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Gli italiani all’estero

In Colombia è in costruzione una maxi centrale idroelettrica sul fiume Magdalena e le comunità locali sono in rivolta. Il ruolo di Enel —

Tratto da Altreconomia 148 — Aprile 2013

Moisés Sánchez è un contadino del Dipartimento del Huila, nel sud della Colombia. Il 13 gennaio 2013, l’Esmad (corpo speciale della polizia colombiana) lo ha trascinato fuori di casa, per poi abbatterla davanti ai suoi occhi. “Mi hanno detto che lo hanno fatto per la mia sicurezza, perché la mia fattoria verrà inondata dalla diga -racconta-. Per più di un anno Emgesa mi ha promesso che mi avrebbe dato un terreno come compensazione, ma non ho ricevuto nulla. La polizia ha ancora le mie cose, non le ho reclamate perché non so dove metterle”.
Moisés Sánchez è tra le migliaia di persone che hanno visto stravolgere la propria vita a causa della centrale idroelettrica El Quimbo, che Emgesa sta costruendo sul fiume Magdalena. Emgesa è di fatto controllata da Endesa (che a sua volta per il 92% è di proprietà di Enel), anche se possiede solo il 48,8% delle sue azioni. Il primo azionista di Emgesa è, infatti, Empresa de Energía de Bogotá, proprietaria del 52,14% delle azioni, ma non tutte titolari di diritto di voto.
I cantieri di El Quimbo sono iniziati nell’ottobre 2011 e dovrebbero terminare entro il 31 dicembre 2014. L’investimento previsto è di 837 milioni di dollari e la costruzione della centrale, che dovrebbe avere una capacità installata di 400Mw, è stata affidata a un’altra impresa italiana, Impregilo.
Viaggiando nella zona centrale del Dipartimento del Huila -tra i municipi di Gigante, Garzón, Tesalia, Agrado, Paicol e Altamira- è difficile credere che in meno di due anni questo paesaggio di vallate e montagne verdi verrà completamente inondato: case, scuole, piazze, campi. Asoquimbo (Asociación de Afectados por la Hidroeléctrica El Quimbo, www.quimbo.com.co) è nata nel 2009 per difendere i diritti delle persone che vivono all’interno dell’area”, spiega Jennifer Chavarro, studentessa e integrante di Asoquimbo. L’associazione è formata da contadini, pescatori, operai, commercianti e accademici del Dipartimento del Huila. Il 14 marzo 2013, in occasione della Giornata mondiale contro le gighe, Asoquimbo ha convocato una mobilitazione in tutto il dipartimento. “Bloccheremo le strade per chiedere al governo di sospendere El Quimbo, e non ce ne andremo finché non succederà -aveva annunciato Jennifer Chavarro-: non lottiamo solo contro la centrale idroelettrica El Quimbo, ma contro il modello di sviluppo promosso dal presidente Juan Manuel Santos, basato sullo sfruttamento delle risorse naturali, e che porta alla svendita del Paese alle multinazionali straniere”.

La storia del Quimbo è piena di contraddizioni. Nel 1997, l’impresa Central Hidroeléctrica de Betania (fusa con Emgesa nel 2007) richiese al ministero dell’Ambiente la licenza d’impatto ambientale per la costruzione della centrale. Questa non venne concessa, perché il ministero -visto il parere del ministero dell’Agricoltura- concluse che il progetto non era fattibile a causa dei danni che avrebbe creato “alle migliori terre con vocazione agricola della regione”. Nel 2007 Emgesa richiese nuovamente la licenza al ministero dell’Ambiente. Il documento venne approvato il 15 maggio 2009 con la risoluzione 899, sulla base di un parere del ministero dell’Agricoltura dell’8 gennaio 2008, che capovolgeva il precedente verdetto: senza specificare quali condizioni fossero nel frattempo cambiate, il ministero affermava che El Quimbo non avrebbe messo in pericolo la sicurezza alimentare del dipartimento. Inoltre, la licenza ambientale è stata approvata senza il Diagnostico Ambiental de Alternativa, uno studio che permette di valutare le diverse opzioni di sviluppo di un progetto, e senza prendere in considerazione la sentenza della Procuraduría General de la Nación (entità che rappresenta i cittadini di fronte allo Stato), che sei giorni prima della concessione della licenza sollecitò il ministero dell’Ambiente ad astenersi.

