Gli affari sulla pelle dei migranti
Il piano del governo contro l’immigrazione irregolare passa dai centri di identificazione, già noti come Cpt: un business da centinaia di milioni di euro Dieci nuovi centri nuovi di zecca, tremilacinquecento nuovi posti. La “guerra all’immigrazione clandestina” lanciata dal ministro…
Il piano del governo contro l’immigrazione irregolare passa dai centri di identificazione, già noti come Cpt: un business da centinaia di milioni di euro
Dieci nuovi centri nuovi di zecca, tremilacinquecento nuovi posti. La “guerra all’immigrazione clandestina” lanciata dal ministro degli Interni Roberto Maroni passa per la generalizzazione dei centri di identificazione ed espulsione (Cie), i vecchi Cpt creati nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano. Bocciata dal Parlamento a scrutinio segreto, la norma che prolungava il trattenimento dei centri dagli attuali sessanta giorni a 18 mesi, come raccomandato dalla cosiddetta “direttiva rimpatri” della Commissione europea, è ricomparsa in un decreto approvato dal consiglio dei ministri e firmato dal presidente Giorgio Napolitano il 23 febbraio scorso: come compromesso rispetto alla bocciatura e per giustificare la “necessità e l’urgenza”, il tempo è stato prolungato ad “appena” sei mesi. Centottanta giorni, invece degli attuali sessanta.
Basta una semplice operazione matematica, per capire che aumentando di tre volte la permanenza all’interno dei Cie, si rende necessaria la costruzione di nuove strutture. E la costruzione di nuovi centri (“uno in ogni regione”, secondo l’obiettivo dichiarato dal ministro Maroni), nonché la loro gestione, ha appunto “costi elevatissimi”, che lo stesso decreto evidenzia nel dettaglio. Una pioggia di milioni di euro investiti nella costruzione di strutture ad hoc o nella riconversione di altre già esistenti, nelle convenzioni firmate con la varie cooperative e gli enti che si occupano di gestire i centri, nel pagamento dei giudici di pace che devono convalidare e notificare i trattenimenti e le espulsioni, nei necessari servizi di assistenza legale ai trattenuti. Senza contare il costo non quantificabile dell’impiego di forze dell’ordine all’interno di questi centri, sottratte quindi ad altre attività sul territorio.
Ma vediamo nel dettaglio l’entità della spesa e i modi in cui questa è distribuita. Analizzando i vari provvedimenti presentati dal governo negli ultimi mesi, notiamo una vera e propria escalation delle cifre messe in campo. Se nel decreto del 2 ottobre 2008, convertito in legge con alcune modifiche il 28 novembre, si prevedeva già una spesa di 78 milioni di euro su tre anni per la creazione di mille nuovi posti, nel decreto di febbraio la cifra stanziata per la sola costruzione di nuovi centri -o per la loro riconversione- è di altri 139.050.000 euro. Sommando le due cifre, come lo stesso decreto specifica, si vede come si prevede dal 2008 al 2011 lo stanziamento di 217.050.000 euro per l’apertura di nuovi Cie. L’obiettivo dichiarato del governo è infatti di ottenere una ricettività di 3.480 posti, oltre ai 1.160 attualmente disponibili. Se tutto va come previsto, quando il sistema entrerà a regime (ossia nel 2012, sempre secondo il decreto) esisteranno 4.640 posti nei vari Cie in giro per l’Italia.
Ma non basta. Ai puri costi di costruzione o di riconversione, che per definizione sono versati “una tantum”, vanno aggiunti quelli di gestione. Secondo una stima del Viminale, ogni “trattenuto” costa in media 55 euro al giorno. Quindi, assumendo che i centri siano sempre pieni, e che quindi tutti i 4.640 posti siano permanentemente occupati, si prevede un costo di 255.200 euro al giorno, poco più di 93 milioni di euro all’anno. In realtà, il decreto prevede lo stanziamento a partire dal 2012, quando i nuovi centri saranno effettivamente operativi, di 49.786.000 euro. Un’incongruenza determinata dal fatto che il provvedimento prende in considerazione solo i costi aggiuntivi per i nuovi posti -e dà già per acquisiti quelli vecchi-. Per arrivare alla cifra totale, basta fare una semplice somma. Andando a vedere la relazione della Corte dei Conti del 2004 (esiti dell’indagine sulla Gestione delle risorse previste in connessione al fenomeno dell’immigrazione-Regolamento e sostegno, controllo immigrazione clandestina), la più dettagliata descrizione dei costi dei Cie nel loro insieme, si vede come nel 2003 e nel 2004 sono stati stanziati circa 50 milioni di euro l’anno per la gestione dei centri. E così si arriva alla cifra ipotizzata più in alto: circa 100 milioni di euro.
