Ambiente / Opinioni
Il consumo di suolo e la transizione ecologica all’indietro
La perdita di biodiversità e l’erosione delle risorse naturali incidono sulla spesa pubblica. Stiamo indebitando le future generazioni. La rubrica del prof. Paolo Pileri
Sono mesi di gran confusione. C’è chi annuncia la transizione ecologica, chi continua con il consumo di suolo. A Cremona 30 ettari agricoli sono pronti a sparire di colpo per l’ennesimo maxi-polo logistico; a Milano il neosindaco verde festeggia la sua svolta green consumando suolo persino nei piccoli giardini pubblici (in piazza Piola). A Bergamo si inaugura il bosco della memoria per le vittime del Covid-19, con un Comune che darà il via alla cementificazione del Parco Ovest 2, ultimo varco ecologico tra pianura e Prealpi. A Melegnano temono l’asfalto di un colosso delle patatine. A Faenza c’è una petizione per fermare 12 villette al posto del parco di Villa Ghilana.
Nel profondo Oltrepo pavese annunciano un devastante mondiale di enduro tra colline, vigneti e boschi, quando un attimo prima erano in coda a supplicare finanziamenti perchè sono un’area interna, fragile e da tutelare. Ad Abbiategrasso, a un passo da Cassinetta di Lugagnano, dove si iniziò a discutere di zero consumo di suolo, sono pronti a cementificare un’area immensa. A Tivoli, alle porte di Roma, è in arrivo un’altra area logistica. Evviva la transizione ecologica dei gamberi: tutta all’indietro. Chi governa sembra dare prova di essere quel che dice la Fao (“Soil biodiversity”, dicembre 2020): “La nostra completa ignoranza sulla biodiversità dei suoli urbani è una minaccia ben maggiore della stessa urbanizzazione” (p. 201). Anche l’Agenzia ambientale europea parla di (insostenibili) lacune conoscitive sul suolo (“Segnali Eea 2019”, p. 8).
17 miliardi: quanto bruceremo durante i sei anni del Recovery Fund se non fermiamo ora il consumo di suolo. Uno spreco pari all’8,6% dei 196,5 miliardi o, peggio, il 23% del budget per la transizione ecologica
E dire che glielo spiegano in tutti i modi: rapporti scritti facile, video, libri, articoli, cartoni animati, interviste, teatro. Niente, è più forte di loro: quando governano si dimenticano suolo e biodiversità e aprono la porta al cemento. Propongo un test di ammissione sul suolo a chi vuole fare politica. Proviamo allora a prenderli per il portafoglio e mostriamo due conti sul danno che l’ignoranza fa alle prossime generazioni. Prendiamo lo stesso periodo di riferimento in cui dobbiamo spendere i finanziamenti del Recovery Fund: 2021-2026. Prendiamo i valori finanziari del “Rapporto Ispra 2020” (p. 180). Se si consuma suolo al trend attuale (due metri quadrati al secondo), solo tra 2021 e 2026 accumuleremo una spesa pubblica figurativa pari a 17 miliardi di euro, ovvero l’8,6% dei 196,5 miliardi che ci dà l’Unione europea. Cioè, mentre incassiamo con una mano, con l’altra accumuliamo debiti sottoforma di perdita di servizi ecosistemici del suolo.
A questi miliardi di spesa pubblica per consumo di suolo vanno aggiunti quelli per il degrado delle altre risorse come acqua, aria, biodiversità. Quell’8,6% potrebbe diventare magari il 15% o il 25% o anche il 60%. Qual è allora il senso di fare un Pnrr senza prima avere il coraggio di fermare questo maledetto treno in corsa che sta devastando l’ambiente del Paese con la complicità di parte di sindaci, governanti e forze economiche? Quando arriveremo al 2026 saranno finiti i finanziamenti Ue, ma avremo lasciato alle future generazioni i debiti del consumo di suolo e dell’abuso delle altre risorse, fatti in quei sei anni.
Debiti che rimarranno e cresceranno anche dopo il 2026. Altro che piano di ripresa, qui o si cambia o si riprende ad affogare. Non si può essere verdi e neri allo stesso tempo. Introdurre iniziative verdi (spesso neppur ecologiche) e nel frattempo tenere in splendida forma i mostri grigi che si mangiano tutto, equivale a investire molto meno di quanto annunciato. Non possiamo permettercelo.
Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “100 parole per salvare il suolo” (Altreconomia, 2018)
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