Economia
I rifiuti van per mare – Ae 79
Una nave scarica residui tossici ad Abidjan, in Costa d’Avorio, causando un disastro sanitario e ambientale. Non è un caso isolato: nei mari dei Paesi in via di sviluppo naviga una flotta carica di veleni Le rotte dei rifiuti tossici…
Una nave scarica residui tossici ad Abidjan, in Costa d’Avorio, causando un disastro sanitario e ambientale. Non è un caso isolato: nei mari dei Paesi in via di sviluppo naviga una flotta carica di veleni
Le rotte dei rifiuti tossici vanno verso i Paesi in via di sviluppo. È la storia della Probo Koala (la nave che in agosto ha “scaricato” il suo carico velenoso ad Abidjan, in Costa d’Avorio, causando la morte di una decina di persone e l’intossicazione di migliaia) e delle sue gemelle, meno celebri ma potenzialmente altrettanto pericolose.
La Probo Koala batte bandiera panamense ed è condotta da un equipaggio russo. È stata noleggiata da una società specializzata nel trasporto di prodotti petroliferi e minerali, la Trafigura Beheer, che ha sede legale in Olanda. Dopo il disastro in Costa d’Avorio, a inizio ottobre la Probo Koala viene bloccata in Estonia, prima dai dimostranti di Greenpeace e poi dalle autorità portuali di Paldiski. A metà mese la situazione si sblocca e la nave può riprendere il largo. Un mese prima, a settembre, la Probo Emu, una delle gemelle, era stata avvistata nello Stretto di Gibilterra, a una ventina di miglia dalle coste spagnole. Greenpeace sospetta che la nave possa comprare nafta per raffinarla artigianalmente in alto mare come benzina economica e rivenderla poi ai Paesi in via di sviluppo. Da un paio di mesi la Probo Emu ripeteva la stessa manovra: si introduceva nel Mediterraneo, rimaneva al largo tra Marocco e Spagna in acque internazionali per cinque giorni e poi attraccava a Gibilterra, caricava e scaricava. Proprio come faceva la Probo Koala. Entrambe sono di fabbricazione coreana, sono lunghe 120 metri e pesano 40 mila tonnellate senza carico. Anche la Probo Emu è noleggiata da Trafigura e-come ha scoperto il quotidiano spagnolo El Pais- gironzola per l’Africa: a fine luglio e a fine agosto ha attraccato in Nigeria, per poi tornare a Gibilterra. Anche la Probo Emu ogni tanto deve scaricare rifiuti e residui.
Dopo il disastro in Africa, però, alcuni si sono fatti più accorti. Le autorità del porto norvegese di Slovag, in Norvegia, a metà ottobre hanno impedito alla Probo Emu di attraccare. Trasportava un carico “potenzialmente” troppo pericoloso.
La Probo Emu torna indietro, e tra ottobre e novembre mette in allarme i giornali e l’opinione pubblica della Galizia. Nella regione spagnola tutti ricordano il disastro della petroliera Prestige, che nel 2002, affondando, scaricò la marea nera sulle coste che andavano dal Portogallo alla Francia, colpendo in particolare la loro terra.
Ma non è finita: un’altra nave identica alle prime due, la Probo Elk, in luglio era stata obbligata ad abbandonare il porto di Los Angeles per una fuoriuscita di combustibile.
Allora quante sono le gemelle della Probo Koala? Finora sono saltate fuori oltre a Probo Elk e Probo Emu anche Probo Bear, Probo Bison e Probo Panda. Sono tutte di proprietà della compagnia greca Prime Marine Management, diretta da Lorgos Kouléris. O meglio lo erano: secondo una fonte ivoriana e proprio in concomitanza col disastro dei rifiuti tossici, a metà ottobre Prime Marine Management ha venduto la flotta per 136 milioni di dollari. Il compratore sarebbe la compagnia Gulf Navigation, che lavora tra Dubai, Emirati Arabi Uniti e Grecia. Da quel momento si sono perse le tracce della Probo Koala e delle sue sorelle. Fino al prossimo incidente?
