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Il debito in busta paga
In tempo di crisi aumento il ricorso delle famiglie ai prestiti da restituire cedendo il quinto dello stipendio. Ma i tassi ci rendono ogni mese più poveri Cerco “Braccio di ferro” in una via sconosciuta della periferia a Nord di…
In tempo di crisi aumento il ricorso delle famiglie ai prestiti da restituire cedendo il quinto dello stipendio. Ma i tassi ci rendono ogni mese più poveri
Cerco “Braccio di ferro” in una via sconosciuta della periferia a Nord di Milano. “Fai come me, prendi la tua forza e conquista il tuo futuro” mi dice sorridendo -pipa tra i denti- dal volantino che un ragazzo svogliato e infreddolito mi ha dato, senza guardarmi, all’uscita della metropolitana. Fatto sta che ho bisogno di soldi -e non vi dirò perché- e il foglietto parla chiaro: “Finanziamenti a tutti, prestiti oltre 70mila euro, anche protestati e pignorati, preventivi gratis”. Prendo coraggio e vado. L’ingresso dell’agenzia è una porta anonima, senza manifesti e con un solo riferimento, che non è quello che trovi sul volantino, per lo meno non nelle sue parti più evidenti.
Entri lo stesso perché è l’unica al numero civico che cerchi. Non sarebbe l’orario d’ufficio, ma lo strappo alla regola sembra non disturbare più di tanto.
Ci sono altre tre persone in fila: due sono lì per chiedere di poter distribuire i volantini alle fermate delle metropolitane. Non c’è Braccio di ferro, ma un’impiegata che ripete loro che devono tornare un altro giorno. Insistono, o perché non capiscono o perché proprio ne hanno bisogno. Un altro signore, vestito in maniera improbabile e veramente trasandata, è venuto come me per chiedere un prestito: risolve tutto in qualche minuto, fissa un nuovo appuntamento e se ne va. È il mio turno.
Dietro la maschera di Braccio di ferro. La ragazza -forse precaria anche lei- è molto professionale, il vestito elegante, ma non sfarzoso, parla sottovoce e mi chiede subito nome, numero di telefono e un documento. Sembra competente, ma non entra mai nel dettaglio. Non usa tecnicismi, ma sembra farvi cenno ogni volta. Ti vuole dare la sensazione di saperne, ma senza imbarazzarti. Perché chiedere soldi in prestito è sempre imbarazzante. E la vergogna fa parte del business. M’illustra le opportunità, ma non sollecita il prestito in nessuna maniera, solo riempie l’anagrafica e mi fissa l’appuntamento. E mi ripete che comunque la cosa non avrà alcuna conseguenza perché loro “a differenza delle altre finanziarie non inseriscono in centrale rischi la richiesta”. Nessuno saprà che sei stato lì, se non tu e il tuo consulente. Nemmeno le interessa sapere per cosa userò il denaro che sto chiedendo, e ripromette di darmi una risposta entro 24 ore, anche se la consulenza è almeno dopo sette giorni. Segno che c’è gente.
Braccio di ferro è in realtà l’ufficio milanese della società Intergroup di Torino, un mediatore creditizio di un’altra società, la Coges di Rimini, che è alla fine quella che mette i soldi (prendendoli a sua volta in prestito da una banca). E poi si prende gli interessi sul prestito. I soldi girano.
