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Ambiente

Il clima post-Durban. Il gioco del disimpegno

Prima il Canada, poi l’India. In pochi giorni, finita la parata di Durban, c’è chi parte e chi indietreggia. Il clima è troppo "bene comune" per poter avere la priorità sugli appetiti privati o di parte. Le sabbie bituminose e l’indipendenza energetica per il Canada, e la crescita vorticosa e l’emancipazione dal sottosviluppo per l’India, sono due esempi di come la lotta per un diverso modello di società sia ancora lunga e molto impegnativa.

E’ passato oramai quasi un mese dalla fine della COP17 di Durban e le posizioni dei vari Paesi cominciano a definirsi. Il Canada, come già ampiamente anticipato, ha veleggiato lontano dai lidi di Kyoto. E non solo per questioni di bassa politica, ma perchè una parte del Canada galleggia su quasi duemila miliardi di barili di petrolio sotto forma di sabbie bituminose.
L’estrazione dell’oro nero dalle sabbie è estremamente inquinante, perchè rilascia CO2 fino a cinque volte rispetto all’estrazione di petrolio convenzionale. Per non parlare delle sostanze chimiche che verranno rilasciate, in modo continuativo, nell’ambiente.
Per un Paese che se ne va ce n’è uno che ritratta. Il Governo indiano ha assicurato che non firmerà nessun accordo legalmente vincolante per ridurre le proprie emissioni di gas climalteranti che possa condizionare le proprie prospettive di crescita e di sviluppo. L’impegno del Governo è seguito alle posizioni prese dal Ministro all’ambiente Jayanthi Natarajan alla Conferenza delle Parti di Durban dello scorso dicembre.
Rispondendo alle preoccupazioni del leader dell’opposizione Arun Jaitley, la Ministro ha chiarito come "non è all’ordine del giorno la firma ad alcun accordi legalmente vincolante a questo punto del nostro sviluppo. Vogliamo essere sicuri che il nostro sviluppo non ne risenta".
Il punto sollevato dal partito di opposizione si riferisce al documento approvato a Durban dove si chiarisce la necessità di raggiungere un "agreed outcome with legal force" (un risultato concordato con forza legale), una perifrasi diplomatica che lascia spazio a molte interpretazioni e, di conseguenza, a molte preoccupazioni.
Il Ministro Natarajan ha poi aggiunto che le emissioni indiane tenderanno a crescere per "assicurare il nostro sviluppo economico e sociale e affrontare l’imperativo dello sradicamento della povertà". E il concetto di "responsabilità storica e differenziata" per cui i Paesi emergenti, anche l’India e la Cina, non hanno obblighi di riduzione. A differenza di quelli industrializzati che, grazie al Protocollo di Kyoto ed al suo secondo periodo di impegni approvato a Durban, dovranno tagliare le loro emissioni. Di quanto? Non è dato saperlo, visto che i prossimi appuntamenti saranno il marzo 2012, per definire i numeri, ed il dicembre 2012 in Qatar per renderli (forse) applicabili.
Ma in ogni caso, come spiega la Ministra "è stato dato un periodo di cinque anni (fino al 2017) ai Paesi aderenti al Protocollo di Kyoto per la ratifica degli obiettivi e dei limiti di emissione". Insomma, aspetteremo ancora cinque anni prima di capire se arriveremo sopra o sotto i 2°C di aumento di temperatura globale. Alla faccia delle prossime generazioni.
 
Le sabbie bituminose in Canada: le immagini tratte dal documentario Petropolis

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