Ambiente / Intervista
Giorgio Vacchiano. Ripensare il futuro delle foreste
Intervista al ricercatore della Statale di Milano, tra gli 11 scienziati più promettenti al mondo, secondo Nature. Per capire gli impatti socio-ambientali della deforestazione
“Le foreste fanno molte cose per noi. Forniscono legno, certo, ma ci proteggono dalle alluvioni, mitigano il cambiamento climatico, preservano la biodiversità. Non sempre sono funzioni compatibili tra loro però. È in quest’area decisionale che bisogna lavorare”. Giorgio Vacchiano è ricercatore di Assestamento forestale e selvicoltura presso il dipartimento di Scienze agrarie e ambientali dell’Università Statale di Milano. È tra gli 11 scienziati “più promettenti” del pianeta secondo la rivista Nature (l’altra italiana nella lista, Silvia Marchesan, l’abbiamo intervistata sul numero di novembre di Altreconomia). “Se vogliamo che una parte del territorio sia dedicata alla produzione di legno dovremo accompagnare la foresta in un modo. Se vogliamo che il suo ruolo sia proteggere dalle alluvioni, faremo in un altro. È la ‘pianificazione forestale’: si decide dove e quando, e si mantiene l’approccio nel tempo”.
Poi però arrivano i cambiamenti climatici.
GV Il problema sta proprio nel fatto che con il cambiamento climatico è più difficile prevedere il futuro guardando semplicemente al passato, come è stato sempre fatto. Possiamo provarci attraverso l’uso di modelli matematici, nei quali in qualche modo si prova a raffigurare tutti i principali processi dell’ecosistema, compreso il clima, per prevedere scenari. Questo comporta anche l’immissione nel modello di elementi inediti. La foresta ha grande capacità di adattamento e in un modello non “ci sta” tutta la natura. Attraverso i nostri studi piuttosto cerchiamo di definire i contorni, i confini di quello che potrebbe accadere. Ad esempio possiamo stimare che le foreste boreali staranno meglio: il freddo meno intenso faciliterà gli accrescimenti. Le foreste mediterranee o tropicali subiranno invece la mancanza di acqua. Ci sono poi gli eventi estremi, gli attacchi di insetti: le foreste mediterranee e tropicali sono ecosistemi dalla resilienza molto bassa, che rischiano la transizione a savana. Una deforestazione senza seghe elettriche. La differenza però sta nel fatto che, mentre dalle foreste boreali dipendono poche persone, quelle mediterranee e tropicali sono indispensabili per il sostentamento di ampie popolazioni, specie dal basso reddito. Quindi gli impatti non saranno solo ambientali, ma anche sociali: stiamo parlando di rifugiati climatici, della correlazione tra la scomparsa delle foreste e l’aumento delle diseguaglianze.
Le foreste stanno scomparendo?
GV Se guardiamo il dato globale il saldo è negativo, le foreste diminuiscono. È un problema di cui anche Italia ed Europa sono responsabili, poiché importano grandi quantità di legno che in parte -si stima il 15%- arriva da alberi tagliati illegalmente, o in maniera non sostenibile. L’Unione europea ha una normativa pensata per porre un freno al fenomeno, grazie alla certificazione di provenienza, che ha prodotto dei risultati. È probabile che in futuro la domanda di legno aumenti, e questo può anche essere un bene -ad esempio se si pensa all’utilizzo energetico o all’edilizia. È importante monitorare la provenienza, razionalizzare i consumi e spingere sul riciclo, che peraltro vede l’Italia tra i migliori. È tuttavia necessario aggiungere ulteriori chiarimenti. Ad esempio da noi le foreste aumentano -oggi sono il 32% della superficie complessiva, più della porzione agricola-, come conseguenza dello spopolamento delle cosiddette “aree interne”. In Italia una corretta gestione forestale prevede l’obbligo di far rigenerare la foresta quando si prelevano degli alberi: per l’utilizzazione del legno quando le piante sono pronte e per il diradamento, quando una foresta è troppo fitta e le piante entrano in competizione. Certamente spiace veder tagliare un albero, ma una gestione sostenibile, che ragiona su archi temporali di decine d’anni, tiene conto della naturale rigenerazione delle foreste. Per esempio, c’è un dibattito in corso sul fatto che le foreste più mature assorbano carbonio meno velocemente. Tagliare e far rigenerare foreste più giovani potrebbe essere quindi vantaggioso per la mitigazione climatica.
Le immagini degli alberi abbattuti nel Nord-Est hanno colpito l’opinione pubblica questo autunno.
GV Non abbiamo ancora dati definitivi, ma si parla di 7-8 milioni di metri cubi di alberi schiantati a causa del vento. Avremo certezza solo con le immagini satellitari. Possiamo dire però che siamo stati investiti da tempeste, o cicloni, extratropicali, che finora colpivano l’Europa ogni due o tre anni, e a Nord delle Alpi: di intensità maggiore in Francia, Svizzera, Germania, Austria. Non sono una novità: il vento ha sempre fatto più danni degli incendi in Europa, fino a tre volte. La differenza quest’anno è che in Italia ci sono state raffiche di oltre 200 chilometri orari, finora rarissime -nell’ordine di una volta ogni 100 anni. La novità è che la perturbazione è arrivata in quello che si profila come essere l’anno più caldo sinora registrato, il 2018: vuol dire che è stata ulteriormente “caricata” dalla temperatura delle acque del Mediterraneo, mentre la particolare configurazione climatica ha spinto la perturbazione più a Sud del solito. Un evento estremo naturale, ma “amplificato” dai cambiamenti climatici, come si diceva poco fa.
Decine di migliaia di ettari di alberi sono venuti giù. In alcuni casi è probabilmente vero che si sia trattato di specie dalle radici deboli, in altri qualsiasi albero non avrebbe retto: dipende molto anche dalla topografia. Le conseguenze sono molteplici e ulteriori: dall’aumento dei rischi idrogeologici al crollo del prezzo del legname. Questa vicenda dovrà farci ripensare alla struttura delle foreste, dato il nuovo contesto. Introdurre specie diverse e alberi di altezze differenti, perché quelli più bassi resistono meglio. Dovremo poi capire come intervenire laddove ci sono stati gli abbattimenti: in alcuni casi sarà urgente portare via il legno, in altri sarà più saggio lasciare i fusti.
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