 

“La Licenza ambientale del 2009 è stata modificata tre volte per venire incontro agli interessi di Emgesa -denuncia Miller Dussán Calderón, professore dell’Universidad Surcolombiana e membro di Asoquimbo-. Questo grazie al Decreto 2820, firmato dall’ex presidente Álvaro Uribe due giorni prima di lasciare il suo incarico, con cui si stabilisce un regime di transizione affinché si possano modificare le licenze ambientali”.
Il 1 settembre 2008, otto mesi prima dell’approvazione della Licenza ambientale, il ministero delle Miniere e dell’energia aveva ratificato la Risoluzione 321, con la quale si dichiarano di utilità pubblica ed interesse sociale gli 8.586 ettari necessari alla costruzione del Quimbo. “La sparizione definitiva di un’area di 8.586 ettari non può essere considerata un impatto di bassa entità, come sostiene l’impresa” scrive il ministero dell’Ambiente nella Licenza ambientale del 2009. In riferimento agli 842 ettari di bosco secco tropicale che verrebbero inondati, e “del quale rimangono gli ultimi relitti nel Paese”, il documento precisa: “Questo ministero considera che la perdita e diminuzione della copertura vegetale è un impatto di grande rilevanza ambientale”.
“El Quimbo danneggia anche il nostro patrimonio archeologico e culturale”, denuncia Celia Marianinco, del movimento Ríos Vivos. Infatti, il ritrovamento di alcuni reperti archeologici nell’aprile 2011 ha portato all’intervento dell’Instituto Colombiano de Antropología e Historia (Icanh), che il 7 giugno 2011 ordinò la sospensione dei lavori. L’ordine non venne recepito, e nell’agosto 2011 l’Icanh sanzionò l’impresa. Il danno più grave che causerebbe El Quimbo è l’allagamento di 5.300 ettari di terre fertili e produttive che, sempre secondo la Licenza ambientale, nel 2008 hanno generato una produzione agricola del valore di 33 miliardi di pesos (più di 14 milioni di euro). Nell’ottobre 2012, la Contraloría General de la República (Corte dei conti) ha reso pubblici i risultati dell’investigazione preliminare 015, realizzata per chiarire presunte irregolarità nell’approvazione della Licenza ambientale e stabilire gli effetti ambientali, sociali ed economici che causerebbe El Quimbo. La Corte dei conti attribuisce ad Emgesa un danno patrimoniale di 350 miliardi di pesos (circa 150 milioni di euro), conclusione che ha portato all’apertura di un processo di responsabilità fiscale da parte della Procuradoría General de la Nación nei confronti della Anla (Autoridad Nacional de Licencias Ambientales, che dipende dal ministero dell’Ambiente). La Corte ha riscontrato, tra le altre cose, perdita della produttività marginale della terra, danni alla fauna e alla flora, e sversamento di materiali inquinanti nel Magdalena.
“Impregilo mette in atto tutte le procedure necessarie per limitare al massimo gli effetti che possono influire sulle condizioni di vita della flora e della fauna acquatica”, assicura l’impresa nella Relazione di Sostenibilità 2011. Tuttavia, secondo il rappresentante dei pescatori del Municipio di Hobo, Gilberto Roja, “i lavori di costruzione del Quimbo hanno creato gravi problemi al nostro lavoro. L’Incoder (Instituto Colombiano de Desarrollo Rural) ha documentato che nel nostro municipio tra il 2009 e il 2011 la produttività della pesca artigianale è diminuita di 7,95 tonnellate”. La morìa di pesci non è l’unica preoccupazione dei pescatori del Huila, a cui nel marzo 2012, con la Risoluzione 1286 del ministero dei Trasporti, è stata impedita la navigabilità di un tratto del Magdalena a causa della costruzione della centrale. Gilberto Roja non ha ricevuto alcun risarcimento. Questo è possibile perché in Colombia nessuna legge regola la materia, permettendo alle imprese di decidere chi compensare e in che modo. “Quasi l’80% degli investimenti diretti esteri in Colombia è rappresentato da progetti minerario-energetici -spiega Daniel Libreros della Universidad Nacional de Colombia-. Non proteggendo le persone danneggiate da questi progetti, lo Stato crea nuovi sfollati in un Paese che ne ha più di 5 milioni a causa del conflitto tra guerriglia, esercito e paramilitari”.
Un altro nodo da sciogliere riguarda il tipo di compensazione di chi vedrebbe inondare la propria casa e la propria terra o di chi, come i braccianti e i pescatori, si ritroverebbe senza lavoro. “Secondo la Licenza ambientale del 2009, Emgesa dovrebbe garantire il recupero del livello di occupazione e produzione agricola della zona”, spiega Jesús Elías Benavides, contadino della comunità La Honda. A tal fine, il ministero dell’Ambiente ha stabilito la restituzione dei 5.300 ettari inondati ai 700 proprietari, e la consegna di 2.700 ettari di terra ai braccianti.

