Ambiente
I roghi di mangiano la terra
I fuochi illuminano le notti tra Napoli e Caserta: vanno in fumo tonnellate di rifiuti speciali, che ammorbano l’aria e provocano tumori — testo di antonio fico, foto di Mauro Pagnano
“Oggi pomeriggio verso le 18:30 si contavano almeno 5 colonne di fumo nero soltanto sulla strada che da Giugliano porta a Mondragone. Purtroppo anche questa sera i roghi continuano e un’atmosfera ovattata avvolge numerosi centri abitati tra le province di Napoli e Caserta”. “Anche stasera puzza di rifiuti date alle fiamme nel giuglianese a Nord di Napoli… da vomito!”. “Ogni giorno la stessa storia, e c’è qualcuno che dice che i roghi sono diminuiti”. Seconda settimana di giugno. Sullo schermo di Angelo Ferrillo, il blogger di Villaricca (Na) animatore del sito Terra dei fuochi (www.laterradeifuochi.it) e ricercatore universitario (borsa di studio negli Stati Uniti), segnalazioni di questo tipo corredate di foto e filmati arrivano ogni giorno da 42 Comuni diversi dell’hinterland. Tra i primi in Campania a seguire il fenomeno dei roghi tossici, Ferrillo non crede alle statistiche ufficiali diffuse da Donato Cafagna, il Prefetto incaricato nel novembre del 2012 dal ministero dell’Interno di far fronte al record di incendi del 2012 (ben 3.500, con un picco durante i mesi estivi). I dati del Prefetto, costruiti sulla base degli interventi dei Vigili del fuoco, descrivono una situazione in netto miglioramento, con una riduzione dei roghi a 640 accertati nei primi cinque mesi del 2013, rispetto ai 1.248 dell’anno scorso. “Forse gli interventi dei pompieri sono in calo, ma quello che vediamo ogni giorno è una storia diversa -dice Ferrillo-. E quando cala il buio è anche peggio, si scatena l’inferno. Basta percorrere di notte l’Asse mediano che collega Nola (Na) a Villaliterno (Caserta) o la statale vesuviana, per capire”.
Nuova strategia. Lucio Iavarone, portavoce del Coordinamento Terra dei Fuochi (coordinamentocomitatifuochi.org) che raccoglie una cinquantina di associazioni locali, è più esplicito: “Nonostante il buon lavoro svolto dal Prefetto, la riduzione dei maxi-roghi tossici segna un cambio di strategia. Si brucia di notte, e soprattutto si fanno tanti piccoli roghi per non attirare l’attenzione. Ti accorgi dell’incendio solo quando ci finisci dentro”. Verso sera, percorrendo l’asse mediano da Villaliterno a velocità sostenuta, un odore acre di rifiuto in combustione assale la gola, e mette a dura prova gli occhi. Non c’è traccia di fumo intorno, solo chilometri di terra fertile a tratti ordinata e ben coltivata, e “scarichi” di monnezza, che assediano viottoli, crocicchi, arterie di collegamento, appena fuori dai centri abitati. Interi cumuli abbandonati.
Monnezza-land. Lasciato l’Asse mediano, i primi resti di roghi li troviamo nei pressi di una vecchia discarica, a San Pancrazio, nel comune di Orta di Atella (Ce). Pneumatici, residui della lavorazione delle scarpe, stracci, pellami, sopratetti di amianto, teloni agricoli, che nella combustione liberano diossine pericolosissime, accanto a bellissimi frutteti di albicocche e pesche. Dove sono i contadini? “O hanno paura, o credono che tutto quello che brucia oltre la staccionata non li riguardi, anche se per fortuna anche tra i coltivatori, la mentalità sta cambiando” spiega Enzo Tosti, una delle sentinelle del Coordinamento di Terra dei Fuochi.
Intanto, ogni notte la terra brucia. Chi inquina, non vuole lasciare tracce. Nei cumuli di rifiuti ci sono abbastanza indizi per ricostruire la complessa geografia economica e industriale di un posto. I grandi traffici dei Casalesi e dei Belforte dal Nord industrializzato al Sud agricolo, hanno aperto la strada -fa notare Tosti- a migliaia di aziende in nero, a un’intera economia sommersa. Ossessionati durante l’emergenza rifiuti dalla spazzatura urbana, i campani si stanno accorgendo ora che il vero problema è legato ai resti di un sistema industriale frammentato e in crisi, che non ha dato da queste parti né sviluppo né benessere.
