Interni / Opinioni
Il Paese che ho visto
Da Leuca a Castelluccio. Viaggio in un’Italia maltrattata, ma che resiste. Scintille di speranza in attesa della responsabilità dei nostri sguardi per salvarsi. La rubrica di Paolo Pileri
Ho passato la mia estate nel Centro-Sud. E ho visto tante cose per Piano Terra. Nella valle del Tronto ho visto villette tirate su in fretta e furia aggiungendo offesa a un paesaggio già terremotato: poco recupero là dove serviva, selvagge cementificazioni dove non occorreva. Quel “Vergognatevi”, inciso sulle lenzuola appese fuori dalle casette temporanee, lo conferma. Ma ho anche visto Lelle rimanere nel forno di famiglia a Montemonaco (Ascoli Piceno): lei è una dei “barcollo ma non mollo”. Ho visto montagne di rifiuti ai bordi di tante strade, gettati da incivili che non amano il Paese ma ne pretendono i servizi e sono pronti a protestare se aumenta l’Iva. Ma a Leuca ho visto Peppe e Rosy convincere i pescatori a non buttare le cassette di polistirolo in mare. Ho visto le cicatrici di maledetti condoni edilizi che hanno rubato le spiagge di tutti. Ma ho visto recuperare la casa dei nonni nell’entroterra perché quei mattoni di tufo screpolati ci dicono chi eravamo e possiamo essere. Ho visto pronto soccorso di cui vergognarsi, svuotati di gentilezza, con pazienti che attendono ore in posti indegni. Ma ho visto Piero, studente di ingegneria in inverno e bagnino in estate rinunciare al suo giorno di riposo per soccorrere con sorriso e gentilezza una donna.
2. Ho visto. Ma ho visto. Due lettere (M+A) che gettano luce sulla volontà di stare nei luoghi per ripartire dai luoghi. Due lettere da portarsi sempre dietro.
Ho visto auto imbruttire tante belle piazze storiche che dobbiamo ad architetti pontifici, ai greci, ai bizantini, ai normanni. Ho visto il business speculativo di parcheggiatori su campi agricoli. Ma ho visto piazza Ventidio Basso ad Ascoli Piceno: nuova, bella e pedonale, fatta al posto di una strada trafficata. Ho visto in Salento itinerari cicloturistici incomprensibili e vuoti, senza un’idea chiara di sostenibilità. Ho visto ciclabili spezzate in due da mercatini assurdi e autorizzati da ordinanze sbagliate, sempre obbedienti al dio danaro. Ma ho visto e pedalato nella piana di Castelluccio che ti strappa il cuore dalla bellezza e non ti chiede altro. Ho visto città salentine prese a morsi da un turismo pirata che ha trasformato ogni buco in locali dove si compra a caro prezzo il solito sballo che trovi ovunque: città bianche diventate nonluoghi. Ma ho visto Tonino nella sua bottega scampata all’artigianicidio: lavora il legno d’ulivo fino a farlo parlare perché lui è cantastorie e tiene vive le memorie spiegando che la diversità è il succo della vita e la riconosci leggendo le infinite vene del legno. E così pure a Lecce, in pieno centro, i ragazzi di Divergo insegnano con fierezza arte e bellezza ai disabili. Ho visto pannelli solari a terra rendere sterili i suoli. Ma ho visto Salvo con il suo Apecar vendere in strada meloni gialli e fichi presi dal suo campo. Ho visto quel dannato condominio che sfregia la forma della città di Orte (Viterbo) e ne ho visti, piangendo, di nuovi a Colonnella (Teramo), a Maglie (Lecce), a Ostuni (Brindisi), a Spinetoli (Ascoli Piceno), ad Acquaviva Picena. Ma ho visto che il pensiero di Pasolini resiste su tanti muri. Nel mio viaggio estivo in Italia ho visto tanta offesa a quel che di meglio questo Paese ha. Ho visto la cultura trafitta dall’ignoranza e le visioni spegnersi nell’avidità. Ma ho visto tante scintille di buona speranza e resistenza in persone bellissime che stanno lì e credono nel cambiamento praticando la restanza, come la chiama Vito Teti. Queste persone le amo: salvano il tempo e i luoghi. Loro sono scuola politica. A noi il compito della vaganza per trovare quelle scintille e farle conoscere per salvarle dal gorgo del pensiero unico che continua a mordere il territorio per farci i propri porci comodi.
Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “100 parole per salvare il suolo” (Altreconomia, 2018)
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