Tra le opportunità che mi offre, c’è la cosiddetta “Cessione del quinto”, un meccanismo attraverso il quale un prestito viene ripagato attraverso la restituzione vincolata del 20% della busta paga (o della pensione) alla società creditrice. Il cliente non deve quasi far niente, tutto avviene tra l’ufficio del personale e la finanziaria. Un meccanismo evidentemente efficace, visto che nel 2009 i prestiti con la cessione del quinto sono aumentati del 30,8% sull’anno precedente, dimostrandosi gli strumenti più dinamici del mercato (assieme alle carte revolving, quelle che prevedono il rimborso rateizzato e non solo dilazionato); un meccanismo rischioso, però, anche perché chi materialmente allunga le banconote verso il cliente non è quasi mai -come nel caso di Braccio di ferro- quello che lo ha agganciato con la relazione più decisiva. In Italia sono censiti infatti quasi 102mila cosiddetti “mediatori creditizi”, che nascono e muoiono nel giro di una stagione, soprattutto nelle metropoli. La presenza di questi soggetti, non qualificati e non vigilati, è un problema per la trasparenza e l’efficienza del mercato del credito al consumo. Nei fatti chiunque abbia una certa dose d’intraprendenza -o di sventatezza, che comunque serve- può fare un accordo con un intermediario autorizzato (di quelli regolarmente iscritti negli albi previsti dall’articolo 106 del testo unico in materia bancaria), stampare improbabili volantini e piazzarsi davanti alle fermate dei tram o alle uscite delle stazioni e allungare così la catena distributiva del credito. Ecco che cosa scrive in merito la Banca d’Italia in un rapporto del novembre 2009 (firmato da Mario Draghi): “Nel settore della concessione di finanziamenti contro cessione del quinto dello stipendio o della pensione, (…) sono state rinvenute (…) numerose anomalie che comportano, tra l’altro, un incremento di costi per la clientela. Dagli approfondimenti svolti, è emerso che tale circostanza è riconducibile a: a) non generalizzato rispetto delle regole e dei principi di trasparenza e correttezza nei rapporti con la clientela; b) catena distributiva molto ‘lunga’ alla quale sono riconducibili, oltre agli elevati costi di vendita, con conseguenti aggravi a carico del prenditore dei fondi, rischi operativi e reputazionali per i finanziatori; c) rilevante incidenza, sul costo complessivo a carico del cliente, delle polizze assicurative richieste per legge; d) diffuse carenze nei controlli sulla rete di vendita”.
E ancora: “Disattendendo le previsioni legislative in materia (…), viene frequentemente concesso il rinnovo di finanziamenti contro cessione del quinto dello stipendio/pensione prima che siano decorsi i due quinti della durata degli stessi fissata per legge. Tale prassi comporta una lievitazione del costo complessivo del finanziamento”.
Il quinto comandamento di Banco Posta. Un altro volantino attira la mia attenzione: questa volta è firmato niente meno che dalle Poste italiane. L’impiegata che mi accoglie nell’ufficio, ricavato con un vetro sottile al fianco della fila degli anziani che pagano le bollette, è informale e familiare. Anche a lei chiedo i soldi che mi servono. Lungi dal lavorare sulla mia “educazione finanziaria”, la signora cerca in ogni modo di tenere basso il livello della mia consapevolezza, dispiegando una strategia che probabilmente ha imparato qualche mese prima in un corso di quelli full immersion.
I gesti veloci della penna sul foglio e delle mani in aria, assieme al tono potente della parlata, servono a far scivolare via gli argomenti ogni volta che se ne avvicina uno potenzialmente spinoso. Che questo abbia a che fare con il tasso d’interesse o con le modalità di restituzione, o peggio ancora con le conseguenze del mancato rientro del prestito. Nemmeno lei mi chiede per cosa userò il denaro e celebra il mito del tasso d’interesse, abbassando le percentuali di quel che devo e alzandole per quel che riceverei, senza mai specificarne la natura (eppure i tassi sono tanti ed ognuno ha le sue caratteristiche, vedi box). E poi si ferma, come se avesse voluto dare un saggio gratuito del suo potenziale, e mi chiede una fotocopia dell’ultima busta paga o di qualcosa che ne sia paragonabile.
