Finanza / Opinioni
Gli effetti della deflazione
Nel corso dell’ultimo anno il livello dei prezzi al consumo è sceso -in Italia- dello 0,3%. Una dinamica portatrice di conseguenza assai pericolose, che hanno reso necessario un nuovo intervento della Banca centrale europea, nel tentativo di stimolare i consumi. Impegno condiviso anche dalla Federal Reserve Usa e dal governo cinese
Sono sacrificati, durante la deflazione, anche i soggetti indebitati perché devono continuare a pagare un debito e degli oneri finanziari invariati mentre i loro ricavi si riducono sensibilmente. Sono sacrificati, soprattutto, i conti pubblici, che scontano maggiori difficoltà nel rispettare i già gravosissimi vincoli europei perché per calcolare tali parametri si somma o si sottrae il livello dei prezzi -inflazione o deflazione- al prodotto interno lordo (Pil) dei singoli Paesi; in deflazione, con prezzi in diminuzione, dunque diventa assai più complesso, e costoso per le finanze pubbliche, raggiungere gli obiettivi richiesti dall’Europa.
Quanto questo insieme di rischi sia reale e pesante è confermato dai molteplici strumenti messi in campo per contrastare la deflazione. Il più convinto fautore della necessità di rianimare il livello dei prezzi è, ormai da tempo, Mario Draghi: il presidente della Banca centrale europea ha avviato un ulteriore, straordinario sforzo per iniettare dosi di liquidità davvero senza precedenti nei mercati internazionali; la Bce potrà acquistare titoli di Stato per un totale mensile fino a 80 miliardi di euro e, al contempo, potrà procedere ad aste di liquidità rivolte alle banche affinché siano maggiormente incisive nella loro azione creditizia. In estrema sintesi l’istituto bancario presieduto da Draghi ha deciso di adoperare tutti i mezzi a sua disposizione, convenzionali e non, per combattere la guerra alla deflazione.
Anche Yanet Jellen, la presidentessa della Federal Reserve, la banca centrale statunitense, ha deciso di rivedere rapidamente la propria strategia -decisa solo pochi mesi fa- di rialzare i tassi di interesse per rendere più forte il dollaro e più caro il denaro, procedendo invece a un raffreddamento dei rialzi. Di fronte al crollo dei prezzi e al rallentamento della ripresa a stelle e strisce, la Federal Reserve ha deliberato di ridurre a due gli aumenti previsti dei tassi e ha dichiarato di mantenere alto il livello di liquidità in circolazione.
Altri sforzi contro la deflazione provengono dalle recenti scelte economiche della Cina e dalle strategie, finalmente condivise, maturate dall’Opec, dall’organizzazione dei Paesi produttori di petrolio, rispetto alla produzione di barili di greggio. Nell’intervento conclusivo della quarta sessione plenaria del Parlamento cinese, il premier Li Keqiang, ha espresso la ferma volontà di sconfiggere eventuali bolle speculative e di dare maggiore stabilità al sistema bancario, evitando però misure di austerità e favorendo, al contrario, il rafforzamento della domanda interna. I membri dell’Opec, dopo essersi fatti una dura guerra, sembrano ora intenzionati a contenere la produzione giornaliera di barili di petrolio per consentire un rialzo dei prezzi che certo contribuirebbe ad indebolire la deflazione. Si manifesta quindi, da più parti, un’azione contro il principale nemico della ripresa rappresentato dalla caduta dei prezzi; un’azione, tuttavia, che suscita una constatazione e una domanda.
La constatazione consiste nell’evidente insufficienza di qualsiasi singola politica nazionale per sconfiggere un fenomeno così globale; nessun Paese può avere la forza, da solo, di determinare una ripresa dei consumi tanto pronunciata da far ripartire in maniera durevole il livello dei prezzi.
Non a caso, proprio Mario Draghi ha invitato il Vecchio Continente, nel suo complesso, a “fare chiarezza” sul futuro dell’Eurozona, ben conscio che occorrono impegni comunitari per superare l’attuale fase deflazionistica. La domanda, inevitabile, riguarda l’efficacia di tutte queste azioni nel centrare l’obiettivo della ripresa. Si tratta di un interrogativo difficile, rispetto al quale però è possibile esprimere almeno una considerazione chiara: mai nella storia contemporanea si è assistito ad un diluvio di liquidità così enorme, generato dalle banche centrali, e sorretto dai sacrifici imposti ai conti pubblici. È molto probabile che tale diluvio non produca effetti realmente benefici perché passa attraverso il collo di bottiglia delle banche e perché è vanificato proprio dalla scomparsa degli investimenti pubblici, affossati dal Patto di Stabilità.
La strada più corretta sarebbe forse quella di immettere liquidità dirittamente nel sistema produttivo, senza passare per la finanza, e di cancellare molti dei vincoli che impediscono alla liquidità della Bce di alimentare gli investimenti pubblici; senza che ciò avvenga, i prezzi continueranno a scendere.
© riproduzione riservata