La fabbrica dei roghi. “Ogni minuto in Campania vengono prodotte 5 tonnellate di rifiuto urbano, e da 6 a 12 tonnellate di rifiuto industriale, di cui almeno un terzo in regime di evasione fiscale e che quindi non può essere smaltito regolarmente”, avverte Antonio Marfella, l’oncologo che ha fatto del suo lavoro l’avamposto per la lotta al traffico di rifiuti. Due milioni di rifiuti l’anno che spariscono dalla contabilità delle aziende per finire in discariche comuni (la Campania non ha discariche adatte a quelli speciali) o ai margini delle strade di campagna. Tutta quest’area nota una volta per i calzaturifici e per le aziende tessili, fa i conti oggi con il toluene, un solvente tossico usato nella produzione di scarpe e che viene bruciato assieme alle altre sostanze. La Campania ha il primato di fabbriche non risultano al fisco e alla Guardia di finanza, nell’ambito della produzione mondiale di scarpe e borse griffate, sia vere che false: 3mila tonnellate al giorno di merci a nero, base di partenza per le scorie che alimentano i roghi. Lo sversamento illegale diventa un costume locale, entra nelle abitudini di chi lavora male e vive peggio. Così, accanto al rifiuto dell’opificio da sottoscala, finiscono anche i resti di una società di catering che non ha fatto in tempo a bruciare i suoi resti.
Tre lati, la stessa medaglia. Abusivismo edilizio, illegalità e disastro ambientale vanno di pari passo in luoghi cresciuti troppo in fretta per non perdere vocazione (agricola) e speranza. Spesso sotto lo sguardo compiacente degli amministratori locali. In via Viggiano, sotto un viadotto annerito dai continui incendi, rifiuti semi-bruciati attendono la prossima notte per finire in fumo. Le lastre di eternit in frantumi, liberano il loro pulviscolo di morte, sotto le ruote dei trattori dei contadini del posto. Siamo ormai a ridosso del centro abitato. A poche decine di metri, gli scheletri di abitazioni illegali poste sotto sequestro dalla magistratura, fanno la guardia inerti e con occhi vuoti. All’inizio di giugno, una maxi-operazione delle forze dell’ordine ha portato alla luce un intero rione abusivo di 1.440 appartamenti, cresciuto senza i servizi e sotto i tralicci dell’alta tensione, con la complicità di funzionari del Comune. Lo stesso impasto di malaffare e negligenza che ha visto crescere Orta alla velocità della luce, quasi raddoppiando la popolazione (da 15 a 25mila) in pochi anni e arricchendo i costruttori edili, permette di mandare in fumo tonnellate di rifiuti abbandonati ai margine delle strade. Enzo Tosti: “Lo abbiamo denunciato al Comune questo scempio, una, due, dieci volte, ma le segnalazioni cadono nel vuoto. Sa quale è stato il risultato? Che c’erano più luoghi di sversamento e più rifiuti di prima. Ci hanno fatto capire discretamente che l’ambiente non è una priorità”. Nei dieci punti programmatici dell’amministrazione guidata da Angelo Brancaccio, il politico che regna incontrastato da venti anni su Orta e che fu arrestato nel 2007 per alcune speculazioni edilizie, la parola “ambiente” non compare mai.
L’omertà delle istituzioni. Eppure l’ombra del disastro che avvolge l’intero triangolo dei veleni, arriva dai dati del distretto sanitario confinante a quello di Orta. Il lavoro certosino di un medico di base, Luigi Costanzo, strappa il velo di omertà che avvolge da troppi anni la sanità in Campania. Incrociando i dati, scopre che nei comuni di Frattamaggiore, Frattaminore, Casandrino, Grumo Nevano e Sant’Antimo, tra il 2008 e il 2012, i casi di codice 048 (Neoplasie) sono quadruplicati. A Castelvolturno è un colonnello in pensione -con l’aiuto di un legale- a ottenere i dati del proprio distretto: negli ultimi due anni, neoplasie in aumento del 56 per cento. Le altre Asl tacciono e il registro dei tumori proposto dalla Regione Campania è stato affossato dalla Corte Costituzionale per violazione del Patto di stabilità. Di fronte alle reticenze della propria Asl, quella che raccoglie tutti i Comuni a Nord di Napoli, Costanzo con altri 90 medici di base della cooperativa Golgi (cooperativagolgi.it) sta per lanciare un programma di rilevamento delle incidenze tumorali: “Gli archivi dei medici di famiglia -spiega- se messi in rete, possono dare dati e correlazioni a costo zero, utili a salvare la vita di molti pazienti”.