La portavoce di Greenpeace in Olanda, Helen Perivier, sospetta che la Probo Koala e alcune sue “sorelle” possano produrre benzina di bassa qualità ma assai economica in alto mare, raffinando gli scarti del petrolio: “Possono arrivare a guadagnare cinque milioni di euro per carico. Questa pratica spiegherebbe perfettamente la presenza di rifiuti tossici uguali a quelli che hanno causato il disastro in Costa d’Avorio”.
Per Michael Williams, portavoce del Programma delle nazioni Unite per l’ambiente, “con la crescita degli scambi globali e il costo della gestione dei rifiuti, aumentano gli incentivi al traffico illegale e gli eventi di Abidjan potrebbero facilmente ripetersi”. Magari come da anni succede nei deserti africani, dalla Mauritania alla Somalia (per rendersi conto di quanto pericolosi e intricati siano questi segreti africani, si può rileggere il libro di Luciano Scalettari, Alberto Chiara e Barbara Carazzolo, Ilaria Api, un omicidio al crocevia dei traffici).
Solo che Abidjan non è il deserto e rimane ancora la speranza che qualcuno possa dirci in tempi brevi chi sono i responsabili del disastro e da dove arrivavano i rifiuti scaricati in Costa d’Avorio.
Il primo nome tra gli imputati è quello di Trafigura. Una società “globale” fondata nel 1993 in Olanda ma con direzione operativa in Svizzera e 55 uffici in 36 Paesi (Italia compresa).
È specializzata nel mercato di prodotti dell’energia (in tutto il mondo) e dei metalli (soprattutto in Centro e Sud America). Uno dei sui punti forti è proprio il commercio e il trasporto di prodotti petroliferi, via terra (autobotti, treni) e via mare (navi). Dichiara un capitale di circa 600 milioni di dollari e, nel 2005, un giro di affari di oltre 28 miliardi di dollari che si è triplicato in quattro anni. Alcune stime per il 2006 parlano di un fatturato di 45 miliardi di dollari.
Secondo un’inchiesta dei quotidiani
Il Sole-24 ore e Financial Times, tra luglio e settembre 2003 la società ha inviato oltre 250 mila dollari al ghaneano Kojo Annan, figlio del segretario generale delle Nazioni Unite, “quando era già noto a tutti nel mondo del trading petrolifero che la società olandese era stata coinvolta in due episodi di contrabbando dall’Iraq in violazioni alle sanzioni Onu”.
A fine ottobre lo studio di un avvocato olandese, Bob van der Goen, ha depositato la richiesta di risarcimento a nome delle vittime ivoriane del gravissimo episodio, precisando che si tratta di un “anticipo per ridurre le sofferenze” e che la vera richiesta potrebbe essere “molto più alta”. L’anticipo chiesto a Trafigura è di 10 milioni di euro per i danni provocati dai rifiuti nocivi scaricati. Van der Goen si aspetta oltre un migliaio di querelanti, e aggiunge di volersi rivolgere a una corte se la società non accoglierà la sua richiesta. A suo parere, Trafigura “è responsabile perché conosceva la natura dei rifiuti e avrebbe dovuto sapere che la Costa d’Avorio non era in grado di trattarli”. L’azienda nega ogni responsabilità e chiama in causa una società ivoriana. Trafigura afferma che la Probo Koala stava compiendo un normale e regolare viaggio dall’Estonia alla Nigeria, trasportando 36 mila tonnellate di benzina e che “migliaia di viaggi simili sono in corso in ogni momento nei diversi mari del mondo”. La società sostiene anche di avere importanti legami e significativi investimenti in Costa d’Avorio, e che nulla farebbe per danneggiarli.
A metà settembre due alti funzionari di Trafigura, Claude Daulphin e Jean Pierre Valentini, sono andati sul luogo del disastro. Il 18 settembre sono stati arrestati e da allora si trovano in prigione. Secondo Trafigura, che proclama la loro innocenza, a metà novembre sarebbero stati assaliti da un gruppo di altri detenuti, pochi giorni dopo essere usciti illesi da due tentativi di avvelenamento.