Dove vengono presi tutti questi soldi? Se guardiamo il decreto di ottobre, che stanziava i famosi 79 milioni, una piccola voce ci offre utili delucidazioni in proposito. Quei milioni di euro, infatti, saranno stornati dai “fondi di riserva e speciali”, già destinati ad altri ministeri, nello specifico gli Interni (circa 52 milioni di euro), la Giustizia (circa 18 milioni di euro), la Salute (circa 9 milioni di euro). In pratica, per finanziare la costruzione dei nuovi Cie, il governo ha scelto di non attingere solo dalle casse del Viminale, ma di sacrificare anche fondi destinati alla già esangue sanità e alla magistratura.
Un’altra domanda che si impone guardando queste cifre riguarda la direzione che prendono questi milioni di euro.
Chi beneficerà di questa grande manna? Oltre alla tradizionale Croce rossa italiana, la torta della gestione dei Cie -nonché dei Centri di prima accoglienza (Cpa) e dei Centri d’accoglienza per richiedenti asilo (Cara)- è tanto gustosa che si sono costituiti veri e propri consorzi tra cooperative che mettono insieme know-how e conoscenze per aggiudicarsi il maggior numero di appalti. È il caso del Consorzio Connecting People, un gruppo di 69 cooperative sociali la cui sede centrale è a Trapani, che ha fatto dell’accoglienza e della gestione degli immigrati il proprio cavallo di battaglia.
Connecting People, il cui presidente è l’ex parlamentare della Margherita Giuseppe Scozzari, gestisce attraverso cooperative associate il Cie Serraino Vulpitta e il Cara di Salina Grande, a Trapani (ente gestore “Cooperativa Insieme”), il centro di Gradisca d’Isonzo, il cui direttore responsabile non è altri che Vittorio Isoldi, ex vice-comandante del contingente Unifil, in Libano, esponente dell’Udc; il Cpa “caserma Elmas” di Cagliari (ente gestore “Consorzio Solidarietà”), il Cpa di Brindisi Restinco; e, attraverso il consorzio Kairos, ha partecipato alla gara in corso per la gestione nei prossimi tre anni del Cie di corso Brunelleschi a Torino. Connecting People, che aderisce al consorzio cattolico Cgm, finanziato dalla banca Intesa-Sanpaolo, gestisce anche numerosi progetti Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo) in Sicilia, a Catania, Acireale, Marsala e Mazara. Insomma, un giro d’affari di decine di milioni di euro. Soltanto il centro di Gradisca frutta tra i cinque e sei milioni di euro l’anno. Ma se Connecting People fa riferimento all’area cattolica, recentemente anche le coop rosse si sono buttate nel business dell’accoglienza e trattenimento. L’esempio più evidente è costituito dal consorzio “Lampedusa accoglienza”, afferente al consorzio nazionale di servizi di Bologna e costituito dalla due cooperative Sisifo di Palermo e Blu Coop di Agrigento, che gestisce il centro di Lampedusa, per 33 euro al giorno a trattenuto. Sisifo -il cui vicepresidente è Cono Galipò, esponente della Margherita di Capo d’Orlando (in provincia di Messina), ma già vicino al Pci, e attuale direttore del centro di Lampedusa- ha anch’esso partecipato alla gara per la gestione del Cie di Torino.
Un’altra cooperativa siciliana, la coop Albatros, nata come filiazione della Croce rossa nella gestione del centro di Pian del Lago a Caltanissetta, ha recentemente oltrepassato i confini dell’isola e si è aggiudicata l’appalto per il Cie di Modena.