Ed ecco l’offerta esattamente tagliata sul mio profilo, quasi come se in quell’ufficio lì non avessero mai fatto altro che pensare a quando saresi entrato: il prestito a fronte del quinto dello stipendio. “Sei titubante perché hai già all’attivo un finanziamento?”, mi chiede l’impiegata. “Posso tranquillizzarti dicendoti che tutto ciò non è importante al fine di ottenere un prestito tramite questa modalità. La cessione del quinto non richiede, mai, la presenza di ulteriori garanzie. La busta paga da sola è sufficiente e ti permetterà di accedere, in modo veloce e sicuro, alla liquidità voluta. Inoltre, nel caso avessi bisogno nei prossimi mesi di una cifra particolarmente consistente possiamo prevedere una delega di pagamento, una formula che dà la possibilità di giocare su una rata mensile superiore al 20%. E richiedere l’attivazione delle pratiche è semplicissimo”.
Così facendo, da quando è stato lanciato il prodotto, nell’aprile 2009, Poste italiane ha conquistato 7.600 clienti, prevalentemente pensionati Inps ed Inpdap, per un ammontare medio del finanziamento di circa 10.500 euro e un totale di circa 80 milioni di euro.
Un futuro segnato dalla povertà. La cessione del quinto è l’ultima scoperta del settore del credito al consumo: produce un ammontare delle consistenze di circa 9,8 miliardi di euro, il 2,6% del totale nazionale del debito delle famiglie italiane. Che continua a crescere e negli ultimi sette anni ha prodotto un +137%, nonostante la piccola flessione del 2009. L’Italia del 2010 ha quasi un terzo delle famiglie indebitato (il 26%) e un quinto di queste lo è su più fronti (il 21%). Un numero destinato a crescere, visto che il recente rapporto della “Commissione d’indagine sull’esclusione sociale” (un organismo governativo ed intereuropeo) avvisa che l’area del disagio sociale si sta pian piano allargando: ai quasi 19 milioni di persone che si trovano in una condizione di “acuta deprivazione materiale e di profondo disagio sociale”, andrebbero aggiunti gli oltre 1,8 milioni di “famiglie giovani gravate dal mutuo per la casa”, formalmente classificabili tra i redditi “medio-alti”. “Famiglie -sostiene il presidente della commissione Marco Revelli nella relazione- teoricamente distanti dalla soglia di povertà relativa e anche da quella di ‘quasi-povertà’, ma di fatto esposte a fattori di disagio gravi che ne assimilano gli stati d’animo e i comportamenti alle aree socialmente più penalizzate”. Se guardate a questa massa di persone con gli occhi di una banca o di una impresa del credito non potrete che vederci un enorme “parco buoi” (la definizione è degli operatori di Borsa milanesi, non certo nostra) ricco di enormi potenzialità commerciali: il 56,5% di queste famiglie dichiara di arrivare “con qualche difficoltà” alla fine del mese e che il 54% non è riuscita a risparmiare (salvo, ovviamente, che per quel che serve al mutuo), e sarà probabilmente presto costretta ad intaccare il patrimonio.
Il rapporto della Commissione sull’esclusione sociale enfatizza infatti la vulnerabilità di “una quota non trascurabile di famiglie indebitate’’: negli ultimi 12 mesi hanno già sperimentato una situazione di “tensione finanziaria” (hanno avuto cioè forti difficoltà a far fronte ai pagamenti) circa il 18% delle famiglie con mutuo, il 23,3% di quelle con prestiti personali e il 36,5% di quelle che hanno ceduto il quinto dello stipendio o della pensione.
Tuttavia, sono sempre di più gli italiani che chiedono soldi e sopravvalutano le loro possibilità di restituzione del prestito o semplicemente non controllano l’esposizione: “Si convincono che le rate siano da valutare solo nel loro impatto singolo e non nella somma complessiva delle spese -ci dicono allo Sportello per l’eccessivo indebitamento voluto dal Comune di Venezia per l’alfabetizzazione finanziaria delle famiglie residenti in provincia e gestito da MagVenezia-. Il problema è che a questo si somma lo straconosciuto comportamento al limite della correttezza delle finanziarie e la novità della complementarietà del debito:
è raro, infatti, che vengano da noi famiglie con meno di 4 o 5 prestiti personali, 3 o 4 carte revolving e mutui sulla casa o cessioni del quinto”. Allo sportello ascoltano le persone in difficoltà, ricompongono il quadro del loro debito complessivo e intervengono con consulenze di ristrutturazione o -nei casi più gravi- con iniezioni di solidarietà che permettono il più delle volte di non sconfinare nell’illegalità.
