Finanza
Il mio nome è bond
Il primo luglio 2013 si celebre il 50° anniversario della prima obbligazione emessa da un’azienda italiana, che era Autostrade. Di fronte alla crisi del sistema bancario, oggi le nostre imprese tornano a cercare finanziamenti attraverso l’emissione di obbligazioni. Alcuni "casi" –Telecom e Atlantia, su tutti- spiegano perché non è sempre conveniente. Un’alternativa nell’esempio delle Bcc —
Alzi la mano chi è disposto a scommettere che Telecom esista ancora nel 2073. E non dite “nessuno”, che non è vero: fund manager, banche, assicurazioni ed hedge fund britannici, francesci, tedeschi, italiani e svizzeri hanno appena acquistato 750 milioni di obbligazioni, titoli di debito, emesse da Telecom Italia, che promettono un rendimento annuale del 7,75% e sono in scadenza tra 60 anni. È tutta liquidità, e fa comodo a un’azienda che -a fine 2012- conta 29,5 miliardi di euro di fatturato, un indebitamento di 29 miliardi di euro ma sconta -soprattutto- prospettive incerte per il futuro.
Tra un’ipotesi di fusione con 3 Italia, controllata da Hutchison Whampoa, holding di partecipazioni di Hong Kong attiva dall’immobiliare alla gestione dei porti, e il tentativo (permanente) di trovare un acquirente “pubblico” per la rete in rame, con in prima fila Cassa depositi e prestiti (vedi Ae 144), l’unica certezza è inscritta nel bilancio che i soci (il principale si chiama Telco, ed è una scatola a sua volta partecipata da Generali, Mediobanca, Intesa Sanpaolo e dagli spagnoli di Telefónica SA) hanno approvato il 17 aprile 2013: nei prossimi 4 anni sono in scadenza oltre 5 miliardi di euro di bond (obbligazioni) emessi negli scorsi anni dalla stessa Telecom Italia, la cui gestione è costata, nel 2012, 1,5 miliardi di euro, tra interessi ed altre spese accessorie.
Le nuove obbligazioni, come quella in scadenza nel 2073, emessa a metà marzo, servono -in larga parte- a rifinanziare le precedenti, in un circolo d’indebitamento perenne che però ha il merito di lasciare ai margini il mondo delle banche senza chiedere nuove risorse ai soci, mediante una ricapitalizzazione della società. Sembrano farci poco caso gli investitori istituzionali, carichi di liquidità, che hanno dato il la a una stagione di “caccia al corporate bond ‘made in Italy’?”, riprendendo il titolo di un articolo de Il Sole 24 Ore che dava conto dell’attivismo di aziende e banche italiane che “hanno emesso tanti bond, nei soli primi 11 giorni del 2013, come non accadeva dal lontano 2003: in totale -secondo i calcoli realizzati da Dealogic per Il Sole 24 Ore- l’ammontare totale è stato di 3,67 miliardi di euro”.
A livello globale, nel 2012 sono state emesse obbligazioni per oltre 3.500 miliardi di dollari: un record.
“I fondi in questo momento sono estremamente liquidi, e hanno masse in gestione non ancora investite -racconta ad Ae il professor Leonardo Etro, che insegna Finanza aziendale e dei mercati all’Università Bocconi di Milano-. Poiché investire nei fondi immobiliari oggi non dà garanzie di ritorno, per le difficoltà dei tenant (le società che prendono in affitto gli immobili, ndr), è crescente l’interesse per le obbligazioni”. Che, all’occorrenza, possono anche essere vendute su uno dei mercati secondari, ad esempio quelli gestiti da Borsa italiana spa.
Che cosa significhi, in pratica, ce lo spiegò nell’autunno del 2010 l’ufficio stampa di Hera, multi-utility quotata in Borsa, al momento dell’emissione di un bond “convertibile”, cioè trasformabile -alla scadenza- in azioni della società. Chiedemmo chi aveva acquistato, e potrebbe ritrovarsi -dal prossimo autunno- azionista di Hera. Rispose che non ci avrebbe fornito i nomi, che aveva, perché potenzialmente quei soggetti avevano già rivenduto i bond, e in ogni caso avrebbero potuto farlo. Quando una obbligazione è venduta solo a clienti istituzionali, come quella “Telecom 2073”, possono succedere anche altre cose: nel 2011 Biis, la vecchia Banca infrastrutture innovazione e sviluppo del gruppo Intesa Sanpaolo, acquistava le obbligazioni emesse dalla controllante sui mercati istituzionali. È un’azione non neutra, perché è in grado di alterare la percezione dell’opinione pubblica rispetto all’apprezzamento dell’emissione, e capace di influenzare anche il valore di Borsa dell’emittente: “Spesso i manager di società quotate emettono obbligazioni perché il mercato reagisce con un apprezzamento del valore di Borsa del titolo, in quanto attraverso l’emissione la società ‘dice’ che è in grado, con i suoi cash flow futuri, di ripagare il tasso d’interesse atteso -spiega Etro-. Queste obbligazioni hanno un effetto positivo sulla valorizzazione, però, solo e soltanto se vengono emesse per finanziare iniziative di sviluppo, e non per pagare debiti pregressi”.