L’inerzia nel processo di compensazione è valsa, nell’aprile 2011, un ordine di sospensione dei lavori del Quimbo da parte della Defensoría del Pueblo (entità governativa incaricata della protezione dei diritti umani), che non è stato rispettato. Inoltre, dovrebbe essere riaperto il censimento socioeconomico fatto da Emgesa per stabilire il numero delle persone da indennizzare, come ha concluso nell’agosto 2012 la Corte dei conti a seguito di una petizione di Asoquimbo. La quale ha rilevato “gravi mancanze nel censimento di Emgesa e l’esclusione di molte persone che soddisfano la condizione per essere indennizzate”.
Sullo stessa linea si colloca il Consiglio di Stato, che il 6 novembre 2012 ha ordinato l’iscrizione nel registro delle persone da indennizzare di un imprenditore edile che ne era stato estromesso, e ha stabilito l’inclusione di tutte le persone che si trovano nella stessa situazione. “Ci sono stati danni non previsti a tutta la catena produttiva, e nuove persone hanno voluto essere censite -spiega il professor Miller Dussán Calderón di Asoquimbo-. Abbiamo consegnato alla Corte 9111 firme di persone che chiedono di entrare nel registro, e siamo in attesa di una risposta”. —


Zero doni, solo carbone
865 milioni di euro non sono esattamente un insuccesso. Però, se paragonati ai 4,1 miliardi del 2011, l’utile netto 2012 di Enel sa tanto di campanello d’allarme. Uno di quelli che si sentono da molto lontano. La non brillante performance della multinazionale energetica nostrana, controllata dal ministero dell’Economia e delle finanze e dal fatturato di 84 miliardi di euro, è soprattutto dovuta alla svalutazione (per 2,5 miliardi di euro) della partecipata spagnola Endesa.
La presentazione dei dati 2012 avvenuta il 13 marzo scorso anticipa l’assemblea dei soci del 30 aprile 2013, quando il cda proporrà un dividendo di 0,15 euro ad azione (nel 2011 erano 0,26). Dai dati, è emerso con chiarezza che il carbone è stato per Enel la principale fonte di produzione di energia elettrica nei Paesi in cui opera, il 31% del totale. In Italia la situazione è peggiore: nelle centrali a carbone, Enel ha prodotto 36TWh, ovvero il 48,3% del totale (solo nel 2011 era il 41%). Una situazione che ha provocato la dura reazione di Greenpeace: “Enel prosegue su una strada sciagurata -ha dichiarato Andrea Boraschi, responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace- Non sono servite le nostre denunce, che dimostrano come -in riferimento ai dati del 2009-l’inquinamento da carbone fosse causa di una morte prematura al giorno in Italia. Da allora produzione è cresciuta di quasi il 50 per cento, e l’impatto è semplicemente insostenibile per il Paese”. (pr)

Anche in Guatemala
Enel Green Power e la municipalità di San Juan Cotzal, in Guatemala, avrebbero raggiungo un accordo ventennale per la promozione dello sviluppo economico della comunità, dov’è stata costruita la centrale idroelettrica di Palo Viejo (vedi Ae 118 e 137), nel cuore del territorio abitato dalla popolazione dei Maya Ixiles. Peccato che le autorità indigene della comunità continuino a denunciare la mancata consultazione in merito alla realizzazione dell’investimento, come  spiega il rapporto redatto dalla delegazione della “Campagna di solidarietà con le comunità Ixiles”, che nel mese di febbraio ha visitato il Paese centro-americano e la regione. In particolare, il rapporto denuncia l’accordo in base al quale il proprietario terriero sulla cui finca è stata realizzata la diga riceverà l’8,5% della ricchezza prodotta dalla centrale idroelettrica, mentre l’imprese non è intenzionata a risarcire il popolo Ixil per i danni connessi alla realizzazione dell’opera (la richiesta della popolazione era il 20% delli introiti legati alla  produzione e vendita di energia generata a Palo Viejo). (lm)

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