Opinioni
Il giudizio degli inglesi
Procedono spediti i processi per i disordini dell’estate 2011. Forse perché, a differenza dell’Italia dopo il G8 del 2001, i manifestanti sono puniti per quello che hanno fatto, e non accusati di devastazione, saccheggio o associazione a delinquere
Sul sito del ministero della Giustizia inglese si trova la statistica aggiornata dei procedimenti contro i partecipanti ai disordini dell’agosto 2011. Edifici messi a fuoco, saccheggi, violenze diffuse per giorni. Emerge una pronta risposta giudiziaria che ha già consentito di definire numerosi procedimenti, 622 su un totale di 1984, con un esito di condanna in 551 casi, di cui 331 a pena detentiva e 71 assoluzioni. Dei rimanenti imputati, 707 sono mantenuti agli arresti, in attesa di giudizio. Le condanne detentive in media sono pari a 5 mesi: una pena severa, considerando che gran parte dei giudizi si sono svolti nelle Magistrates Courts, ove giudici non professionali possono irrogare una pena massima di 6 mesi. Altrimenti il giudizio si svolge nelle corti superiori, ove la pena media irrogata è stata invece di 12 mesi e mezzo. Procedimenti che durano normalmente due settimane sono durati 15 minuti, una speditezza definita “molto istruttiva” in sede governativa. Anche il tasso di applicazione della custodia preventiva è stato del 70%, rispetto al 2% ordinario. Troppo zelo. Secondo l’immagine proposta da un responsabile del servizio penitenziario, preoccupato per l’eccezionale numero di nuovi detenuti, è una “frenesia delle condanne”, simile a quella degli squali eccitati per il sangue di una preda (definita feeding frenzy). Per intendersi, per gli stessi reati i giudici inglesi infliggono pene molto più benevole, spesso non detentive, quando non sono stati commessi in un contesto di disordine collettivo.
Il confronto con i processi del G8 genovese del 2001, ancora non tutti definiti dopo oltre 10 anni, a fronte di poco più di 300 arresti, rivela tratti comuni solo nella repressione esemplare se non vendicativa. Il nostro bilancio giudiziario è unico per il parallelo fenomeno degli abusi polizieschi di massa: più di due terzi degli arresti genovesi sono stati dichiarati illegali. L’unico giudizio consistente nei confronti di manifestanti violenti, solo 25, impostato su accuse gravissime, si è concluso con condanne fino a 15 anni. Si è scelto di perseguire ipotesi di movimenti e gruppi omogenei, adottando tecniche tipiche del contrasto a forme di criminalità organizzata, incluso il terrorismo. Di contestare reati fra i più gravi nel Codice penale, come la devastazione e il saccheggio (pena minima 8 anni) o l’associazione a delinquere, in passato di rado utilizzate per reprimere disordini di piazza. Evocare rivolte eversive su larga scala consente di bilanciare sul piano dell’immagine l’inefficienza operativa delle forze di polizia e di punire i pochi catturati per tutti. Ma le condotte illecite del G8 (quelle dei cosiddetti black bloc) sono uguali a quelle sanzionate da poco in Inghilterra, in misura di gran lunga minore. Per il vero si registrano picchi elevati in relazione ad alcune imputazioni particolari formulate anche in Inghilterra. È il caso di due ventenni condannati a 4 anni per aver incitato al saccheggio utilizzando Facebook, istigazione da nessuno seguita.
I disordini inglesi, in realtà, dimostrano la complessità dei fenomeni alla base delle rivolte. Gran parte delle azioni è il risultato d’improvvisazione, che coagula intorno alle violenze di pochi, con l’eccitazione e l’adrenalina del momento, anche persone senza precedenti e non disadattate. Anche nei più recenti disordini a Roma hanno partecipato alle violenze soggetti con storie di vita “regolari”. Cruciali per l’estensione del fenomeno sono la reazione della polizia e la sua reputazione. Azioni sproporzionate richiamano nuova violenza. La stessa polizia diviene il bersaglio di ogni insoddisfazione, trasformando gli spettatori in partecipi al contrasto verso un’ingiustizia. Una reazione accertata anche nelle sentenze sui fatti del G8 di Genova, dove la rivolta talora è stata considerata scriminata dagli atti arbitrari. Lo spettro del caos alimenta ansie difensive, ma stigmatizzare a senso unico un’orda selvaggia priva di valori morali non convince. Anche per il conservatore Daily Telegraph, è evidente l’ipocrisia della mano pesante, perché “la cultura dell’avidità e dell’impunità di cui siamo testimoni si estende fino ai cda delle società e al governo. Comprende la polizia e larga parte dei nostri media”. I saccheggiatori hanno questa difesa: “Stanno seguendo l’esempio delle figure più rispettabili della società, senza aver avuto le stesse opportunità di vita e di buona istruzione”. —