Economia
Il francese sconosciuto
Piantagioni, logistica e porti. Viaggio nelle origini dell’impero economico di Vincent Bolloré, il poco noto vice-presidente del gruppo Generali
Uomini ammassati su carri merci a raccogliere fascine di palma fino a sera, per pochi euro al mese. Case sovraffollate e senza servizi. Acque inquinate. Repressioni. Chissà se Vincent Bolloré avrà letto il rapporto pubblicato nel dicembre 2010 sulle piantagioni di Kienké e Didombari, in Camerun, magari nel tempo libero sul suo yacht ormeggiato a Malta.
Bolloré è il vicepresidente del primo gruppo assicurativo italiano, Generali, ed è entrato nella classifica degli uomini più ricchi del mondo di Forbes comprando e rivendendo pacchetti azionari nelle borse di mezzo mondo. Le due piantagioni cui si riferisce il rapporto fanno capo alla Socapalm che, attraverso un fitto intreccio di partecipazioni incrociate, porterebbe dritto al gruppo (le groupe) Bolloré. Il rapporto è scritto da quattro ong -Sherpa (Francia), Misereor (Germania), Ced e Focarfe (Camerun)- e getta una luce sinistra su un gruppo che ha fatto dell’immagine la sua carta vincente, conquistando un posto di rilievo nell’alta finanza europea.
Con oltre 7 miliardi di euro di fatturato e filiali in 109 Paesi, Bolloré ha 33.000 collaboratori e attività che spaziano dai trasporti alla logistica, dall’energia ai media, fino all’agrobusiness.
Ma il finanziere bretone ha messo radici anche nei salotti di casa nostra, passando dal consiglio di amministrazione di Mediobanca (di cui è importante azionista al 5%) alla vice-presidenza di Generali, per rafforzare recentemente la sua quota nella Premafin di Ligresti (5%) e annunciare mire su Pininfarina. Un uomo potente e con molti soldi da investire, di cui si conoscono le prodezze ai piani alti della finanza. Non si sa quasi nulla, invece, dei “sotterranei” del suo impero, dove Bolloré attinge gran parte delle sue fortune.
Uno di questi sotterranei potrebbe essere il Camerun, dove la Socapalm possiede cinque piantagioni di palma da olio per oltre 58mila ettari ed è il maggiore produttore del Paese. La società venne privatizzata undici anni fa e quotata alla borsa di Douala (una città del Camerun) nel 2008, con più di 50 milioni di fatturato e utili per quasi 10 milioni (2009). Il rapporto delle ong (disponibile in francese su asso-sherpa.org) accende un faro sulle due piantagioni, da cui emerge un quadro di sfruttamento, tanto da spingere le stesse organizzazioni a presentare un esposto all’Ocse. Per la Socapalm lavorano 1.314 dipendenti, a cui si aggiungono più di 2.500 lavoratori in subappalto, forniti da un centinaio di aziende esterne e 2.338 coltivatori “privati”, che vendono la loro produzione all’azienda, nonché 5-600 interinali. In tutto, considerate le famiglie, dipendono dall’azienda più di 30.000 persone, di cui 15mila che vivono nei villaggi interni alla piantagione. Ma sono i lavoratori in subappalto a vivere le condizioni peggiori, come rilevava un articolo apparso sul quotidiano francese Liberation l’11 marzo 2008: scarse coperture sociali, assenza di misure di sicurezza, precarietà, stipendi arretrati e un salario medio di 53 euro mensili, che non consente una vita dignitosa nemmeno in Camerun.
“Le fabbriche interne rilasciano gli oli usati nei corsi d’acqua -continua il rapporto-, mettendo a rischio la salute della popolazione e sterminando le risorse ittiche. La povertà diffusa ha spinto così l’azienda ad affidare la sicurezza interna all’Africa Security Cameroun Sarl, di cui il rapporto denuncia senza mezzi termini i metodi. Abbiamo chiesto chiarimenti a Vincent Bolloré, che non ha voluto rispondere alle domande di Ae. Il gruppo sostiene di avere una partecipazione di minoranza nella Socapalm, senza responsabilità gestionali. Ma la sua influenza sull’azienda sarebbe tutt’altro che secondaria, come emerge scorrendo gli intrecci lungo la catena di controllo, che si snoda in buona parte nei più noti Paesi a tassazione agevolata.
Sintetizziamo i dati salienti. Il 63% della Socapalm è in mano alla Palmcam, holding camerunese a sua volta controllata al 64% dalla lussemburghese Interculture. Quest’ultima fa capo alla Socfinal (57% del capitale), anch’essa con sede nel Granducato. Principale azionista della Socfinal è il Gruppo Bolloré, che possiede il 38,75% del capitale, mentre restano nell’ombra alcuni azionisti di rilievo: Geselfina SA (23% del capitale, domiciliata a Vaduz, Liechtenstein), Afico SA (11,4%, Lussemburgo), Twosun Fin. Establishment (11,2%, Vaduz) e Palmeraies de Mopoli (4,5%, Bruxelles). Le rispettive camere di commercio non ci hanno rivelato l’identità degli azionisti, ma sappiamo che tra gli amministratori di Afico e alla presidenza del consiglio di amministrazione (cda) di Mopoli spicca la figura di Hubert Fabri, già consigliere del gruppo Bolloré. Anche sui nomi delle società non regna la chiarezza, visti i continui cambi di ragione sociale.
