, è in via di esaurimento. Il suolo è un terreno conteso tra interessi economici per il suo sfruttamento e interessi collettivi per la sua salvaguardia e conservazione.
Sono questi alcuni dei motivi che hanno spinto Karoline Mayer e Katharina Ritter a curare la mostra “Boden für alle” (“Suolo per tutti”), aperta al pubblico presso l’Architekturzentrum, il Centro di architettura di Vienna fino al 19 luglio 2021. Il titolo, “Suolo per tutti”, riflette su alcuni caratteri, per molti versi contraddittori e paradossali, della risorsa suolo nella nostra società: da un lato, la molteplicità degli usi che la società contemporanea ne fa per lo svolgimento delle sue funzioni. Dall’altro, l’incompatibilità di molti di questi usi con il diritto per tutti di fruire dei servizi (cosiddetti ecosistemici) con cui il suolo permette, in definitiva, la vita sulla terra. Infine, l’inadeguatezza degli strumenti di pianificazione e regolazione per una ricomposizione positiva degli interessi in campo.
La mostra si sviluppa attorno a questi paradossi e contraddizioni, articolandosi in sezioni. La prima sezione tratta delle molteplici interpretazioni che diverse discipline fanno del suolo, intorno alla domanda “Cos’è il suolo?”. Per citarne alcune: mezzo di produzione per l’economia, fattore produttivo per l’agricoltura, origine di servizi ecosistemici per l’ecologia, archivio della storia naturale e culturale per l’archeologia. Mostrando alcuni “carotaggi”, o sezioni di terreno, la mostra evidenzia la differente qualità dei suoli rispetto al loro uso: dal suolo di ottima qualità di foreste e paludi (capace di elevati servizi ecosistemici, come la cattura della CO2), agli usi agricoli più o meno intensivi fino alle varie tipologie di urbanizzazione, che con vari gradi (dall’appoggio di pannelli solari, alla cementificazione) “sigillano” il suolo e ne compromettono le proprietà vitali, consumandolo. Per dare un’idea delle dimensioni problema, il suolo consumato in Austria è stato di circa 42 chilometri quadrati: una cifra enorme, soprattutto se paragonata a quella (già elevata) di 56,7 chilometri quadrati di suolo consumato in Italia tra 2019 e 2020.
Quello ecologico non è però l’unico valore in gioco con il suolo: ci sono anche valori economici, politici, sociali da tenere in conto. La seconda sezione ricostruisce dunque, sulla base dello slogan “Libero popolo su libero suolo”, la questione della proprietà del suolo come problema storico e nei discorsi politici di alcune civiltà, dai popoli indigeni, al colonialismo, all’urbanizzazione nell’era moderna e in quella della globalizzazione. La terza sezione, sul “Bene suolo”, interroga l’aspetto particolarmente problematico della concezione attuale, tipica della società capitalista, del suolo come merce. Merce, peraltro, il cui valore è andato progressivamente aumentando.
Uno studio ha dimostrato che la crescita impetuosa dei prezzi residenziali nelle economie cosiddette “avanzate”, negli ultimi trent’anni è quasi esclusivamente imputabile alla crescita esponenziale del valore fondiario, del suolo. Le condizioni di mercato dei suoli influenzano quindi potentemente la capacità delle persone di potersi permettere di abitare in un certo luogo, generando iniquità sociali e spaziali. Dati reperiti dalle curatrici mostrano un’ulteriore esplosione del valore dei suoli in Austria: a fronte di una crescita del +23,7% dell’indice dei prezzi immobiliari tra il 2015 e il 2019, l’indice dei costi di costruzione è cresciuto solo dell’8,3% mentre i prezzi dei terreni ha registrato un aumento vertiginoso: più 77,8%.
Le curatrici assumono qui una posizione critica, sinterizzata nello slogan “Perché il suolo non è yogurt” (Warum Boden kein Joghurt ist). Il suolo non può essere trattato come una merce qualunque. E questo per molte ragioni. Una in particolare può essere richiamata: l’incremento del valore di un suolo non è imputabile al merito individuale del proprietario del terreno, quanto alle condizioni per cui quel suolo è immerso in una città, la quale è un “bene pubblico” in quanto risultato di sforzi, scelte e investimenti di una collettività. A dimostrazione di ciò, le curatrici pongono l’accento sull’incremento del valore dei suoli nel momento in cui le amministrazioni locali ne stabiliscono l’edificabilità. L’aumento di valore da suolo agricolo a suolo edificabile nei vari territori austriaci va da più 200% nel caso “minore” del Comune di Deutsch Schützen-Eisenberg (da 2,59 euro per metro quadrato a 7,80 euro per metro quadrato) fino addirittura a più 21.858% nel caso estremo della nota località sciistica di Kitzbühel, in Tirolo (da 10,68 euro per metro quadrato a 1.712,70 euro per metro quadrato).