Per capire le ragioni vere di un’emissione obbligazionaria, bisogna leggerne il prospetto informativo: nel caso delle emissioni riservate ai clienti istituzionali, però, il voluminoso documento (77 le pagine del prospetto “€750,000,000 Capital Securities due 2073” di Telecom Italia) non è a disposizione di tutti. Poi, però, quelle stesse obbligazioni finiscono (anche) nei fondi venduti a ogni singolo cliente retail che abbia realizzato l’intervista MiFID -in merito alla conoscenza e all’esperienza dei prodotti e degli strumenti finanziari, agli obiettivi di investimento e alla situazione finanziaria-. Sono le banche a costruire il pacchetto, e lo fanno -può capitare- anche in situazione di palese conflitto d’interessi.
Come quello descritto nel prospetto dell’ultima grande emissione rivolta alla clientele retail, quella da un miliardo di euro di Atlantia. La società dei Benetton (che il 30 aprile, a rivista già in stampa, dovrebbe fondersi con un’altra controllata del gruppo, Gemina, ndr) ha affidato a Intesa Sanpaolo, BNP Paribas e UniCredit il collocamento. Tra i “fattori di rischio” del prospetto, però, viene spiegato che le tre banche si trovano in una situazione di conflitto di interessi in quanto “l’emittente non esclude la possibilità di utilizzare almeno in parte i proventi dell’emissione delle obbligazioni per il rimborso di finanziamenti e/o riduzione dell’esposizione creditizia nei confronti delle società del gruppo bancario Intesa Sanpaolo, del gruppo bancario BNP Paribas e del gruppo bancario UniCredit, ciò in via autonoma e indipendente dal pool dei creditori”. Tu vendi bene le mie obbligazioni, insomma, che poi sarò in grado di ripagare i miei debiti, che in questo caso sommano 752 milioni di euro (su una disponibilità complessiva delle linee di credito aperte di 2,26 miliardi).
Non tutte le obbligazioni, però, hanno taglia così alta, e nemmeno carattere speculativo: le emissioni del sistema delle banche di credito cooperativo, ad esempio, forniscono liquidità che viene utilizzata, per il 95%, a sostegno del tessuto economico locale, nel territorio dov’è localizzato l’istituto di credito: “L’ultimo bond territoriale, per 3 milioni di euro, lo ha emesso la Bcc di Cherasco (Cn) -racconta ad Ae Sergio Gatti, direttore generale di Federcasse, www.creditocooperativo.it-, è verrà destinato a sostenere le piccole medie imprese del territorio. Questa liquidità, a disposizione per 2, 3 o 5 anni, consente di finanziare l’economia reale”. Investendo nei bond emessi dalle Bcc, inoltre, anche il cliente retail è protetto, grazie al Fondo di garanzie degli obbligazionisti, “un meccanismo volontario, cui hanno aderito 300 banche del sistema del credito cooperativa, che copre 40 dei 54 miliardi di obbligazioni emesse dalla Bcc -spiega Gatti-: ogni cliente è assicurato fino a 200mila euro”. Un’azione di tipo mutualistico, in cui ogni singola banca si fa garante per le altre. Il frutto di una storia di cooperazione lunga 130 anni. —
Perché Snam sì
Nell’elenco delle obbligazioni corporate che fanno parte del Sistema Valori Responsabili di Etica Sgr c’è solo un nome, quello di Snam, società quotata alla Borsa di Milano i cui azionisti principali sono Cassa depositi e prestiti ed Eni.
Snam, proprietaria della rete gas italiana, gestisce il sistema di stoccaggi e -attraverso la controllata Italgas- si occupa anche distribuzione. Nell’ultimo anno, sono emerse controversie ambientali legate ai progetti del gasdotto tra Brindisi e Minerbio (Bo), lungo l’Appennino (fermato alla Camera, resta centrale secondo il “2013-2016 Strategy & Targets”, presentato a Londra a metà marzo), e degli stoccaggi in Pianura Padana. I bond (triennali) sono stati acquistati a novembre 2012. Secondo Alessandra Viscovi, direttrice di Etica Sgr, “Snam non fa estrazione ma stoccaggio e distribuzione”. E solo il primo settore, per policy aziendale, è escluso dal novero dei “titoli investibili”. “Con Snam -spiega Viscovi-, che è un’azienda collaborativa e molto virtuosa dal punto di vista della rendicontazione, allarghiamo la platea di società italiane”. Prima dell’investimento, era arrivato -a marzo 2011– il parere positivo del Comitato etico di Etica Sgr.