La presa del finanziere sulla Socapalm risulterebbe più chiara scorrendo le cariche ricoperte dagli amministratori del gruppo (fine 2009). Partiamo dal vertice. Il presidente Vincent Bolloré è al tempo stesso amministratore di Interculture e Socfinal e rappresentante permanente (per conto della Bolloré Participation) nei cda di Palmcam e Socapalm. Presidente del consiglio di Palmcam (società di controllo di Socapalm) è invece Hubert Fabri, anch’esso consigliere del gruppo Bolloré, nonché membro del cda della stessa Socapalm. Fabri -che ricopre anche la carica di presidente nei cda di Intercultures e Socfinal- è uno dei partner d’affari di Bolloré e, come anticipato, azionista della Socfinal.
Membri del consiglio di Socfinal sono gli stessi vice-presidenti del Gruppo Bolloré, Comte de Ribes e Cédric de Bailliencourt, quest’ultimo anche direttore generale e rappresentante permanente di Bolloré Participations nel consiglio di Interculture. Infine il presidente del cda della Socapalm, Claude Juimo Monthé, è stato nominato amministratore del gruppo Bolloré nel corso dell’assemblea ordinaria del giugno 2010. Bolloré si chiama fuori dalle scelte della Socapalm in virtù della sua posizione “minoritaria” in Socfinal, che nel 2009 ha fruttato profitti per oltre 72 milioni di euro, in crescita nel primo semestre 2010.
Nel complesso l’Africa genera il 27% dei ricavi del Gruppo (2009), la quota più consistente dopo la Francia.
Il 67% dei volumi è appannaggio del settore trasporti e logistica, nel quale il continente africano occupa il primo posto (39%) attraverso l’unità dedicata Africa Logistic (1,8 miliardi di euro di fatturato nel 2009). E su quel settore si reggono i profitti di Bolloré: nel 2009 esso ha registrato un risultato operativo di 317 milioni di euro, contro i 49 della distribuzione di energia e le perdite degli altri comparti. Così il gruppo ha potuto archiviare l’anno con 120 milioni di utili netti, parte dei quali potrebbero alimentare le incursioni borsistiche del suo presidente. Il gruppo resta oggi il primo operatore di trasporti e logistica in Africa, con circa 20mila collaboratori in 41 Paesi, dove riesce spesso controllare l’intera filiera, dalla produzione al trasporto.
L’Italia quasi per caso: intervista alla giornalista Martine Orange
Martine Orange, saggista, già redattrice di Le Monde, caporedattrice economica a La Tribune, ha scritto molto del gruppo Bolloré. Ora lavora per Mediapart, con cui nel febbraio 2009 ha pubblicato una lunga inchiesta (mai contestata) dal titolo “La faccia nascosta dell’impero Bolloré”.
Vincent Bolloré è diventato, in pochi anni, uno degli uomini più ricchi del mondo. Quanto hanno contato i suoi legami con uomini politici, sia in Francia che nel continente africano?
Il sostegno a Bolloré è venuto anzitutto dal mondo finanziario, in particolare da Antoine Bernheim e Claude Bebéar (fondatore del gruppo assicurativo Axa, ndr). Ma ha intessuto stretti legami con esponenti del vecchio capitalismo coloniale francese, cattolico e ultra-conservatore. In Africa ha contato l’appoggio di Michel Roussin, ex prefetto di Parigi molto vicino a Jacques Chirac, divenuto uno degli uomini chiave dell’impero Bolloré in Africa, dove ha stretti legami con i governi locali. La sua influenza è molto forte in Congo, Camerun e Costa d’Avorio, dove il gruppo controlla tutta la catena economica del Paese: piantagioni, casse di compensazioni agricole, stoccaggio, logistica portuale e ferroviaria.
Chi controlla Socfinal? Che rapporti ha Bolloré con Hubert Fabri?
Socfinal è una struttura complessa, ereditata dal gruppo Rivaud. Quest’ultimo ha diviso parte dei suoi attivi con interessi belgi, rappresentati dalla famiglia Fabri, che detiene circa un terzo del gruppo Rivaud. Bolloré ha delegato a Fabri una parte della gestione del gruppo e lo sfruttamento delle piantagioni. Molto prudente e attento alla sua immagine, Vincent Bolloré non vuole apparire in prima linea in questi settori, dove sa di poter essere attaccato. Ufficialmente è un’azionista di minoranza. Nei fatti il resto del capitale detenuto dai belgi è molto frammentato -Fabri ha formalmente solo il 15%- e una parte è quotata alla Borsa del Lussemburgo. Questo farebbe di Bolloré il primo azionista di fatto del complesso delle piantagioni.
Le strutture Geselfina, Two Sun, ecc, sono realtà create a partire dagli anni 60 dalle famiglie Rivaud e Fabri per sfuggire al fisco e creare patrimoni nascosti. Il Lussemburgo per loro era troppo “aperto”, così si sono spostati in Liechtenstein. Una parte delle strutture si sono estinte dopo la morte di alcuni rappresentanti della famiglia Rivaud. Altre esistono tuttora, tra cui quelle della famiglia Fabri.
Come legge le vicende di Bolloré in Italia? Qual è la sua strategia nel nostro Paese?
Bollorè arrivò in Italia quasi per caso. All’inizio voleva solo aiutare Bernheim, entrato in Mediobanca (azionista di maggioranza di Generali, ndr) come rappresentante di Lazard. Dopo l’esclusione di Bernheim da Generali, nel 1999, Bollorè decise di aiutarlo. Così lanciò un attacco su Mediobanca e su Lazard, diventando -nella prima- l’arbitro tra interessi italiani divergenti. Una posizione che gli ha permesso di riportare Bernheim ai vertici di Generali nel 2001, e di avere voce in capitolo nelle vicende economiche italiane. Sembra apprezzare molto i giochi attorno a Mediobanca, dove ha un’influenza ben più grande di quella che potrebbe avere in Francia.