Ma la cosa che più colpisce nei costi di gestione è la straordinaria differenza tra un centro e un altro. Quella messa in campo dal Viminale -55 euro per ogni ospite trattenuto nel centro- è una cifra media.
In realtà, ogni “trattenuto” costa 80,70 euro a Bologna e 33,47 a Crotone, 75 euro al centro di via Corelli a Milano e 35 euro al Cie di Ponte Galeria, vicino a Roma. In una relazione ad hoc, nel 2004 la Corte dei Conti ha messo in evidenza “l’estrema disomogeneità dei costi di gestione” e “il quadro gestionale che non può essere considerato positivo”. Ma le considerazioni dell’ente di controllo delle spese dello Stato non sembrano aver colto particolarmente nel segno. La priorità, secondo il ministro Maroni, è mandare un messaggio: chi arriva clandestinamente verrà chiuso nei centri. Che poi i centri non funzionano
e costano un capitale, è tutto sommato secondario.
La protesta arriva anche dai consigli regionali
Nessuno vuole i nuovi centri
Lontani dai centri abitati e possibilmente vicini a un aeroporto. Queste le caratteristiche dei nuovi centri di identificazione ed espulsione (Cie) che il Viminale vuole inaugurare nei prossimi mesi. Saranno aperti in aree demaniali, in ex caserme, privilegiando -per una sorta di condivisione dell’onere- le regioni che ne sono ancora sprovviste. “Bisogna costruire prima di tutto nuovi centri nelle regioni che non ne hanno” ha detto il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano. Ma il governo, che in un primo momento aveva annunciato la pubblicazione di una lista dei siti scelti, ha optato per un profilo basso. L’eventualità di venire designati ha già fatto insorgere varie comunità locali, fatto nascere comitati di protesta, mobilitato consigli regionali. Come quello della Liguria -regione a tutt’oggi sprovvista di un Cie-, che ha voluto giocare d’anticipo e ha approvato una legge regionale sull’immigrazione che respinge “ogni forma di razzismo o discriminazione, anche attraverso la manifesta indisponibilità della Regione Liguria ad avere sul proprio territorio strutture o centri in cui si svolgono funzioni preliminari di trattamento e identificazione personale dei cittadini stranieri immigrati”. Altre iniziative si susseguono nelle regioni interessate: in Toscana si parla di un centro nei pressi di Grosseto o a Campi Bisenzio, vicino all’aeroporto di Firenze. Il che ha fatto saltare sulla sedia sia il sindaco di Firenze Leonardo Dominici che il governatore Claudio Martini. “No ai nuovi centri, sono inefficaci e non c’è stata consultazione con gli enti locali”, ha detto Martini, che ha trovato un alleato nel portavoce del Pdl in consiglio regionale Alessandro Antichi, ex sindaco di Grosseto. “Il Popolo della Libertà è fermamente contrario a ogni ipotesi che veda il territorio della provincia di Grosseto sede per la costituzione di un centro di identificazione ed espulsione”, ha dichiarato Antichi. Nella Marche, il consiglio provinciale di Ancona -il sito scelto in questo caso è una caserma dismessa a Falconara- ha approvato all’unanimità un ordine del giorno contro la possibile localizzazione del Cie nel proprio territorio. Contro quest’ipotesi si è già costituito un comitato formato dall’“Ambasciata dei diritti” e dalle “Comunità resistenti”. In provincia di Caserta si è parlato di aprire il Cie a San Nicola la Strada, a 500 metri dalla Reggia. Immediata la reazione contraria del sindaco della città Nicodemo Petteruti (Pd) e di quello di San Nicola Angelo Pascariello (Pdl). Analoghe prese di posizione in tutti i siti “annunciati” dal Viminale: Terni, in Umbria, Boscomantico, vicino all’aeroporto di Verona, e Vasto (Ch), per l’Abruzzo.
