Esteri / Attualità
I contadini indiani sfidano i colossi dell’agroalimentare e il governo
Decine di migliaia di agricoltori hanno organizzato massicce proteste e sit-in ai confini di New Delhi. Vogliono il ritiro delle riforme agricole, varate dal governo Modi, che aprirebbero la porta alle grandi aziende. Supportati dalla società civile, chiedono un reddito garantito e che lo Stato assicuri un prezzo minimo per la vendita dei loro prodotti
“I contadini indiani stanno dando una lezione al mondo perché conoscono i rischi legati a un settore agricolo nelle mani delle multinazionali, come avvenuto negli Stati Uniti e in Europa”. Devinder Sharma, uno dei maggiori esperti di commercio e politiche agricole in India, riassume così ad Altreconomia la mobilitazione degli agricoltori contro le riforme varate nel settembre del 2020 dal governo nazionalista guidato da Narendra Modi. “Il mercato, gli accademici, i politici e gli economisti sono rimasti sorpresi nel vedere che i contadini in India sono così preoccupati, consci degli effetti di queste riforme: pensavano fossero ignoranti, analfabeti e incapaci di capirne la portata”. La protesta dei contadini, dopo due mesi di sit-in permanente ai confini della capitale New Delhi, è ormai un movimento mastodontico, senza precedenti in quanto a numeri, organizzazione e maturità politica.
Gli agricoltori continuano a invocare il ritiro delle riforme agricole, che considerano devastanti, in quanto spalancherebbero le porte del settore alle grandi aziende private. Le leggi, approvate senza consultare i governi locali o i sindacati di un comparto che impiega un lavoratore indiano su due e contribuisce al 15% del Prodotto interno lordo, a detta del governo porteranno a una radicale modernizzazione del settore, antiquato e in grossa difficoltà. La deregolamentazione amplia lo spettro di commercializzazione dei prodotti, finora ristretto ai mandi (mercati generali statali), permettendo ai coltivatori di negoziare i prezzi direttamente con le grandi aziende dell’agroalimentare senza intermediazione. Introduce inoltre liberalizzazioni sul prezzo di prodotti e servizi agricoli, e sulle materie prime considerate essenziali. Gli agricoltori -l’86% dei quali possiede appezzamenti inferiori ai due ettari e soffre una condizione di impoverimento aggravata dai debiti- temono di perdere quelle tutele che lo Stato garantiva loro e di essere così in balìa del settore corporativo.
“I contadini sanno che un’economia trainata dal mercato, o un sistema agricolo basato sugli interessi della grande distribuzione alimentare, significa maggiore sfruttamento della forza lavoro e meno garanzie”, spiega Sharma. I contadini chiedono al governo il ritiro delle leggi e di garantire il prezzo minimo statale che per decenni ha assicurato la vendita dei raccolti a un prezzo garantito, permettendogli di sopravvivere alle fluttuazioni del mercato. “Non ho mai visto una protesta come quella di questi mesi in cui gli agricoltori mettono in discussione l’economia, opponendosi al potere dei privati e delle grandi multinazionali: sono un esempio per il mondo intero”, continua Sharma. “Finora abbiamo tutti creduto che domanda e offerta stabilissero il miglior prezzo per gli agricoltori ma loro non si fidano, vogliono un reddito garantito e un prezzo minimo assicurato. La grande distribuzione alimentare, in tutto il mondo, si basa sullo sfruttamento degli agricoltori. I contadini indiani stanno mostrando un’altra narrazione”.
La protesta, iniziata negli Stati settentrionali del Punjab e dell’Haryana -prevalentemente agricoli- si è poi allargata a dismisura. A fine novembre 2020, decine di migliaia di contadini si sono messi in marcia al grido “Delhi Chalo” (Andiamo a Delhi, ndr) per far sentire la propria voce sotto ai palazzi del potere durante il Bharat Bandh, lo sciopero nazionale indetto dai sindacati per il 26-27 novembre dello scorso anno che ha coinvolto 250 milioni di lavoratori in tutto il Paese. La polizia ha caricato il corteo con cannoni ad acqua, eretto barricate e scavato trincee per impedire ai contadini di raggiungere il centro città. Si sono così accampati al confine settentrionale di Delhi, Singhu, divenuto l’epicentro della protesta. Già dalle prime ore, avevano annunciato che erano determinati a restare finché il governo non avesse ritirato le riforme, assicurando di avere viveri per almeno sei mesi. Dall’inizio della protesta, sono morti 57 manifestanti.
A inizio dicembre 2020, l’India si era nuovamente fermata per lo sciopero generale indetto dalle sigle sindacali agricole contro le riforme liberiste, raccogliendo enorme supporto. Da allora, la protesta ha continuato ad allargarsi lungo tutto il confine del territorio della capitale (la capitale indiana è un’unità amministrativa a sé stante) con carovane di trattori e tendopoli improvvisate erette in vari punti del confine. Il supporto della società civile -riassunto nello slogan “No farmer, no food”- è stato incredibile: la solidarietà è alla base di questa enorme mobilitazione, pacifica e trasversale. “Molti pensano che la comunità agricola sia in agitazione solo per le nuove leggi, ma questa rabbia ha radici profonde e si è solo aggravata nel corso dei decenni”, continua Sharma. Già nel 2018 e nel 2019 i contadini avevano marciato su New Delhi. In quei due anni, 20mila agricoltori sono morti suicidi, strangolati dai debiti e dalla povertà. Dal 1995 sono 300mila. Le riforme hanno quindi fatto da catalizzatore a un malessere preesistente.
Il governo ha provato a screditare la protesta, arrestando leader sindacali, accusando i contadini punjabi di essere terroristi khalistani (separatisti sikh), mentre proprio la tradizione sikh del langar –la cucina di comunità- contribuiva a sfamare centinaia di migliaia di persone che hanno raggiunto la capitale da tutto il Paese, accampate da due mesi al freddo. I numerosi tavoli di discussione tra governo e contadini sono stati un fallimento, così la Corte suprema ha tentato di sospendere l’implementazione delle riforme ma i contadini non cedono. E se al confine di Singhu i manifestanti sono principalmente uomini sikh, a Tikri e in altri punti del confine, la presenza delle donne è preponderante. In un commento particolarmente infelice, il presidente della Corte suprema Sharad Arvind Bobde ha chiesto ai manifestanti di non “portare” donne e anziani in piazza: le donne -alcune delle quali vedove e figlie dei contadini suicidi- sono una componente centrale della forza lavoro nei campi e condividono il peso di un settore in grave crisi. “Il barometro del successo di ogni movimento è la partecipazione delle donne: questa volta è stato notevole”, conclude Sharma. Per la prima volta in 72 anni, alla Festa della Repubblica del 26 gennaio a Nuova Delhi non ci sarà solo la tradizionale parata militare. Le sigle sindacali del settore agricolo hanno organizzato la “Kisan Gantantra Parade”, una marcia di decine di migliaia trattori e braccianti in concomitanza con la parata ufficiale. Intanto gli organizzatori, che assicurano che la marcia sarà pacifica e non interferirà con la parata militare, temono infiltrazioni di violenti per screditare il movimento.
© riproduzione riservata