Opinioni
Il declino della libertà di stampa
Turchia, Egitto, Italia. La pressione del potere politico ed economico sulla libertà di stampa è in crescita, nonostante la proliferazione di nuovi strumenti digitali. Che rischiano però di rappresentare solamente una forma di controllo e censura
Il direttore del quotidiano turco Cumhuriyet, Can Dündar, a inizio maggio è stato condannato a cinque anni e dieci mesi di prigione. Poco prima della sentenza -arrivata al termine di un controverso processo- gli erano stati sparati contro alcuni colpi di arma da fuoco, a Istanbul. “Nel giro di un paio d’ore ho fatto esperienza di due tentativi di assassinio: uno fatto con la pistola, l’altro giudiziario”, ha spiegato di fronte alla Corte, poco dopo il verdetto.
Con Dündar è stato condannato anche il giornalista Erdem Gül, caporedattore ad Ankara: cinque anni anche per lui. I due erano accusati di “rivelazione di segreti di Stato”: esattamente un anno prima avevano svelato il traffico di armi dirette verso la Siria (dietro petrolio), scatenando l’ira del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan (il quale aveva promesso che avrebbero “pagato un prezzo alto” per il loro “tradimento”, invocando l’ergastolo). “Le sentenze non ci ridurranno al silenzio. I proiettili non ci ridurranno al silenzio. Vogliono spaventarci, vogliono che smettiamo di parlare. Ma dobbiamo essere coraggiosi, nonostante tutto, e difendere la libertà di stampa e di informazione”. Il giorno successivo alle condanne turche, una corte egiziana ha indicato addirittura la condanna a morte per tre giornalisti, anch’essi accusati di violazione del segreto di Stato. Si tratta di Alaa Omar Sablan, Ibrahim Mohammed Helal -entrambi di al-Jazeera– e Asmaa al-Khateeb, del network Rassd. La decisione definitiva è attesa per il 18 giugno. I tre non si trovano nel Paese.
Leggeremo sui libri di storia la vicenda dei giornalisti turchi? Leggeremo della repressione della stampa nell’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi? Un giorno, forse, sì.
Oggi ci troviamo di fronte, in tutto il mondo, a un peggioramento della libertà di informazione. Un paradosso, nell’era della connessione totale e del tutto-gratis, certificato da Reporters sans frontieres (rsf.org): “Assistiamo a un profondo e preoccupante declino nel rispetto della libertà di stampa, sia a livello globale sia a livello regionale”. Il peggioramento negli ultimi 3 anni -nella statistica redatta ogni anno dall’organizzazione- è di oltre il 13%. “Le (molte) ragioni di questo declino includono le crescenti tendenze autoritarie dei governi di Paesi come la Turchia e l’Egitto, maggiori controlli governativi sui media statali -anche in alcuni Paesi europei, come la Polonia- e problematiche di sicurezza che aumentano -come in Libia e Burundi, o che sono completamente disastrose, come in Yemen”.
La sopravvivenza dell’informazione indipendente è sempre più precaria, e questo riguarda sia il settore pubblico sia quello privato. “Nel mondo, gli oligarchi comprano i media e vi esercitano pressione, che si somma a quella dei governi”. Governi che non esitano a intervenire direttamente sulle “infrastrutture” dell’informazione, interrompendo gli accessi a Internet, distruggendo equipaggiamenti e danneggiando tipografie. Le cose non migliorano dal punto di vista legislativo: aumenta il numero di leggi che attribuiscono ai giornalisti crimini come “insulto al Presidente”, “blasfemia” o “supporto al terrorismo”. Anche l’Italia peggiora, passando alla posizione 77 (su 180). Nel 2015 eravamo alla 73 (la classifica è guidata dalla Finlandia; le posizioni 179 e 180 sono occupate da Corea del Nord ed Eritrea).Un’imponente letteratura lega democrazia e libertà di stampa (nel nostro Paese tutelata dall’articolo 21 della Costituzione). L’una non può esistere senza l’altra. Il moltiplicarsi di vettori (post, tweet, sms, whatsapp, streaming) rischia di essere una forma di censura, un’occupazione di tempo. Ovvero uno strumento di controllo. Di certo, non garantisce quasi nulla sulla qualità dei contenuti. I quali rispondono solo al potere che prevale in un dato momento, date le circostanze: da una parte c’è il potere economico e politico, dall’altra c’è la sovranità popolare.
“Se la libertà di stampa significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuol sentirsi dire” ha scritto George Orwell.
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