Economia / Opinioni
Il nuovo presidente della Banca mondiale, tra interessi fossili e logiche imperiali
Gli Stati Uniti hanno candidato il veterano di Wall Street Ajay Banga -già a capo di Mastercard, presidente della holding Exor degli Agnelli- alla presidenza della Banca mondiale. Una nomina imposta dall’alto che apre la strada alla finta transizione verde data in pasto alla finanza. Le Ong ne chiedono il ritiro. L’editoriale del direttore
La notizia della visita in Italia del candidato presidente della Banca mondiale, Ajay Banga, è passata quasi inosservata. Come se la definizione della nuova guida della principale organizzazione finanziaria del Pianeta, in piena tempesta speculativa, fosse cosa da niente. Il ministero dell’Economia ha pubblicato a metà marzo una nota stringata accompagnata da una foto del sorridente ministro Giancarlo Giorgetti che siede in compagnia dell’uomo d’affari nato in India nel 1959 e naturalizzato cittadino statunitense nel 2007. Tra i due, dice il breve comunicato, c’è stata la solita “piena sintonia” sulla “visione comune sulle sfide globali”, inclusi “clima e prevenzione delle pandemie”, sulla necessità della “mobilizzazione delle risorse private”, dello “sviluppo del continente africano”, delle “potenzialità dell’Italia”.
Banga sta girando diversi Paesi per far sembrar diffuso il sostegno degli azionisti della Banca mondiale alla sua nomina, in realtà imposta dall’alto a febbraio di quest’anno, senza mediazione, dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Dal 30 giugno prossimo, infatti, il candidato dovrebbe prendere il posto dell’uscente David Malpass, piazzato da Donald Trump, costretto ad annunciare le proprie dimissioni con un anno di anticipo rispetto alla scadenza del mandato data l’assoluta incapacità dinanzi alla crisi climatica.
Dall’annuncio del passo indietro di Malpass alla “proposta” non discutibile di Banga è trascorsa appena una settimana. Gli Usa fanno pesare il fatto d’essere il socio di maggioranza del World Bank Group, con il 16,34% del capitale, seguiti a distanza da Giappone (7,68%), Cina (5,95%), Germania (4,56%), Regno Unito (4,04%), Francia (4,04%), India (3,16%) e Russia (3,04%). Tutti gli altri sono considerati briciole da coinvolgere a fatto compiuto, secondo una vecchia logica imperiale per cui agli Usa spetta la Banca mondiale e all’Europa il Fondo monetario internazionale. Perché è vietato ripensare il ruolo di quell’istituzione.
Ma chi è Ajay Banga e che cosa rappresenta la sua candidatura? Una risposta fuori dal coro l’hanno data decine di organizzazioni della società civile, sostenute dalla rete Eurodad, che si occupa da anni di debito, finanziamento allo sviluppo e riduzione della povertà. Il 2 marzo in una lettera aperta si sono dette “scioccate e indignate” dalla proposta statunitense. “Rifiutiamo la candidatura di Banga”, hanno scritto, ricordandone la biografia imprenditoriale.
Attuale vicepresidente del colosso di private equity General Atlantic -dove è tornato a operare come responsabile dell’area Europa e Medio Oriente anche Vittorio Colao, già ministro del Governo Draghi-, Banga è stato per anni l’amministratore delegato di Mastercard, padrone insieme a Visa dei circuiti di pagamento. Ha lavorato per Citigroup, Dow, Pepsico, Nestlé. “È un veterano di Wall Street, non ha alcuna esperienza nel campo dello sviluppo e non ha la credibilità per affrontare le sfide generazionali della crisi climatica e delle disuguaglianze globali”, hanno ricordato le Ong. Non solo. È presidente del Cda di Exor, la holding finanziaria controllata dalla famiglia Agnelli e domiciliata in Olanda, Paese a fiscalità agevolata, ed è nel gruppo dei direttori del gigante degli investimenti Temasek, di proprietà del governo di Singapore. Entrambi, Exor e Temasek, hanno i piedi ben piantati nel fossile, sottolinea Eurodad, aggiungendo che il “profilo di questo candidato non potrebbe essere più lontano da ciò di cui il mondo ha bisogno nell’attuale contesto di crisi e di emergenze”.
Per il semplice fatto che la Banca mondiale “non è una società di private equity”. O non dovrebbe esserlo. “La nomina di un altro banchiere dimostra quanto i finanzieri di Wall Street siano ancora radicati nelle posizioni di leadership, di consulenza e in molte altre posizioni chiave delle istituzioni finanziarie internazionali”. Una visione delle cose che apre ancor di più la strada alla finta “transizione verde e sostenibile” affidata nelle mani della solita finanza. A colpi di “greenwashing sussidiato” e “dure misure di austerità” sulle spalle della collettività. “Attendiamo con ansia candidati progressisti del Sud globale”. Come dargli torto.
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