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Esteri / Opinioni

Haiti, la sfortuna non esiste. Esiste l’ingiustizia

Estrema vulnerabilità ai disastri e malattie dovute al mancato accesso a servizi di base. Il debito contratto per liberarsi dalla schiavitù pesa ancora

Tratto da Altreconomia 188 — Dicembre 2016
Una operatrice di Msf assiste una sfollata haitiana, vittima dell'uragano Matthew - Joffrey Monnier/MSF

Da diversi anni desidero andare in missione ad Haiti, senza però riuscirci. Nel gennaio del 2010 mi trovavo in aeroporto a Malpensa, destinazione Liberia, mentre molti dei miei colleghi erano in partenza per l’isola caraibica, devastata da un terremoto terrificante. Sarei stato pronto a cambiare subito biglietto. “Non c’è solo Haiti” mi venne, giustamente, ricordato. Ubbidii: con Port-au-Prince nel cuore, decollai per Monrovia.

– 4%: dal 1990 al 2015 è diminuita la quota di popolazione che ha accesso a fonti di acqua potabile sicura (protetta da contaminazione ambientale e umana): dal 62% è passata al 58% (WHO/UNICEF, Joint Monitoring Programme, 2015)

In seguito, mi è stato proposto di riempire con urgenza una posizione scoperta ad Haiti, per almeno tre volte, l’ultima pochi giorni fa, ma non ho ottenuto il nulla osta dal mio ospedale. Haiti non è un Paese meritevole di troppe attenzioni, lo si sa già. A ulteriore conferma sarebbe bastato ascoltare, nei primi giorni del mese di ottobre, la cronista di una nota testata giornalistica Rai descrivere gli ingenti danni causati dal passaggio dell’uragano Matthew sulla Florida “dopo aver lasciato Haiti”. In che strazio l’uragano avesse lasciato Haiti non ci è stato raccontato. D’altra parte era troppo ghiotta l’occasione di collegare l’uragano meteorologico a quello politico in vista delle elezioni presidenziali degli Stati Uniti, per potersi soffermare sugli sfortunati abitanti di Haiti.

La sfortuna però non esiste: esiste l’ingiustizia, che è un prodotto dell’uomo e di cui Haiti è una vittima privilegiata. Perché quando si abbattono su Haiti il terremoto, il colera o l’uragano, giusto per citare i tre flagelli degli ultimi anni, vanno ad accanirsi su un Paese la cui principale malattia endemica porta il nome di debito pubblico.

Un articolo del 2010 di Richard Kim, executive editor di The Nation, aiuta a inquadrare il problema: “La vulnerabilità di Haiti ai disastri naturali, alla scarsità di cibo, alla povertà, alla deforestazione e alla mancanza di infrastrutture non è accidentale. […] Haiti è stata resa povera dai poteri occidentali. L’impoverimento di Haiti è iniziato nei primi decenni della sua indipendenza, quando gli schiavi e i neri liberi si unirono contro la dominazione francese nel 1804. Per evitare l’imposizione di un embargo, accettarono di pagare 150 milioni di franchi per risarcire i proprietari di schiavi francesi (sì, è così, schiavi liberati furono costretti a ripagare i loro padroni per la loro libertà). Nel 1900, Haiti spendeva l’80% del proprio bilancio nazionale per ripagare il debito. Più di 100 anni dopo, nel 2008, un rapporto del “Center for International Policy” ha dimostrato che nel 2003, Haiti ha speso 57,4 milioni di dollari per sanare il suo debito mentre l’aiuto internazionale per educazione, salute e altri servizi è stato di 39,2 milioni. Haiti restituisce più di quanto riceva”.
Un mese dopo che l’uragano Matthew ha devastato l’area Sud-occidentale di Haiti, causando più di mille morti e 175mila sfollati, le urgenze rimangono la mancanza di cibo e di acqua potabile. Particolarmente preoccupanti sono il livello nutrizionale nei bambini al di sotto dei 5 anni e la prevenzione delle malattie infettive legate alla scarsità di igiene, prime tra tutte il colera, che già aveva colpito Haiti alcuni mesi dopo il terremoto del 2010. Dall’ottobre di quell’anno, con l’accertamento dei primi casi di colera, all’ottobre del 2012, furono registrati 600mila casi e 7.500 morti. Ora che la maggior parte delle coltivazioni sono state distrutte o inondate e la gran parte del bestiame è deceduto e che sono state danneggiate riserve d’acqua, pozzi e sorgenti, lo spettro del colera torna a comparire. No, non è sfortuna.

Luigi Montagnini è un medico anestesista-rianimatore. Dopo aver vissuto a Varese e Londra, oggi è a Genova, dove lavora presso l’Istituto Gaslini. Da diversi anni collabora con Medici Senza Frontiere

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