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Opinioni

I nuovi partigiani

Dalla Val Susa alla Stretto di Messina: i movimenti contro opere inutili e dannose hanno competenze e motivazioni e non sono casi isolati, nonostante i tentativi di delegittimazione da parte dei poteri economici e le distorsioni dei media

Tratto da Altreconomia 130 — Settembre 2011

I mass media hanno dato grande risalto agli scontri avvenuti in Val Susa durante il mese di luglio.
Il movimento No Tav è stato dipinto, dalla gran parte della stampa italiana e straniera, come un gruppo sociale che si oppone al progresso, composto da giovani scalmanati ed ignoranti, che impediscono di costruire una nuova linea ferroviaria che permetta ai treni, che vanno in Francia, di raggiungere l’alta velocità e quindi far risparmiare tempo prezioso alle merci. Pochi giornalisti si sono chiesti seriamente il perché, dopo vent’anni, il movimento No Tav sia ancora così combattivo e capace di mobilitare la gran parte degli abitanti della valle. Pochissimi media hanno fatto conoscere le ragioni profonde e fondate dell’opposizione alla costruzione di una nuova linea ferroviaria. La gente della Val Susa lotta duramente per difendere un diritto alla salute che viene negato in nome della crescita economica o, se volete, dello sviluppo. 
Non diversamente, sulla punta dello Stivale, il movimento No Ponte è impegnato contro la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina, un “braccio di acciaio” che dura da quasi trent’anni e che adesso è entrato nel vivo dello scontro con l’apertura dei primi cantieri.  Anche in questo caso non mancano i commenti ironici o sprezzanti di chi pensa che non si possa rifiutare un ponte, peraltro simbolo di unità, che porterà (finalmente) lo sviluppo in quel territorio impoverito con altissimi tassi di disoccupazione. 
Insomma: progresso, crescita, sviluppo da una parte, inciviltà, violenza, regresso dall’altra.
Per fortuna esistono ancora media indipendenti e, soprattutto, una pluralità di forme di comunicazione che hanno dato ampio spazio a tecnici, scienziati, intellettuali prestigiosi che hanno spiegato come “nessuno ce l’ha con i ponti o i treni”, ma la realizzazione di queste megaopere comporta rischi ambientali insostenibili. Studi approfonditi da parte di diversi dipartimenti universitari lo provano a sufficienza ma, come dimostra il caso di Fukushima, i poteri forti si arrendono solo di fronte alle catastrofi o quando la maggioranza dell’opinione pubblica gli si rivolta contro. 
Quello che pochi sanno è che questi movimenti non costituiscono un caso isolato, un capriccio italico, ma fanno parte di un poderoso movimento che attraversa tutti i continenti, che assume connotazioni diverse a seconda dei luoghi, ma che ha in comune un valore forte e non negoziabile: la difesa della salute del nostro pianeta, e quindi dei suoi abitanti. In tutto il mondo sono nati, negli ultimi venti anni, decine di migliaia di comitati locali, dalle sigle più variegate, che lottano ogni giorno per impedire che vengano distrutte le proprie risorse, il proprio habitat, la propria identità culturale, anche rischiando di rimetterci la vita. Queste lotte, che nascono sempre con una matrice non violenta, sono spesso represse violentemente dalle forze dell’ordine dei diversi Stati e, qualche volta, degenerano in veri e propri conflitti. La causa prima di queste violenze la si trova sempre nell’azione repressiva del potere politico-economico che non sopporta chi si oppone ai suoi progetti di devastazione ambientale, di deportazione di intere comunità, di rapina di territori e risorse naturali. 
Siamo di fronte ad un variegato e ramificato movimento popolare internazionale che cresce e si rafforza ogni giorno di più, che non ha una sede di comando centralizzata, ma vive nella rete delle relazioni orizzontali tra gruppi e comitati, in cui si condividono valori ed obiettivi comuni, lasciando ampia autonomia ai singoli soggetti ed alle loro specificità territoriali.
Sono i partigiani del XXI secolo che, a differenza di quelli che si batterono contro il nazi-fascismo in tutta Europa, non devono affrontare truppe armate che vogliono conquistare con la forza il loro territorio in nome di una superiorità razziale, ma tecnici, economisti e politici. Imprenditori ed imprese multinazionali che dicono di voler portare il progresso, la civiltà, lo sviluppo (e intanto si servono della forza militare degli Stati). Le lotte in difesa della propria salute, o per la salvaguardia del territorio, si stanno intrecciando con quella più tradizionale, ed ugualmente rilevante, della difesa del posto del lavoro, del salario minino e del welfare.
Dalla Val Susa allo Stretto di Messina, da Ferrara a Noto, attraversando tutta l’Italia è possibile oggi scoprire un grande movimento “indigeno” che lotta contro le megaopere, le trivellazioni di aree protette, siti archeologici ed aree marine tutelate, le grandi centrali a carbone, i rigassificatori.  Fanno parte di questo grande movimento mondiale dei nuovi partigiani del XXI° secolo, che salverà il nostro pianeta e ridarà un futuro alle nuove generazioni.

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