Opinioni
Il pesce d’aprile nella Cassa
Le fondazioni bancarie convertono le proprie azioni e scendono dal 30 al 16% circa nel capitale Cdp, il "sovrano sconosciuto" che il prossimo 17 aprile rinnova il vertice ed approva un bilancio record, con 2,8 miliardi di euro di utili.
Fatti due conti, la conversione ci costa quasi 2 miliardi di euro, che abbiamo regalato in dieci anni al sistema bancario —
La vicenda della conversione della partecipazione azionaria delle fondazioni bancarie in Cassa depositi e prestiti (Cdp), si è chiusa il primo d’aprile con le “povere” fondazioni che l’hanno spuntata risparmiando due miliardi di euro. A fine gennaio, secondo i criteri stabiliti dal decreto “Sviluppo due”, la Cdp ha deliberato il tasso di conversione in azioni ordinarie delle azioni privilegiate in mano a 65 fondazioni bancarie (poi divenute 63 con l’uscita di Fondazione Cariverona e CrTortona), sulla base della valutazione dell’advisor Deloitte del valore della “banca più grande e liquida d’Italia”, ancora per il 70% in mano pubblica (attraverso il ministero del Tesoro). Tirando le somme, le fondazioni l’hanno sfangata alla grande: il loro 30% privilegiato sarà convertito in automatico in un 15,85% ordinario, dietro restituzione di 207 milioni di extra-dividendi percepiti negli ultimi anni. Il rimborso a favore del Tesoro sarà rateizzato in cinque tranche annuali (ossia 45 milioni l’anno).
Partiamo da qui, per fare due conti in tasca alle fondazioni: nel 2003, quando entrarono nel capitale di Cdp pagarono la loro quota 1,05 miliardi di euro; oggi la stessa è rivalutata in 3,3 miliardi. Se consideriamo la restituzione scontata del profitto ricevuto fino ad oggi (una piccola parte dei ben 1,079 miliardi percepiti), si può dire che abbiamo regalato circa due miliardi di euro alle fondazioni. Sarebbe bello pensare che un tale danno per l’erario pubblico sia solo un pesce d’aprile, ma è realtà.
Va aggiunto che il gigante Cdp, le cui provviste sono alimentate ogni anno da (spesso) ignari risparmiatori postali, fa sempre più profitti da quando ha abbracciato la logica della finanza privata. Nel 2012, gli utili hanno superato i 2,8 miliardi di euro (+77% rispetto al 2011), e le prospettive future sono ancora più rosee. Le fondazioni potrebbero incassare fino a 400 milioni puliti ogni anno. Va aggiunto che qualche fondazione piccola o dissidente avrebbe voluto anche liberarsi del capitale della Cassa, ma l’accordo è stato costruito con penalità troppo forti per incentivare l’uscita.
Da Giulio Tremonti a Franco Bassanini l’onnipotente manager di Stato di area Pd da anni alla presidenza dalla Cassa, ogni forza politica ha favorito l’ingresso e rafforzato il ruolo delle fondazioni, svendendo uno dei pochi gioielli di Stato rimasti.
Quello del governo Monti è solo l’ultimo atto bipartisan della storia. Dalla privatizzazione del 2003, la Cdp ha fatto investimenti per produrre utili per gli azionisti, e ben poca considerazione per i bisogni reali del Paese e le necessità delle comunità locali. Si pensi solo al fondo F2i, partecipato dalla Cassa e guidato da Vito Gamberale, che è la nuova testa di ariete per forzare -tra l’altro- la privatizzazione delle aziende idriche in Italia, in barba all’esito del referendum di giugno 2011. Mentre ciò avveniva, il finanziamento degli enti locali -che è stato la mission per 150 anni della Cdp- è stato portato da costi molto agevolati a tassi di mercato, contribuendo, assieme all’irrigidimento del Patto di stabilità interno, al progressivo blocco della loro attività e funzione sociale. Gli enti locali oggi pagano un interesse del 7% sui mutui stipulati prima dell’euro e rinegoziati, e un 5,5% in media sui nuovi mutui. Come una qualsiasi impresa profit. Oltre la solita ideologia mercatista, è lecito chiedersi perché tanta bontà per le banche italiane di fronte al naufragio dell’intera economia nazionale. E si aggiunga che i governi di Francia e Germania si sono ben guardati da privatizzare i loro omologhi di Cdp, almeno nella governance. Le grandi fondazioni italiane sostengono che sono loro a far aumentare il valore della Cassa. Ma la realtà supera la fantasia: le banche di riferimento delle fondazioni azioniste sono in realtà tra i maggiori clienti di Cdp, avendo ricevuto ben 18 miliardi negli ultimi quattro anni da rigirare -con commissioni- alle piccole e medie imprese, che però si lamentano di non averli mai visti o di riceverli a singhiozzo. Una vergogna sufficiente affinché il Parlamento deliberi subito la ripubblicizzazione della Cassa, riportando l’istituzione al proprio mandato originario con nuove forme di partecipazione alle scelte di investimento da parte dei risparmiatori e delle comunità locali.
* www.recommon.org —