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Idee eretiche – Ae 70
Il Parlamento è il luogo della conta. O fai parte di una corrente forte o sei di contorno. E noi, con i nostri temi, siamo ancora minoranza. Per questo bisogna privilegiare il lavoro con la gente. Questa è la nostra…
Il Parlamento è il luogo della conta. O fai parte di una corrente forte o sei di contorno.
E noi, con i nostri temi, siamo ancora minoranza. Per questo bisogna privilegiare il lavoro con la gente. Questa è la nostra forza
Si avvicinano le elezioni e torna il dibattito sui rapporti con la politica istituzionale. Tempo fa un amico mi ha scritto: “Qualcuno di noi dovrebbe candidarsi alle prossime elezioni per fare arrivare al centro della politica i temi a noi cari: risparmio energetico, nuovi stili di vita, decrescita, sobrietà”. Cinque anni fa un altro amico mi comunicò la sua candidatura con una battuta: “Che ne diresti se un lillipuziano entrasse in Senato?”. Il lillipuzziano ci entrò davvero, ma non si sono visti parlamentari convertiti ai nostri temi, né leggi per un’ economia equa e sostenibile.
Se l’amico senatore mi leggesse si arrabbierebbe: “Come poteva essere altrimenti con una maggioranza di centrodestra?”. Ma temo che il risultato non sarebbe molto diverso neanche con una maggioranza di centrosinistra. Il fatto è che siamo ancora una minoranza troppo esigua per giocare un ruolo incisivo dentro al palazzo. Purtroppo il Parlamento non è quel luogo idilliaco in cui si dialoga per cercare delle soluzioni ragionate ai problemi della comunità nazionale e internazionale.
Il Parlamento è il luogo della conta. È la casa in cui la maggioranza suggella le decisioni prese altrove. Perciò o fai parte di una corrente forte o sei di contorno. Non servi a niente, anche se hai la migliore parlantina e le migliori argomentazioni del mondo. Purtroppo le nostre posizioni sono ancora poco condivise. Per cui potremmo ottenere, fra il sì e il no, un eletto che non riuscirebbe ad illuminare il Parlamento con le sue idee, ma al contrario rischierebbe di essere inghiottito
e trasformato in uno dei tanti pigia-bottoni che in cambio di uno stipendio da capogiro vota leggi e provvedimenti decisi dalle segreterie dei grandi partiti secondo logiche di equilibrio e di potere. Con questo non voglio dire che non dovremo entrare mai in Parlamento. Dovremo solo aspettare di essere più forti, ossia più radicati fra la gente. Ecco perché dobbiamo ancora privilegiare il lavoro
di semina. Le strategie a nostra disposizione sono l’informazione, le campagne, le mobiltazioni, la sperimentazione, il confronto con parlamentari, partiti e sindacati. In questa prospettiva non è da escludere neanche l’ingresso nelle istituzioni, ma solo quelle di carattere locale. Gli enti locali sono le strutture più a diretto contatto con la gente e se vogliono possono giocare un grande ruolo educativo.
L’importante è che facciano scelte coraggiose in settori come la partecipazione, l’energia, i beni comuni, il consumo critico, il traffico, i rifiuti, l’economia sociale, la solidarietà collettiva. So che le cose non sono facili neanche al livello locale, perché bisogna fare i conti con i vincoli normativi e con le ristrettezze di bilancio.
Ma gli ostacoli più seri stanno nella nostra testa. Ci adagiamo nel solco della mediocrità per indolenza, poca immaginazione, scarso spirito critico.
Ho in mente tanti amici di sinistra, sindaci e assessori, che svolgono il loro compito con rigore. Ma è il rigore dei bravi contabili, non dei politici che sanno scrutare il segno dei tempi. Si concentrano sui soldi e dimenticano che la vera forza di una comunità è la gente. Di questa verità ci rendiamo conto nella catastrofe.
In caso di terremoto, o di inondazione, le popolazioni che hanno un forte senso comunitario ce la fanno meglio di quelle dominate dall’individualismo. Tutti ci auguriamo di evitare le catastrofi, ma abbiamo un appuntamento con la sobrietà e l’unico modo per vivere bene con meno è di ridimensionare il ruolo del denaro e rivalutare quello della gente.
È urgente ricreare il senso di comunità e i sindaci possono fare molto per questo. Ma devono passare dalla logica degli amministratori a quella degli animatori.
Non sindaci contabili, ma sindaci politici che trasformano i loro Comuni in laboratori di aggregazione sociale, di consumo locale, di sostenibilità energetica, di condomini conviviali, di forme dirette di solidarietà collettiva. Questa è la vera modernità.