Sempre a settembre una compagnia francese, la Trédi, filiale del gruppo Séché, con la “benedizione” del governo di Parigi, ha iniziato a lavorare su migliaia di tonnellate di rifiuti contaminati ad Abidjan. Poi dozzine di container sigillati, riempiti di rifiuti solidi estratti dai siti contaminati, sono partite per il porto francese di Le Havre, dove la compagnia transalpina Maritime Nantaise sta provvedendo al loro smaltimento. Dieci giorni per arrivare in Francia via nave e un paio di settimane per neutralizzare gli scarti dei container.
“Il nostro compito non è finito. Stiamo ancora pulendo il terreno inquinato e dobbiamo ancora bonificare la laguna e l’impianto fognario”, ha detto Safiatou Ba N’daw, capo della commissione incaricata di risolvere l’emergenza ambientale. Secondo l’ultimo bilancio ufficiale, le intossicazioni causate dai vapori emanati dai rifiuti hanno provocato 10 morti, 69 ricoveri e costretto 102.806 cittadini a ricorrere a controlli medici. Dieci morti per evitare un viaggio di una decina di giorni e un lavoro di un paio di settimane.
Molte responsabilità si trovano anche in Costa d’Avorio: a metà novembre il rapporto della Commissione d’inchiesta incaricata dal governo di indagare sulla vicenda ha riscontrato disfunzioni, negligenze e complicità amministrative. Tutto questo ha permesso che i rifiuti tossici venissero scaricati nel porto di Abidjan. Secondo il rapporto tra i principali responsabili ci sono, oltre ai dirigenti del porto, anche i funzionari dei ministeri degli Affari marittimi e dei Trasporti, e quelli delle Dogane.
Il documento evidenzia anche
“la sorprendente indifferenza” dei responsabili del distretto di Abidjan, soprattutto il governatore, che hanno lasciato che camion cisterna depositassero rifiuti tossici in piena città. Almeno quattro procedimenti giudiziari sono già stati avviati sulla vicenda.
Non sarà l’inizio di una “Mani pulite” ivoriana, ma nessuno può prevedere gli sviluppi di questa storia.
Cronologia di un disastro annunciato
Abidjan è la capitale della Costa d’Avorio e una delle piazze di affari più importanti dell’Africa occidentale. Il 19 agosto una nave, la Probo Koala, attracca al porto, uno dei meglio equipaggiati della regione. A partire dalla notte successiva 19 camion, per una trentina di ore, fanno la spola tra il porto e alcune discariche della città. Avanti e indietro per trasportare rifiuti: centinaia di tonnellate.
Il 22 agosto la Probo Koala salpa dopo aver regolarmente compiuto tutte le formalità burocratiche.
Nei giorni seguenti iniziano ad arrivare negli ospedali della città persone che vomitano. Hanno strane macchie sulla pelle e prurito. In un primo momento sono decine, poi centinaia, infine migliaia. Sono almeno 15 mila quelli che vanno in uno dei 36 ospedali della città per chiedere cure, gli intossicati certi sono almeno 2 mila; almeno otto di loro muoiono in breve tempo, due sono bambine.
In una megalopoli africana sono migliaia le persone che vanno a trafficare nelle discariche. Alcuni abitano nelle discariche e vivono di rifiuti, più o meno riciclati.
Ai primi di settembre si inizia a parlare non solo di disastro ambientale e sanitario, ma anche di scandalo politico. Le forze speciali dell’esercito circondano le discariche e impediscono l’accesso alle persone ma è ormai troppo tardi; dalla Francia arriva una squadra di specialisti per investigare.
Il primo ministro della Costa d’Avorio, Charles Konan Banny (nella foto a destra), si dimette il 6 settembre e con lui cade tutto il governo. Saltano anche il direttore delle dogane e quello del porto, Marcel Gossio, considerato un sostenitore “eccellente” del presidente Gbagbo e del suo partito.
Sembra che la Probo Koala avesse tutte le carte in regola per fare quello che ha fatto. I rifiuti liquidi scaricati in Costa d’Avorio sarebbero i residui del lavaggio dei contenitori della nave, diretta in Estonia per caricare componenti di benzina da consegnare in Nigeria. La società che ha noleggiato la nave, Trafigura, ha sempre negato qualsiasi responsabilità.