Terra di frontiera. “Da queste parti ogni famiglia ha un malato in casa o un morto da piangere. Il cimitero è pieno di bambini che il cancro si è portato via in questi anni maledetti”. La giovane Nunzia si ferma e prende fiato sulle scale della chiesa di San Paolo Apostolo. “Lo Stato come può permettere tutto questo?”. Siamo nel Parco verde, un agglomerato di fatiscenti e scolorite palazzine popolari a Caivano, comune limitrofo a quello di Orta. Questa è la parrocchia di Don Maurizio Patriciello, il parroco in prima linea che ha gridato alle autorità lo scandalo di un territorio che sta morendo di ignavia, prima ancora che di sversamenti illegali e di roghi di rifiuti tossici. Con l’aiuto del vescovo di Aversa, Don Maurizio cerca di serrare i ranghi della propria comunità contro la disperazione e l’impotenza. “Ma -spiega- l’azione di singoli non colma l’assenza della Regione e degli amministratori”.
Imprenditoria camorrista. Oltre alle proprie scorie, la Campania importa anche 300mila tonnellate l’anno di rifiuto industriale. Ufficialmente in modo legale, per alimentare le aziende che riciclano pneumatici o plastica. “Ma quello che accade è ben diverso -mette in guardia l’oncologo Marfella-. Il rifiuto pericoloso durante il viaggio perde questa connotazione e viene mischiato alla spazzatura comune. Le ditte di trasporto che speculano sui rifiuti sono le migliori, quelle che all’apparenza rispettano le leggi”. Peppe Ruggiero, giornalista e autore di “Biùtiful Cauntri”, il documentario che per primo ha svelato il disastro, chiarisce il paradosso: “La camorra ha subito negli ultimi anni una mutazione genetica: da camorra imprenditrice a imprenditoria camorrista. Dopo aver devastato il territorio, infiltra le imprese, assume una facciata di legalità. Non è un caso che il nuovo business dei clan sta nelle società di bonifica”.
È per questo che Enzo Tosti sogna per la sua Orta una riconversione dei terreni agricoli oggi coltivati a verdura e frutta, verso una coltura che in passato reggeva l’economia di questi posti come la canapa. “Ha qualità fito-depuranti e potrebbe alimentare una filiera corta in grado di generare sviluppo e sottrarre il territorio alla camorra”. Ma a parte qualche pacca sulla spalla, le istituzioni latitano.
Primo segnale. Le amministrazioni non vedono, le Asl non parlano, lo Stato non sente. I pochi sforzi profusi sul territorio, sono affidati ai magistrati e ai pochi uomini delle forze dell’ordine in un territorio ad alta densità camorristica. Il prefetto Cafagna si sta impegnando da mesi per far approvare il Patto di Terra dei Fuochi, il protocollo che dovrebbe favorire la cooperazione tra enti (la Regione Campania ha promesso 5 milioni di euro per la video-sorveglianza), e intanto intensifica i controlli su aziende ed esercizi commerciali, a cominciare dai cosiddetti “gommisti”: l’80 per cento dei pneumatici, secondo la Commissione parlamentare di inchiesta sui rifiuti, è smaltito per vie illegali e finisce per diventare il propellente di ogni rogo. Un primo segnale, anche se la sensazione è che senza un impegno straordinario delle istituzioni, i roghi non finiranno. —
La finestra va chiusa
Il rogo di fogliame e altri scarti agricoli è equiparabile, secondo il Codice dell’ambiente, all’incendio di rifiuti speciali, ma a quanto pare non lo era, fino a poche settimane fa, per i sindaci dei Comuni del nolano, in provincia di Napoli. Solo grazie alla pressione degli ecologisti del Forum per l’ambiente hanno fatto dietrofront: dopo aver concesso negli anni passati agli agricoltori locali -con ordinanze ad hoc- una finestra quotidiana di tre ore per incendiare gli scarti delle potature dei campi di nocciole, ora i sindaci di Sciciano, Saviano, Camposano, Comiziano, Roccarainola, Visciano, San Paolo Belsito e Nola, si sono impegnati a deliberare quanto prima il divieto assoluto di bruciamento di fogliame. “Le ordinanze anti-roghi dimostrano che battaglie per il diritto a vivere in un ambiente sano stanno raccogliendo i loro frutti”, commenta Gennaro Esposito, medico e rappresentante del Forum per l’ambiente.
Intanto, il sindaco di Roccarainola, Raffaele De Simone, fa sapere che acquisterà un bio-trituratore dal costo di 3mila euro, con il quale permetterà gratuitamente agli agricoltori di smaltire, riciclandoli, i residui vegetali della raccolta delle nocciole e di parchi e giardini. “In tal modo -spiega in una nota- si creerà un indotto che permetterà l’abbattimento dei costi della concimazione chimica dei terreni e un guadagno per l’amministrazione derivante dalla vendita di tali residui vegetali, che saranno conferiti in impianti di compostaggio aerobico”.
(Foto di Mauro Pagano)