L’amministrazione pubblica ha dunque un ruolo da protagonista tramite la pianificazione in quanto, assegnando l’edificabilità, tramuta l’urbanità di un terreno -la cosiddetta “rendita”, o plusvalore, di trasformazione- in un guadagno spesso estremo che finisce interamente al proprietario del terreno. Paradossalmente, sottolineano le curatrici, se un’amministrazione comunale austriaca volesse in seguito rimuovere l’edificabilità, dovrebbe indennizzare dello stesso guadagno “perduto” il proprietario, secondo l’ormai consueta formula di “privatizzazione dei profitti e socializzazione dei costi”.
In Austria, il guadagno dovuto all’urbanizzazione, inoltre, è praticamente esente da tasse (fino al 4%, mentre il lavoro viene tassato fino al 68%) e perfino gli oneri di urbanizzazione sono tutti in capo all’amministrazione: se apparentemente questo rappresenta un fattore di arretratezza rispetto all’Italia, va però sottolineato come gli oneri siano diventati, paradossalmente, un incentivo perverso al consumo di suolo per le amministrazioni comunali italiane, le quali sono portate a concedere l’edificabilità come se fosse un conto in banca, da cui prelevare denaro sonante con cui alimentare il bilancio e la spesa corrente. A fronte di questo quadro -inaccettabile essendo il suolo una risorsa preziosissima, non rinnovabile e rapidamente in via di esaurimento-, le curatrici mettono sul tavolo una serie di alternative, nella forma di iniziative realizzate (best practices e movimenti dal basso) e di politiche, realizzate o auspicabili.
Tra le iniziative dal basso, vale la pena citare: l’associazione cooperativa Bodenfreheit (“Libertà del suolo”) che dal 2011 acquista lotti edificabili in posizioni “strategiche” nella regione austriaca di Voralberg, prevedendone una possibile edificazione; l’iniziativa indipendente Land Matrix per il monitoraggio delle acquisizioni di terreni di larga scala (cosiddetto “Rush for land”) in Africa, Asia, Est Europa e America Latina; l’opera dell’artista statunitense Amy L. Balkin, “This is the Public Domain”, la quale ha acquisito un terreno in California e iniziato un processo per costituire un inedito diritto legale di common internazionale permanente (come, ad esempio, per la proprietà intellettuale, o la musica, dopo un certo tempo).
Tra le best practices a livello europeo ci sono anche la rinaturazione e trasformazione in riserva naturale di un’ex cava nei pressi di Maastricht, riaperta dal 2017; la strategia di “mobilitazione di terreno edificabile” nel Tirolo italiano, “con l’obiettivo di uno sviluppo insediativo a basso consumo di territorio e con ciò insediamenti compatti, l’utilizzo ottimale delle infrastrutture e la conservazione del paesaggio non costruito”. La legge per il “giusto uso del suolo” di Monaco (Sozialgerechte Bodennutzung, o SoBoN) e la zonizzazione per edilizia sociale di Vienna (Gebiete für geförderten Wohnbau), che danno mandato a chi sviluppa un’area di destinare una quota (rispettivamente un terzo a Monaco e due terzi a Vienna) dell’edificabilità complessiva a infrastrutture ed edilizia sociali.
Infine, le curatrici lasciano ai visitatori (letteralmente, come fogli da portare via) una serie di proposte per ristabilire un corretto rapporto della società con il suolo, attraverso politiche attuabili (“già consentite ma poco attuate”, come costituzione di fondi pubblici o comuni con cui acquistare suoli); applicabili (“che non ci sono ovunque ma forse dovrebbero”, come l’edificabilità a scadenza per evitare atteggiamenti attendisti speculativi, pianificazione sovracomunale e regionale); auspicabili (“che non esistono ma forse dovrebbero”, tra cui tassa sui suoli, la dezonizzazione e densità minima per evitare lo sprawl).
In conclusione, la mostra “Boden für alle”, pur non inventando nulla di nuovo, ha vari meriti. Il primo è di aver messo insieme in una prospettiva olistica questioni che spesso vengono trattate singolarmente: quella del consumo di suolo da una prospettiva ecologica, quella della rendita da una prospettiva urbanistica, quella dell’accesso all’abitare da una prospettiva sociale e così via. Il secondo, di aver mostrato le dimensioni conflittuali, ed estremamente problematiche, degli (ab)usi del suolo attraverso immagini e concetti facilmente comunicabili e comprensibili. Infine, di aver chiarito che “il suolo non è yogurt” e non può (più) essere trattato come una merce e che la pianificazione, volendo, ha tutti gli strumenti per tutelarlo, nell’interesse di tutti noi.
Marco Peverini è laureato in Ingegneria edile e architettura all’Università degli Studi di Perugia. Dottorando di ricerca nel corso di Urban Planning, Design and Policy al dipartimento di Architettura e studi urbani del Politecnico di Milano con una borsa finanziata dal Consorzio cooperative lavoratori di Milano. Si occupa di politiche abitative e urbane, con riferimento ai temi dell’edilizia sociale, della cooperazione abitativa e dell’affordable housing. Fa parte del gruppo italiano del Collettivo per l’Economia Fondamentale ed è membro coordinatore del gruppo Social Housing: Institutions, Organisation and Governance dell’European Network of Housing Research (E.N.H.R.).
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