A un passo dall’usura. Perché è su questa linea di demarcazione che interviene l’usura. “Un problema enorme e molto più complesso di quanto appaia a leggere i giornali o a seguire i dibattiti” ci spiega Maurizio Fiasco, sociologo e consulente delle fondazioni antiusura. Che ricorda il ruolo delle banche: “In realtà -sostiene Fiasco- l’accusa formulabile alle banche sta proprio nell’omissione. Non prendono in considerazione quella che alcuni chiamano l’usura normale, che non nasce dalla scorretta gestione di un debito, ma da una situazione di bilancio deficitaria. Se una famiglia con due stipendi, uno dedicato alla gestione corrente ed il secondo alle rate dell’investimento, affronta un momento di difficoltà, ecco che s’innesca la spirale del debito. Le rate dell’investimento irrisolte vengono ‘post-tergate’, spostate a fine prestito, ma la legge sull’usura non regolamenta gli interessi di mora, che quindi salgono a cifre vertiginose. Cifre che spesso vengono prestate da soggetti diversi dalle banche e che aprono la strada al fenomeno usuraio”. Che è normale quindi, anzi accogliente.
Più mutui per tutti
Nel 2009, secondo dati della Banca d’Italia elaborati dall’Abi, il 62,8% dei debiti contratti dalle famiglie italiane riguardava un credito di lungo periodo -in genere i mutui, che assommano quasi 240 miliardi di euro-. Altre forme di finanziamento scelte dagli italiani sono il credito sul consumo immediato (l’11,2%, per 42,7 miliardi di euro), prestiti non finalizzati (il 10,3%, per 39,4 miliardi), una o più carte revolving (il 4,6%, vedi Ae 90). La cessione del quinto dello stipendio vale il 2,6% del mercato, per 9,8 miliardi di euro.
L’Italia, tra i Paesi europei, è uno di quelli a minore indebitamento delle famiglie (il 57% del reddito disponibile), dato che emerge se comparato con realtà come Francia (l’80%) o Germania (il 92%).
I finanziamenti per l’acquisto dell’auto occupano circa un terzo delle operazioni di credito al consumo, ma stiamo assistendo a un crescente processo di de-finalizzazione di tale forma di credito.
Le sorprese del tasso
Le regole di rilevazione e misurazione dei tassi sono state riviste nell’agosto del 2009 da Banca d’Italia, che ha introdotto nel loro conteggio anche tutte quelle spese che chi prende soldi in prestito sostiene, ma che erano escluse dal computo dei tassi medi. Stiamo parlando di polizze assicurative obbligatorie, dei tanti passaggi di mediazione e consulenza, di commissioni per il massimo scoperto, e di tutte quelle spese che distinguono il “Tan” (tasso annuo netto) dal “Taeg” (il tasso annuo effettivo globale). Con la nuova metodologia il concetto di Taeg è stato molto avvicinato a quello di tasso effettivo globale medio (“Tegm”), che indica il valore medio effettivamente applicato dal sistema a categorie omogenee di operazioni creditizie nel secondo trimestre precedente. In sostanza il costo del credito è ora decisamente più chiaro. E assai più alto di quanto potesse apparire: i prestiti personali sono passati dal 9,77% al 12,53% (+28%). Stesso aumento per la cessione del quinto, passata da 12,04% a 15,43%. Inoltre, alcune voci prima non registrate, come gli scoperti di conto corrente non autorizzati, hanno un costo medio vicino al venti per cento (19,96).