Bocciati senza riserve
Fino ad ora, i Centri di identificazione ed espulsione (Cie) hanno dimostrato di non funzionare, o di funzionare solo in modo parziale. Il numero dei cittadini stranieri rimpatriati dopo essere transitati per i Cie è minore del 50%. Con punte di inefficacia quasi grottesche, come quella del Cie di Trapani, in cui nel 2006 la percentuale di rimpatri realmente effettuati è stata pari al 15,3% del totale dei trattenuti. Secondo la “commissione De Mistura”, incaricata dal governo Prodi di fare un monitoraggio dei centri, con tanto di analisi di costi e benefici, il sistema attuale “non risponde alle complesse problematiche del fenomeno, non consente una gestione efficace dell’immigrazione irregolare, comporta disagi alle forze dell’ordine, nonché disagi e frustrazioni alle persone trattenute; comporta costi elevatissimi con risultati non commisurati”. La Commissione raccomandava il superamento del sistema dei centri, attraverso il progressivo svuotamento, il governo Berlusconi ha scelto la linea opposta.
Tutto l’indotto di Lampedusa
"Tutto pieno”. “Completo”. Tra gennaio e febbraio scorso, a Lampedusa sembrava di stare nel picco della stagione estiva: difficile trovare una camera, tutte o quasi le strutture ricettive erano occupate da forze dell’ordine, poliziotti, carabinieri, finanzieri. La tensione determinatasi con la rivolta degli ospiti del centro di identificazione ed espulsione (Cie), e con la mobilitazione popolare contro la trasformazione del centro di prima accoglienza di Contrada Imbriacola in Cie ha portato il Viminale a raddoppiare la presenza di forze dell’ordine sull’isola, tanto che al culmine degli eventi si è arrivati a sfiorare quota 800. Uno ogni otto abitanti. Molti hotel si sono riempiti, altri sono stati aperti ad hoc. Ma, al di là della situazione d’emergenza di queste settimane, il “sistema Lampedusa” ha comunque i suoi costi strutturali: trasformare l’isola nel centro di smistamento dei flussi migratori del canale di Sicilia impone la costruzione di un apparato, di un sistema di gestione, con una forte presenza di forze dell’ordine, che devono dormire e mangiare da qualche parte e finiscono quindi per creare un certo indotto nell’isola, particolarmente appetibile soprattutto durante la stagione non turistica, quando ristoranti e hotel sarebbero altrimenti chiusi.
Alcuni alberghi sono occupati per tutta la bassa stagione dagli esponenti delle forze dell’ordine: è il caso dell’hotel Baia turchese, dell’Alba d’amore e dell’hotel Medusa, nel quale si trattengono quando sono sull’isola gli alti papaveri del Viminale (il prefetto generale per l’immigrazione Mario Morcone e i suoi più diretti collaboratori), che peraltro è di proprietà di quel Salvatore Cappello che guidava proprio la rivolta degli isolani contro Morcone.
Poi ci sono i ristoranti, che forniscono servizio mensa ai poliziotti e ai carabinieri, mediante una convenzione stipulata con il ministero degli interni (di cui però non è dato conoscere l’entità). Inoltre, ci sono gli spostamenti da e verso l’isola per i necessari turn over delle forze dell’ordine. I piccoli Atr che tre volte al giorno collegano Lampedusa (Lmp) all’aeroporto di Palermo (Pmo) sono sempre pieni per metà di uomini in divisa. Nel mese di febbraio, secondo dati forniti dal personale della compagnia Meridiana, sono arrivati sull’isola 117 uomini delle forze dell’ordine e ne sono partiti per Palermo 489. Dal 1° al 19 marzo, 195 ne sono arrivati e 368 ne sono partiti.
In totale, abbiamo quindi 312 biglietti Pmo/Lmp (50,34 euro cadauno) e 857 Lmp/Pmo (52,18 euro ognuno), per un costo complessivo di 60.424,34, senza contare i costi dello sforamento della franchigia per i bagagli che, a quanto racconta il personale adibito al check-in, rappresenta una consuetudine.
Quanto al Cie, la gara al ribasso vinta dall’ente gestore (“Lampedusa accoglienza”, un consorzio di due cooperative siciliane afferente al mondo delle coop rosse) prevede 33 euro per ogni trattenuto.
Se si calcola che all’inizio di febbraio il Cie è arrivato a contenere 1850 immigrati, si vede come i grandi sbarchi invernali sono arrivati a fruttare all’ente 61.050 euro al giorno.