Interni
I sentieri dell’emancipazione
Da vittima della tratta ad animatrice di comunità per giovani schiave liberate. La storia di Isoke Aikpitanyi, a luglio protagonista ad “Ole”
Fino a centomila euro. A tanto ammonta il “debito” che ciascuna delle vittime del racket della prostituzione deve pagare ai trafficanti. In cambio, la falsa promessa della libertà. Mercanti di schiave, sfruttatori, carcerieri: ne portano via a decine dai Paese d’origine, con la promessa di un posto migliore nel mondo. Con il miraggio di un lavoro altrove e lo spettro della miseria per sempre alle spalle: finiscono nella tratta delle schiave del sesso, prigioniere di un meccanismo dal quale, molte volte, riescono a uscire solo togliendosi la vita o venendo uccise. Ha anche assistito alla morte di un’amica, Isoke Aikpitanyi: aveva vent’anni quando è stata portata via dalla Nigeria. Paese tra i più ricchi di tutto il continente africano (è il più grande produttore di petrolio, con oltre 2 milioni di barili al giorno), ma “Paese di giovani senza speranze per il futuro” racconta Isoke, prima tenuta prigioniera in un appartamento londinese, assieme ad altre ragazze nella sua stessa situazione, poi venduta e messa su un treno diretto a Torino. Qui è stata costretta a prostituirsi per alcuni anni, subendo violenze di ogni tipo. “Appena arrivata in Italia ho capito subito che mi avrebbero buttata in strada -racconta-. Ho cercato invano aiuto, anche quando mi sono rivolta a servizi e istituzioni. Ho continuato a cercare una via d’uscita, poi dopo la morte di mia madre in Nigeria mi sono convinta che la mia famiglia non poteva correre più alcun pericolo, per cui ho detto basta: ho affrontato i miei aguzzini. Mi hanno quasi uccisa, ma dentro sono rimasta viva”. Isoke racconta un vero e proprio sistema criminale transnazionale: è stata la stessa organizzazione a fornirle i documenti falsi con cui è potuta arrivare in Europa. I criminali che gestiscono la tratta si avvalgono anche di una fitta rete di connivenze e funzionari corrotti. Anche per questa ragione è estremamente difficile che le ragazze riescano a denunciare i loro sfruttatori e a uscire dal giro. Per la tratta e nella tratta si muore, ci si ammala, si finisce nel traffico di organi, di droga, di armi: si diventa merce, disponibile ed esposta ad essere venduta e comprata, in ogni momento.
La sua è una storia di rinascita e riscatto sociale: “Vorrei dire che sono tornata alla vita normale, ma non è vero; dal 2000, anno in cui arrivai in Italia, ad oggi sono sempre dentro alla tratta. Prima come vittima, oggi col mio progetto”. Per essere riuscita a salvarsi e per il suo impegno Isoke ha subìto e subisce tutt’ora minacce: ha fondato e gestisce quattro comunità che si occupano di assistenza e reinserimento sociale delle giovani che riescono a sfuggire all’inferno. Hanno sede in Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria; le ospiti hanno tra i 20 e i 23 anni.
Governo e istituzioni, racconta, “fanno molto, finanziano progetti e interventi. Purtroppo non basta perché il fenomeno esiste da vent’anni e i risultati sono stati pochi. Poi si fa confusione: è vero che tante grazie alle ultime leggi in materia sono uscite dalla clandestinità ma questo non vuol dire uscire dalla tratta, che è cosa ben più complicata”. Gruppi criminali locali e stranieri collaborano e generano un’organizzazione in cui anche le vittime diventano carnefici: vengono concessi sconti e viene offerto loro denaro in cambio di altre vite da reclutare. Isoke lo descrive bene nel suo libro autobiografico “Le ragazze di Benin City” (Melampo, 2007).
Della sua esperienza e del suo impegno racconterà anche a “Otranto Legality Experience 2012”, in programma per il terzo anno consecutivo a Lecce e Otranto (Le) dal 16 al 29 luglio prossimi (flarenetwork.org/act/ole_2012, vedi box). Ole giunge quest’anno alla terza edizione, e Isoke è tra gli ospiti di maggior rilievo. Quasi 33 anni, non ci sta però a vestire per sempre i panni della vittima: “Vorrei avere un lavoro, una famiglia, dei figli”, dice. Sogna anche di sposare il suo compagno Claudio, l’uomo che l’ha aiutata a uscire dall’incubo.
Fa fatica però a trovare un lavoro che le consenta di vivere decentemente: un paradosso, visto anche il suo impegno verso quelle che definisce “le mie sorelle”.
Isoke gestisce da sola e si fa carico di tutte le spese necessarie per mandare avanti le sue “Case”. Durezze della vita, quelle del passato, queste difficoltà attuali lasciano l’amaro in bocca in fondo a questa sua storia: “Quando sei vittima della tratta la solidarietà a parole e la pietà travestita da condivisione della lotta -dice- sono nemici peggiori dei trafficanti”. —